L’ultima intervista al Vescovo Domenico Pecile

01/07/2011 di
domenico-pecile

Le Esequie di S.E. Mons. Domenico Pecile, Vescovo emerito di Latina-Terracina-
Sezze-Priverno, deceduto nel pomeriggio di mercoledì 29 giugno presso l’Ospedale
Civile di Udine, si terranno nella Cattedrale di Udine sabato 2 luglio p.v. alle ore
10,30 e saranno presiedute dall’Arcivescovo S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzocato.

A seguire la salma sarà traslata a Latina, dove verrà allestita una camera ardente
nell’auditorium al pianterreno della Curia Vescovile. Qui potrà
essere visitata dai fedeli dalle 9 alle 12,30 di domenica 3 luglio.

Alle 15,30 dello stesso giorno, il Vescovo di Latina S.E. Mons. Giuseppe Petrocchi
presiederà una Celebrazione di suffragio nella Cattedrale di San Marco, alla quale
sono invitati a partecipare i fedeli della Chiesa pontina.

Al termine il feretro partirà alla volta di Terracina, dove Mons. Pecile ha espresso
il desiderio di essere sepolto. La salma verrà accolta nella chiesa parrocchiale di S.
Domenico Savio, dove alle 22 si terrà la preghiera del Rosario. L’indomani mattina
verrà quindi provvisoriamente tumulata in forma privata nel cimitero di Terracina,
in un loculo messo a disposizione dalla Confraternita Maria SS. del Carmine, in
attesa della collocazione definitiva presso la Concattedrale di S. Cesareo, al momento
interessata da lavori di restauro.

INTERVISTA A MONS DOMENICO PECILE
pubblicata sul mensile della Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno
CHIESA PONTINA n. 86 del giugno 1998
in occasione del 50° anniversario di sacerdozio di mons. Pecile pochi mesi prima della fine del
suo mandato episcopale a Latina.

Incontro il Vescovo nel suo studio, quello stesso dove ogni giorno riceve tanta gente. Mi viene
incontro con la sua solita cortesia e con quella affabilità che sa mettere a proprio agio ogni ospite.
Alle sue spalle, una tela seicentesca raffigurante una Madonna con Bambino: “L’ho ritrovata
scavando fra le macerie del seminario di Udine nel 1944 – precisa il Vescovo – e da allora mi ha
sempre accompagnato”. E così entriamo subito nella conversazione che ci porterà a rivisitare 50
anni di sacerdozio.

Come ricorda il momento della sua ordinazione sacerdotale?
Era la domenica dell’11 luglio 1948; la messa iniziò alle ore 10; il momento più forte e intenso
l’ho vissuto quando ero prostrato davanti all’altare; sentivo su di me quasi un raggio di luce, una
grande gioia, ma anche qualche timore che ho poi superato; un altro momento forte è stato quello
dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo.

Quali le tappe del suo ministero sacerdotale?
Le mie tappe sono state tutte abbastanza brevi. Inizialmente sono stato vice parroco in un paesino,
Socchieve (una zona pastorale con sei frazioni); ricordo molto bene quell’anno di ministero: i
contatti con la gente, e il rapporto col parroco che era all’opposto di me; lui girava tutta la zona
con la moto, cantando; venne lui a prendermi con la moto nel mio paese: era abituato agli incidenti
e li contava come se fossero i misteri e le litanie del rosario. Poi sono stato trasferito in un’altra
parrocchia vicino ad Udine, Feletto Umberto, dove ho conosciuto tanti giovani che ancor oggi
organizzano incontri con tutti i vice parroci che si sono succeduti. Un giorno mi chiamò il Vicario
Generale per mandarmi a Cividale del Friuli presso l’orfanotrofio diretto dalla POA (Pontificia
Opera Assistenza): sono stati quattro anni esaltanti, ma anche pieni di sofferenza per certi
atteggiamenti eccessivamente manageriali che non andavano a vantaggio dei ragazzi, e ai quali mi
opposi; e fu questo il motivo per cui dovetti lasciare l’incarico. Allora l’arcivescovo mi propose di
venire a Terracina, come segretario di mons. Pizzoni. Ero fra i pochissimi preti patentati e venimmo
a Terracina con la mitica 1100. A Terracina sono stato 7 anni.

Come ricorda il periodo in cui è vissuto nella nostra Diocesi?
Inizialmente rimasi scioccato nel vedere tre diocesi e tutto frammentato, diviso; ero abituato alla
mia diocesi di Udine con una forte struttura organizzativa; ma ben presto le difficoltà furono
superate anche grazie al caloroso rapporto umano di cui era capace la popolazione, che mi faceva
stare a mio agio. Mons. Pizzoni mi nominò assistente della Gioventù femminile. Approfittando
della vicinanza con Roma, riuscii pure a conseguire la laurea in Diritto Canonico presso
l’Università Lateranense.
Dopo sette anni fui richiamato ad Udine, come vice rettore al Seminario Maggiore, per sostenere
l’opera del Rettore oramai anziano. Il mio mandato in seminario, iniziato nel 1962 e terminato
nel ‘67 (pur se per altri quattro anni ho poi gravitato ancora in quell’orbita), è stato intenso anche
nella sofferenza: coincise col Concilio e con i grandi cambiamenti culturali e sociali del ‘68.
Gli studenti (circa 400, di cui i due terzi lasciarono) erano tutti presi dai cambiamenti e dovetti
esercitare notevole pazienza e comprensione, soprattutto verso chi rifiutava ormai ogni direzione, i
metodi formativi o il principio stesso d’autorità. Accoglievo i ragazzi a casa mia, parlavo con loro,

cercavo di indirizzarli; durante un momento assembleare ebbi netta la sensazione che un’epoca
stava tramontando. In questa fase di trapasso, mi aiutò molto a rivedere i miei atteggiamenti e a
vivere bene quel momento un padre gesuita di Trieste. Quando arrivò il momento di cambiare
l’abito talare io indossai subito il clergyman, e questo mi aiutò molto nei riguardi dei seminaristi.
Dopo quella esperienza fui chiamato a lavorare in Curia (in Cancelleria) e contemporaneamente
fui nominato giudice al Tribunale Ecclesiastico regionale di Venezia; in quel periodo ho fatto il
segretario della Commissione di Arte Sacra. Un momento delicato di quel periodo fu quando, nel
1970-72, una trentina di sacerdoti chiesero la dispensa; fu una esperienza triste ma il rapporto con
loro è stato molto sereno e da questo ho capito molte cose sulla vita sacerdotale e sul rapporto da
tenere con i sacerdoti, su come saperli accogliere, ascoltare, dialogare con loro, cosa non facile. Il
25 marzo 1983 l’Arcivescovo mi nominò parroco al Duomo di Udine.

Il 22 dicembre 1983 fu eletto vescovo della Diocesi; ricorda la prima volta in cui le fu
annunciata questa possibilità?
Nell’estate dell’83 avevo fatto risistemare la casa canonica del Duomo. In un giorno di settembre,
mentre pensavo ai lavori appena terminati e preparavo il nuovo anno pastorale, a mezzogiorno
meno un quarto sentii squillare il telefono: era l’Arcivescovo che mi voleva vedere subito.
Avendogli chiesto se la cosa fosse urgente, mi disse che potevo passare anche nel pomeriggio.
E così feci. Fu allora che mi comunicò l’elezione episcopale. Passai otto giorni a riflettere e in
questo mi aiutò molto mons. Pizzoni. Venni anche a Roma a parlare con il Cardinal Baggio e
quindi accettai. Ci fu pure un contrattempo; infatti, fui uno degli ultimi vescovi nominati con il
vecchio sistema concordatario, secondo il quale occorreva anche il nulla osta da parte del Ministero
dell’Interno: ma io questa cosa non la sapevo. Ci pensò il Prefetto di Udine, di sua iniziativa; così il
nulla osta arrivò alla Congregazione il 20 dicembre. La comunicazione doveva essere data il giorno
22 alle ore 12. A quell’ora l’Arcivescovo aveva riunito tutta la Curia e dette l’annuncio, facendo
anche suonare le campane del Duomo; ma io le campane proprio non le sentii! La nomina dapprima
mi portò molta preoccupazione; ma dopo aver molto pregato mi rasserenai e l’accettai come volontà
di Dio. In fretta dovetti preparare tutto per l’ordinazione del 6 gennaio: in quel giorno, la cosa che
veramente mi ha scioccato è stato vedere tutta quella gente della mia nuova diocesi che era giunta
lì per partecipare all’evento! Non pensavo a niente; solo dicevo: “Sono nelle tue mani”. Avevo una
certa esperienza di governo di una diocesi, e in questo senso mi sentivo anche abbastanza sereno; fu
quindi un momento di grande commozione, senza tanti pensieri che invece sono venuti dopo.

E venne il momento dell’ingresso in Diocesi: sentimenti e sensazioni, aspettative e timori in
quella occasione
Per quella data avevo già dovuto risolvere alcune questioni che mi si erano presentate, ma all’inizio
mi aiutò molto mons. Natalini, già Vicario Generale; avevo comunque già parlato più di una volta
col mio predecessore, mons. Compagnone. I problemi vennero non tanto dalla amministrazione
ordinaria della diocesi, quanto dalla difficoltà di capire il momento che essa si trovava a vivere: tre
diocesi che dovevano camminare unite.

Quindici anni di episcopato: quale bilancio, anche dal punto di vista pastorale?
Tutta l’esperienza che avevo avuto prima riguardava un cammino regolare, normale: qui la Curia
era ancora da organizzare; ma non era tanto questo il problema quanto quello di trovare le persone
giuste al posto giusto. I primi 7-8 anni sono stati i più difficili, ma ora siamo arrivati ad una certa
stabilità;
grazie a Dio non ho mai perso la speranza, e anche se posso aver fatto qualche piccolo errore sono
sempre andato avanti. Dal punto di vista pastorale non sono del tutto soddisfatto: abbiamo fatto dei
passi importanti, ma a me premeva soprattutto operare un cambiamento di mentalità, il superamento
di vecchi modi di vedere e di agire all’interno della Chiesa e verso l’esterno; e per questo c’è ancora
molto cammino da fare.

Gli anni del seminario sono coincisi, per lei, col tempo di guerra: come ha influito tale evento
sulla sua persona?
Fu un evento che vivemmo con sofferenza; tre seminaristi rimasero vittime dei bombardamenti che
colpirono i dintorni della struttura (marzo 1944); tutti abbiamo patito fame e privazioni.

In cinquant’anni come è cambiato il ministero sacerdotale?
In questi hanno sono andato maturando sempre più dentro di me quale debba essere il ‘ruolo’ del
sacerdote: la figura del leader, del manager è finita, anche se il prete, in sostanza, rimane ancora tale
nel suo rapporto con la comunità; egli deve però essere punto di riferimento sul piano esistenziale,
delle idee, del capire i segni dei tempi, sul piano anche di una necessaria evoluzione di mentalità e
metodi; e questo è difficile, perché richiede attenzione, umiltà, sguardo al futuro e tanta fede.

Nel suo ministero episcopale si è ispirato a qualche figura di sacerdote o Vescovo?
Più che ad uno in particolare, mi sono ispirato a ciò che i grandi Vescovi hanno deciso e fatto nei
momenti cruciali del loro ministero, a come si sono comportati, alle loro intuizioni sul tempo che
vivevano.