Mafia nel Sud Pontino, la carte dell’inchiesta Anni 2000: Vittime ridotte all’omertà

26/01/2021 di
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«Qua nessuno ti vuole fare un’estorsione… Ma un pensiero lo vuoi portare? Fai un pensiero agli operai…». È una delle intercettazioni citate dal gip di Roma nell’ordinanza a carico di 19 persone arrestate nell’ambito di una operazione della Dda su un clan di stampo mafioso attivo nella provincia di Latina. La dichiarazione risale al 28 luglio del 2016 ed è stata rivolta al titolare di una impresa di rimessaggio barche dopo che era stata compiuta una azione di danneggiamento all’azienda. Il gruppo criminale capeggiato da Antonio Antinozzi puntava ad ottenere la cosiddetta «messa a posto» alla «tangente utile per la protezione».

«Le indagini svolte hanno consentito di accertare che l’associazione- scrive il gip – utilizza metodi mafiosi avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, incutendo nelle vittime una condizione di assoggettamento ed omertà».

Nelle carte dell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto alla Dda di Roma Ilaria Calò e dal pm Corrado Fasanelli, è citato anche un episodio del 2016 in cui Marika Messore, nipote di Antonozzi, viene chiamata in causa per risolvere una controversia tra i sostenitori di due fazioni politiche in corsa per l’elezione del sindaco di Minturno.

«La donna nel raccontare l’episodio – aggiunge il gip – si mostra particolarmente compiaciuta per essere riuscita a risolvere il problema, asserendo di essersi recata in un bar a Minturno frequentato dai ragazzi che strappavano i manifesti e di aver intimato loro di non farlo più». La donna, intercettata, racconta così l’episodio: «Sono andata là sopra come una pazza, ho detto chiamatemi tizio, caio e sempronio, senza neanche chiedermi chi sei e chi noi, non hanno più toccato i manifesti».

LE ACCUSE. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ricostruisce l’attività di un’associazione di tipo mafioso, operante nel sud Pontino e in particolare nel territorio di Castelforte, Santi Cosma e Damiano. Il gruppo criminale era capeggiata do Antonio Antinozzi che, dopo la scissione del clan Mendico-Riccardi, aveva costituito un clan strutturato su base familiare che, avvalendosi di metodi violenti e intimidazioni, mediante l’uso di armi ed ordigni esplosivi, aveva ingenerato un clima di assoggettamento ed omertà tra la popolazione. I motivi della scissione sono legati ad una relazione sentimentale, criticata perché in violazione del codice d’onore, tra Maria Rosa Falso (moglie di Viccaro Giuseppe nipote di Antinozzi Antonio) e Antonio Mendico (cugino del capoclan Ettore Mendico). La Dda, che ha coordinato il Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Latina e dalla Compagnia Carabinieri di Formia, ha inoltre accertato l’esistenza di due associazioni dedite al narcotraffico, gestite rispettivamente dalla famiglia Mendico e dalla famiglia Antonizzi. L’indagine è partita nel dicembre del 2015 e si è conclusa nel gennaio del 2020. La maggior parte dei destinatari della misura cautelare già nel 2007 erano stati riconosciuti come appartenenti al clan «Mendico-Riccardi», una ramificazione in territorio laziale del clan camorristico dei Casalesi. A partire dal 2013 sul territorio del sud pontini, a seguito di una serie di scarcerazioni, si sono verificati una serie di episodi di intimidazioni a imprenditori ed esercizi commerciali.