Il messaggio di Natale del vescovo Giuseppe Petrocchi

17/12/2011 di
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di Giuseppe Petrocchi – Vescovo di Latina

Da qualche mese, ormai, il “vascello del sinodo”, ha preso il largo e sta navigando a
vele spiegate, sospinto dal vento dello Spirito. Davvero si tratta di un’avventura che
stupisce e rallegra, perché il Signore, che traccia la nostra rotta, ci guida sul mare della
storia pontina, aprendo nuove traiettorie pastorali e spalancando, davanti ai nostri occhi, orizzonti inediti di comunione.

Anche il Sinodo diocesano è un modo eminente di vivere il Natale: infatti, raccolta in
questo evento di grazia, la Comunità cristiana pontina si pone in ascolto del Vangelo e
accorre (come i pastori dopo aver udito la voce degli angeli) per incontrare il Signore
Gesù, che continua a venire tra noi nella sua Parola, nella liturgia e nell’esperienza di
carità: vicendevole e verso tutti.

È nella Chiesa – in cui si riflette la figura di Maria – che il Figlio fatto uomo si rende
oggi presente e ci offre la sua amicizia; è nella Chiesa che il Signore ci attende e si fa
trovare; è nella Chiesa che possiamo fare esperienza della salvezza che ci dona:
redenzione che – se accolta e condivisa – ci rende creature nuove. È attraverso la Chiesa,
perciò, che lo Spirito della Pentecoste invia i credenti a testimoniare ed annunciare a tutte
le genti la lieta notizia che Dio ci ama immensamente e ci apre, già da ora, le porte della
Città celeste. Come scrive splendidamente san Leone Magno: il Salvatore «si è fatto figlio
dell’uomo perché noi potessimo essere figli di Dio. Se Egli, infatti, non fosse disceso fino a
noi mediante il suo abbassamento, nessuno, coi propri meriti, sarebbe potuto salire fino a
Lui».

Attraverso l’esperienza del Sinodo e nella piena fedeltà al successore di Pietro, la
Chiesa pontina cerca di diventare sempre più Chiesa: cioè Comunità una, santa, cattolica,
apostolica.

Come scrivevo nel Decreto d’Indizione, tra gli obiettivi del Sinodo primeggia, in primo
luogo, quello di «maturare, insieme, un più convinto e profondo “senso della Diocesi”, che
– per comprensibili ragioni – in larga parte della nostra gente risulta ancora “acerbo”. Ciò
esigerà lo sviluppo di una convinta ecclesiologia di comunione, che consentirà di superare
ogni frammentazione pastorale e di valorizzare le risorse spirituali ed umane della nostra
Comunità cristiana». Per questo, dobbiamo impegnarci a fondo e mobilitarci tutti perché la
nostra Chiesa cresca effettivamente nell’unità, non soltanto a parole, ma «con i fatti e nella
verità» (1Gv 3,18).

Ciò comporta anzitutto la «consapevolezza che per fare-Sinodo
bisogna essere-Sinodo», il che vuol dire, in primo luogo, “sinodalizzare” (cioè, improntare
nel segno del noi-Chiesa) la mente, il cuore e la pastorale, per animare con spirito
evangelico la splendida terra pontina, che Dio ci ha dato la grazia di abitare2.
Il dono più grande che il Sinodo può fare alla nostra Comunità ecclesiale è quello di
aiutarci a vivere meglio e con sempre maggior profondità l’esperienza di essere famiglia
raccolta nel vincolo della carità, che ci rende – già da quaggiù – partecipi e testimoni della
vita trinitaria (cfr. Gv 17): è così che diventiamo Chiesa sempre “più-Una”. Questa crescita
della coscienza diocesana non potrà avvenire se non nella consapevolezza che il “tutto”
(cioè la Chiesa locale nel suo insieme) precede e fonda le “parti” (vale a dire, le singole
comunità parrocchiali). Per il futuro, dunque, non importerà tanto fare di più, ma fare
insieme, poiché solo sul terreno di una concordia laboriosa fiorisce la gioia e maturano
abbondanti frutti evangelici (cfr. Gv 15,1-17).

Il Verbo che viene tra noi a Natale, ci manifesta il volto del Padre e manifesta anche
noi a noi stessi. Egli è la Parola, in cui abita tutta la Verità di Dio e ogni verità umana.
Solo in questa luce, perciò, possiamo davvero conoscere il Creatore e conoscerci come
creature: sapere, cioè, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, dove ci troviamo.
Senza questa consapevolezza non siamo pellegrini – cioè viandanti diretti verso la Patria
promessa – ma vagabondi, dispersi lungo le piste, spesso aride e insidiose, della nostra
esistenza.

Proprio perché ci mette in comunione con Dio, il Signore che viene ci rende
anche “uno” in noi stessi e ci trasforma in famiglia evangelica: solo così possiamo
contribuire a costruire una Chiesa missionaria e realizzare una società più coesa.
A tutti rivolgo l’augurio più cordiale di un gioioso Natale: possa, questo tempo
benedetto, essere per ciascuno la festa dell’incontro con il Figlio di Dio che, facendosi
Uomo, ci ha uniti a Sé, affinché – resi “suoi” per grazia – potessimo diventare noi stessi.