La storia di Giorgina, da Aleppo ad Aprilia per ricominciare a vivere
Giorgina Sayeg parla attraverso i suoi grandi occhi azzurri circondati da lunghi capelli neri, solo dopo arriva la voce. Siriana di Aleppo, fino a sette anni fa aveva una vita normale, «con tanti sogni, un figlio e un marito». Insegnante di matematica lei, imprenditore lui. Poi la guerra, «il rumore che fa non lo potete immaginare – racconta mentre promuove l’iniziativa Welcoming Europe – ricorre sempre nei nostri incubi quello delle truppe che marciano e soprattutto quello delle bombe e dei missili».
«Dopo tre anni di guerra – racconta con un filo di voce e in un perfetto italiano – siamo scappati in Libano, dove siamo stati per due anni. Lì è nato il mio secondo figlio. Poi abbiamo conosciuto il progetto dei corridoi umanitari della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e siamo arrivati qui senza passare per il pericoloso mare, dove tanti di noi sono morti e continuano a morire».
Fino qui la storia degli ultimi sette anni. Una pausa, lo sguardo si abbassa ma poi gli occhi azzurri tornano a ricordare le emozioni, le paure vissute: «Quando guardi i tuoi figli impauriti e non puoi fare nulla per loro, allora non c’è più futuro, non c’è più vita. È lì che cominci a pensare si salire sui barconi, perché la guerra è la cosa più brutta che possa esistere. Abbiamo passato tre anni senza dormire un sonno tranquillo, cercando di proteggere nostro figlio. È soprattutto per lui che abbiamo deciso di lasciare Aleppo.
Adesso viviamo ad Aprilia (Latina), ma lui continua a sognare la guerra, ad avere incubi, anche se quando siamo andati via aveva solo tre anni». Quello alla sua Aleppo però non è un addio: «Quando da casa nostra ho portato via quelle poche cose non ho pensato che non sarei più tornata. Il mio è stato un arrivederci, anche se non so quando potremo tornare. Per adesso io e mio marito cerchiamo un lavoro, stiamo ricominciando da zero, anche da prima di zero. Ma io ripeto sempre, non è facile, ma non è impossibile».
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