Cesare Battisti ammette i 4 omicidi. Ecco tutte le accuse

25/03/2019 di

Cesare Battisti, l’ex terrorista dei Pac – i Proletari armati per il comunismo, originario di Sermoneta, ammette per la prima volta davanti alla magistratura la sua responsabilità rispetto ai quattro omicidi, di cui due come esecutore, per i quali è stato condannato all’ergastolo.

Al termine di una latitanza lunga 37 anni, dal carcere di Oristano – dove ha avuto la possibilità di leggere le sentenze sul suo conto – ha chiesto di parlare con il pm di Milano Alberto Nobili, capo dell’antiterrorismo, per ammettere che «quello che è stato ricostruito dalle sentenze, quello che riguarda i Pac, corrisponde al vero sia per i fatti che per le responsabilità». Nessuna intenzione di collaborare o fare nomi a caccia di improbabili sconti di pena, ma una sorta di «rito liberatorio» e un’occasione per «chiedere scusa ai familiari delle vittime», morti «per una guerra giusta».

Obiettivi «precisi, che a loro avviso perseguitavano detenuti politici, persone che come Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin avevano ucciso dei rapinatori. Chiamavano i due commercianti “i miliziani” perché armandosi si schieravano dalla parte dello Stato contro la criminalità, quindi erano soggetti che andavano puniti, perché se i poliziotti fanno il loro dovere i privati non si devono schierare».

In particolare Battisti ha ammesso di aver sparato (almeno tre colpi, ndr) contro l’agente di custodia Antonio Santoro ucciso il 6 giugno 1978 a Udine; di aver partecipato al delitto di Sabbadin colpito a Mestre il 16 febbraio 1979, lo stesso giorno dell’agguato mortale contro Torregiani; di aver puntato l’arma e ucciso (con cinque colpi di pistola) Andrea Campagna, poliziotto in servizio alla Digos di Milano.

Non solo: l’ex terrorista dei Pac ha partecipato anche al ferimento – sempre tra il 1978 e il 1979 – di tre persone, tutte gambizzate. In particolare ha sparato contro Diego Fava, “colpevole” di non rilasciare abbastanza certificati medici ad alcuni operai, è stato condannato per aver preso parte all’azione contro l’agente di custodia del carcere di Verona Arturo Nigro e il medico della casa circondariale di Novara Giorgio Rossanigo.

CHI E’ CESARE BATTISTI. Nato a Cisterna di Latina il 18 dicembre 1954, nei primi anni ’70 abbandona la scuola e inizia la carriera criminale. Nel 1972 il primo arresto per una rapina a Frascati e due anni dopo per rapina con sequestro di persona a Sabaudia. Nel ’76 si trasferisce a Milano e partecipa a vari colpi. Viene arrestato di nuovo, sempre per rapina, e rinchiuso nel carcere di Udine dove conosce Arrigo Cavallina, ideologo dei Pac, i Proletari armati per il comunismo. In questi anni partecipa alle azioni del gruppo eversivo e commette i quattro omicidi, due materialmente e due in concorso, per cui deve scontare l’ergastolo: quello del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, ucciso a Udine il 6 giugno 1978, quello del gioielliere Pierluigi Torregiani e del commerciante Lino Sabbadin, che militava nel Msi, uccisi entrambi da gruppi dei Pac il 16 febbraio 1979, il primo a Milano e il secondo a Mestre; e quello dell’agente della Digos Andrea Campagna, assassinato a Milano il 19 aprile 1978. Battisti, fino ad oggi, si era sempre dichiarato innocente.

Detenuto nel carcere di Frosinone, nel 1981 evade grazie ad un assalto dei suoi compagni. Nell’85 è condannato in contumacia all’ergastolo per vari reati legati alla lotta armata e per i quattro omicidi, sentenza confermata dalla Cassazione nel 1991. La fuga, nel frattempo, lo aveva portato prima in Messico, dove rimane circa una decina d’anni, e poi in Francia nel 1990. L’anno successivo parte dall’Italia la prima richiesta di estradizione, ma Parigi dichiara non estradabile Battisti, che nel frattempo Oltralpe ha intrapreso anche una carriera come scrittore di noir. Sono anni in cui la Francia, con lo scudo della ‘dottrina Mitterand’, si mostra molto morbida con terroristi latitanti.

Quando dopo una serie di vicissitudini, durante le quali Battisti viene anche arrestato e poi scarcerato, nel 2004 il primo ministro francese firma il decreto di estradizione, l’ex terrorista è già fuggito in Brasile. Qui Battisti si sposerà e avrà tre figli: il 18 marzo 2007 viene arrestato a Copacabana con la cooperazione dell’antiterrorismo italiano. Parte una nuova richiesta di estradizione. Ma il Brasile gli riconosce lo status di rifugiato politico. E nel novembre 2009 il Supremo Tribunal Federal, pur a favore dell’estradizione, lascia la decisione finale all’allora presidente Lula, che il 31 dicembre 2010, ultimo giorno del suo mandato, annuncia il suo no. Battisti esce dal carcere. Il 3 marzo di cinque anni dopo una sentenza decreta la sua espulsione dal Brasile per via di una storia di documenti falsi e riprende quota l’ipotesi di un rientro in Italia. Ma l’espulsione viene annullata e tutto si ferma di nuovo. Fino al tentativo di fuga in Bolivia e al nuovo arresto il 4 ottobre 2017. Parte la macchina dei ricorsi e 3 giorni dopo Battisti è di nuovo in libertà. In Brasile però le cose cambiano. L’11 ottobre il presidente Michel Temer revoca l’asilo politico. Jair Bolsonaro, esponente della destra, già in campagna elettorale promette di estradare immediatamente Battisti se verrà eletto, cosa che avviene. E il 13 dicembre 2018 Luis Fux, magistrato del Supremo Tribunale Federale (Stf), ordina l’arresto dell’ex terrorista per «pericolo di fuga» in vista proprio della possibile estradizione, concessa nei giorni seguenti dal presidente uscente Temer prima dell’insediamento di Bolsonaro il primo gennaio 2019. Ma Battisti era fuggito ancora, in Bolivia, dove resta fino all’epilogo del 12 gennaio scorso quando viene arrestato per le vie di Santa Cruz de la Sierra dalla polizia locale in collaborazione con l’antiterrorismo italiano e immediatamente consegnato all’Italia.

STRATEGIA PROCESSUALE? «Non voglio entrare nel dettaglio della vicenda e del procedimento, pur avendo io difeso molte vittime del terrorismo. Ma è difficile credere a un pentimento dopo 40 anni: lo poteva fare prima, poteva rientrare prima in Italia e scontare la pena. Dal suo punto di vista personale, questo può diventare senz’altro un atto liberatorio, ma non c’è dubbio che, fatto adesso, questo gesto vada interpretato anche come una strategia processuale». È la valutazione espressa dal penalista Walter Biscotti, che ha patrocinato le vittime del terrorismo in vari processi, interpellato dall’Ansa sulla decisione di Cesare Battisti di ammettere le proprie responsabilità di fronte ai pm, confessando in particolare i quattro omicidi per i quali è stato condannato in via definitiva, ma dei quali finora si era sempre detto innocente.

Il 22 marzo scorso la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha respinto l’istanza della difesa e ha stabilito che Battisti debba continuare a scontare la pena in isolamento diurno. Ma il nodo più importante da sciogliere riguarda l’ergastolo: il legale di Battisti ha chiesto che venga commutato in 30 anni di carcere. Il 17 maggio è prevista l’udienza che dovrà decidere proprio su questo punto. È in questo quadro che si inseriscono le dichiarazioni fatte ora dall’ex terrorista dei Pac.

«Credo che Cesare Battisti – spiega l’avvocato Biscotti – abbia fatto una confessione degli atti delittuosi da lui commessi per poter rientrare nei benefici previsti dalla legge del 1987 che consente la commutazione della pena e anche l’accesso ad altri benefici. La differenza è rilevantissima, perché accedendo a questi benefici Battisti può certamente prevedere prima del previsto una possibile libertà. Già il fatto che la pena dall’ergastolo possa passare a 30 anni, significa che può accedere ai benefici di legge quando ha scontato almeno metà della pena. E scontare metà della pena significa, concretamente, scontare 12 anni per avere i primi permessi».

Del resto, fonti qualificate vicine al dossier, fanno notare che in linea teorica le ammissioni fatte da Battisti possono incidere anche sul regime detentivo, allontanano per lui il rischio del 41bis, il carcere duro. Non solo. «Tra le pieghe della legge sulla dissociazione – aggiunge Biscotti – ci sono certamente altri benefici, come l’ammissione al lavoro esterno. Moretti e molti gli altri brigatisti, essendosi dissociati hanno iniziato abbastanza presto a lavorare all’esterno del carcere, pur avendo avuto l’ergastolo».