Il massacro del Circeo approda in teatro. La vita di Donatella Colasanti tra il diritto di dimenticare e il dovere di ricordare
Il 29 settembre 1975 Angelo Izzo, a soli vent’anni, aiutato dai coetanei Andrea Ghira e Gianni Guido, compie uno dei delitti che più profondamente si sono impressi nelle coscienze degli italiani. Il delitto del Circeo rappresenta uno spartiacque nella lotta per la parità di genere.
In scena martedì 17 e mercoledì 18 settembre all’Anfiteatro di Villa Strozzi a Firenze (ore 21,30), «Circeo, il massacro» racconta quella società e quelle tensioni che si riverberavano nella vita di tutti i giorni e che, con un gioco al rialzo, arrivarono a permettere che certi fatti accadessero.
Scritto da Filippo Renda e Elisa Casseri, «Circeo, il massacro» vede in scena gli attori Michele Di Giacomo, Alice Spisa, Arianna Primavera, Luca Mammoli. Regia di Filippo Renda.
Donatella Colasanti, la sopravvissuta al massacro, che nel 1975 aveva soltanto diciassette anni, è stata chiamata per tutta la vita a ripercorrere quei fatti, a rispondere alle domande dettagliate dei commentatori, a interpretare i nuovi crimini dei propri torturatori. Donatella Colasanti ha provato in tutti i modi a lasciarsi alle spalle quel dramma: ha cambiato nome e ha richiesto il diritto all’oblio, che però le è stato negato proprio perché il dovere alla memoria era più importante.
Qual è il confine tra dovere alla Memoria e diritto all’oblio? La storicizzazione giustifica che la vita delle vittime diventi simile a un martirio?
Raccontare il massacro del Circeo per cercare di capire cos’è la violenza, ma senza mettere in scena quella specifica violenza né i suoi protagonisti: è stata questa la premessa che ha portato alla scrittura di un testo che, nonostante abbia le sue radici negli atti di uno dei processi giudiziari più famosi di questo paese, drammaturgicamente si muove intorno a un altro tipo di processo, quello di negazione.
L’idea è che Donatella Colasanti per difendersi dalla morbosità, dalle domande, dal reiterarsi dei ricordi all’interno della sua testa, immagini una storia qualunque, quasi da fotoromanzo, di due giovani in una villa al mare, in vacanza, che discutono, scherzano, litigano, si amano. Quella è la scena principale: una storia qualunque, appunto, per raccontare come la violenza arrivi nella vita, nel corpo e nella testa di tutti noi, anche quando neghiamo a noi stessi che stia succedendo o che sia successo. Il punto centrale, nella scrittura di questo testo, è sempre stato non la violenza nella sua straordinarietà, quando si manifesta in eventi mostruosi come quello del Circeo, ma la sua normalizzazione all’interno del quotidiano, dove si mescola all’aria che respiriamo fino (quasi) a non farsi vedere più.
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