PROCESSO ANNI NOVANTA, SENTENZA A ROMA: IL TRIBUNALE DI LATINA NON E’ ATTREZZATO
di MARCO CUSUMANO *
Si avvicina alla conclusione il processo per mafia che vede imputate undici persone considerate i vertici della criminalità organizzata nel Sud pontino. “Anni Novanta” è l’unico processo per associazione mafiosa in piedi a Latina, ma l’atto finale sarà celebrato a Roma nell’aula bunker del carcere di Rebibbia.
La decisione è stata adottata non solo per motivi di sicurezza, ma soprattutto per una questione logistica: il tribunale di Latina non è infatti dotato di letti e servizi. Considerando che i giudici della Corte d’Assise, una volta riuniti in camera di consiglio per decidere la sentenza, non potranno uscire né incontrare nessuno, la decisione di trasferire il verdetto a Roma è stata obbligata. Nell’aula bunker di Roma, nel caso in cui la camera di consiglio dovesse durare a lungo, i giudici potrebbero restare a dormire per poi riprendere la discussione il giorno successivo, soluzione impossibile a Latina.
La Direzione distrettuale antimafia, rappresentata dal pubblico ministero Diana De Martino, sta cercando di dimostrare, udienza dopo udienza, i legami che negli ultimi vent’anni hanno unito diversi esponenti della criminalità pontina e campana. L’obiettivo non è tanto la ricostruzione di singoli episodi, per i quali sono stati già conclusi processi specifici, quanto la dimostrazione di un filo comune che ha legato le attività criminose di diversi esponenti di spicco dei clan. Undici gli imputati: Ettore Mendico, Orlandino Riccardi, Antonio Antinozzi, Domenico Buonamano, Luigi Cannavacciuolo, Antonio La Valle, Maurizio Mendico, Luigi Pandolfo, Giuseppe Ruggieri, Giuseppe Sola e Michele Zagaria. Tra i difensori gli avvocati Ciufo, Palmieri, Biasillo, Irace. L’inchiesta è collegata a due omicidi, quelli di Rosario Cunto e Giovanni Santonicola, avvenuti nel 1990 nell’ambito della guerra di camorra tra i clan Casalesi e La Torre-Esposito. Il gruppo che fa capo a Mendico è accusato anche di una serie di estorsioni e attentati dinamitardi, episodi accuratamente vagliati nel corso del processo confrontando gli elementi raccolti e le testimonianze dei pentiti. I membri del clan furono arrestati dai carabinieri a Formia nel luglio 2007, il rinvio a giudizio fu disposto dal gup del Tribunale di Roma Cecilia Demma.
Durante il processo a Latina c’è stato un notevole impiego di forze dell’ordine per garantire la sicurezza e il controllo dell’area. Il tribunale è stato presidiato da carabinieri e polizia penitenziaria durante ogni udienza. All’inizio del processo la Corte d’Assise, presieduta dal giudice Raffaele Toselli, accolse la richiesta avanzata dalla Regione Lazio per costituirsi come parte civile nel processo. Nell’ordinanza i giudici sottolinearono come l’attività degli imputati abbia «negativamente inciso sullo sviluppo economico e turistico dell’ampia zona della provincia di Latina in cui la cosca ha operato sino al 2001». Ieri la parola al pentito Francesco Bidognetti che ha negato, in videoconferenza, di essere stato a conoscenza del progetto di uccidere Santonicola. Il 2 luglio inizierà la discussione, il 13 la sentenza. (* Il Messaggero 16-06-2009)