BRASILE FAVOREVOLE ALL’ESTRADIZIONE CESARE BATTISTI

04/04/2008 di
Primo passo in Brasile per
l’estradizione di Cesare Battisti, ex membro dei Proletari
Armati per il Comunismo originario di Latina, espatriato in Francia e poi in Brasile,
dove è stato arrestato nel marzo del 2007.

 
Il procuratore generale della Repubblica brasiliano, Antonio
Fernando Souza, ha dato parere favorevole all’estradizione, alla
condizione però che che l’Italia si impegni a convertire
l’eventuale ergastolo in una pena di 30 anni, il massimo
previsto dalla legge brasiliana, e scontandovi anche il periodo
che Battisti ha passato in carcere in Brasile, un anno tondo.
La decisione finale spetta adesso al Supremo Tribunale Federale,
la Corte Costituzionale brasiliana.
Souza ha ritenuto «delitti comuni» i quattro omicidi per i
quali Battisti è stato condannato in Italia. «Anche se avevano
una certa connotazione politica, i delitti per i quali Cesare
Battisti è stato condannato non avevano come sfondo, per
esempio, una manifestazione di protesta o una ribellione;
inoltre, le vittime erano civili e autorità che in quel momento
erano da considerarsi indifese. Anche se sono stati eseguiti da
membri di una fazione politica, sono pur sempre assassinii
generati dal disprezzo per la vita umana», ha spiegato il
procuratore generale di Brasilia.
 
CHI E’ CESARE BATTISTI
 
Potrebbe tornare in Italia dopo
16 anni di latitanza Cesare Battisti, ex leader dei Pac, i proletari
armati per il comunismo. Il procuratore generale della repubblica
brasiliana Antonio Souza ha dato parere favorevole alla richiesta di
estradizione in Italia per l’ex terrorista arrestato un anno fa a
Copacabana. In Brasile era arrivato dopo aver fatto perdere le sue
tracce il 22 agosto del 2004, lasciando la Francia dove, evaso da un
carcere italiano, si era rifugiato nel 1980.
A localizzarlo in un primo momento in Sud America dopo lunghe
ricerche erano stati gli agenti francesi e i carabinieri del
Raggruppamento Operativo Speciale. Ma Battisti era riuscito ancora una
volta a far perdere le proprie tracce fino al 18 marzo dell’anno
scorso quando venne catturato dalla polizia brasiliana e dagli agenti
venuti da Parigi insieme alla sua compagna. Fatale per luil’incontro
con un esponente dei comitati di sostegno.
A Parigi l’ex leader dei Pac, grazie alla ‘dottrina Mitterand’,
si era rifatto una vita: abbandonata la lotta armata, si era dato alla
scrittura, diventando un giallista di fama e pubblicando opere in cui
proponeva alcune analisi sull’esperienza dell’antagonismo radicale,
tra cui ‘L’orma rossà, edito da Einaudi. Poi, però, quando l’aria
era cominciata a farsi più pesante, Battisti aveva deciso di fuggire.
A cambiare le carte in tavola era stato il parere favorevole
all’estradizione dato dalla Corte d’appello di Parigi il 30 giugno del
2004. Poco dopo il presidente francese Jacques Chirac aveva fatto
sapere che avrebbe dato il via libera all’estradizione nel caso in cui
il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti fosse stato
respinto.

«La dichiarazione di Jacques Chirac, due giorni
dopo la decisione della Corte d’appello, è riuscita a togliermi ogni
speranza», aveva detto l’ex leader dei Pac nella lettera inviata agli
avvocati Irène Terrel e Jean-Jacques de Felice per spiegare le
ragioni della sua fuga. «Di fronte al baratro, cosa mi resta?»,
aveva scritto. «Soltanto i miei figli e la sottile possibilità, un
giorno forse, di potermi spiegare sulle mie responsabilità politiche
e di tornare infine su quel passato che l’Italia vorrebbe, mi pare,
seppellire per sempre, al prezzo di una contraffazione storica».
«Non lascerò la Francia, non saprei farlo, è il mio paese e
non ne vedo altri nel mio futuro», aveva scritto Battisti ,
aggiungendo: «Continuerò a battermi affinchè sia resa giustizia
all’uomo e alla storia». Con la progione a vita, trent’anni dopo i
fatti, «sarebbe la famiglia, i figli, altre vite a pagare», aveva
spiegato, sottolineando: «Non posso correre questo rischio, non
rivedere più i miei figli, il paese dove sono nati, l’idea mi risulta
insopportabile».
Pochi mesi dopo, il 23 ottobre 2004 il primo ministro francese,
Jean Pierre Raffarin, aveva firmato il decreto di estradizione che
costringeva l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo a
scontare la propria pena in Italia. Contro il decreto nel novembre
2004 i legali di Battisti avevano presentato invano ricorso al
Consiglio di Stato, che aveva al contrario convalidato il decreto nel
marzo 2005. Gli avvocati ci hanno poi riprovato poco dopo, presentando
un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
 
Pur riconoscendo di aver fatto parte dei Pac,
Battisti si era sempre detto innocente. Arrivato in Francia nel 1990
dopo alcuni anni trascorsi in Messico si era appellato alla
dichiarazione del presidente della Repubblica François Mitterand, che
nel 1985 aveva promesso asilo agli ex militanti della lotta armata che
avessero rinunciato alla violenza.
In Italia l’ex leader dei Pac era stato condannato a due
ergastoli per quattro omicidi: in due di essi, quello del maresciallo
Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 6 giugno del ’78, e quello
dell’agente Andrea Campagna, avvenuto a Milano il 19 aprile del 1979,
il terrorista sparò materialmente. Nell’uccisione del macellaio Lino
Sabbadin, avvenuta a Mestre il 16 febbraio del ’79, invece, Battisti
fece da copertura armata al killer Diego Giacomini e, nel caso
dell’uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuta a Milano
il 16 febbraio del ’79, venne condannato come co-ideatore e
co-organizzatore.
L’idea alla base di quel biennio di sangue, secondo quanto si
appurò in seguito, era quella di colpire, oltre ad esponenti delle
forze dell’ordine, i commercianti che si erano difesi durante i
cosiddetti ‘espropri proletarì. Proprio per questo nel mirino dei Pac
finirono il macellaio di Venezia Sabbadin e il gioielliere di Milano
Torregiani. In quest’ultimo caso, poi all’omicidio, si aggiunse un
ulteriore tragedia: nel corso della colluttazione, il figlio del
gioielliere, Adriano, venne colpito da una pallottola sfuggita al
padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla
sedia a rotelle.