Superficie 223, processo per l’opera di Capogrossi trafugata e poi venduta a Latina

04/04/2018 di

Dopo numerosi passaggi e acquirenti, hanno acquistato un dipinto del pittore romano Giuseppe Capogrossi senza sapere che, più di cinquant’anni fa, era stato sottratto illecitamente alla Pinacoteca di Bari.

Per questo due galleristi sono stati sottoposti ad un processo che si avvia alla conclusione con la richiesta di archiviazione presentata dalla procura.

L’opera però resta sotto sequestro e adesso coloro che si ritengono i legittimi proprietari del dipinto ne hanno chiesto al gip la restituzione. Si svilupperà ancora nelle aule di giustizia la vicenda relativa alla donazione, ritenuta illegittima, di ‘Superficie 223’, un olio su tela sottratto negli anni Sessanta alla pinacoteca della città metropolitana di Bari e di cui per decenni si era persa ogni traccia.

Nel settembre 2015 i carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale hanno recuperato il dipinto e lo hanno sottoposto a sequestro. Coloro che lo avevano acquistato, però, ora ne rivendicano la proprietà.

La questione sarà discussa a giugno dinanzi ad un giudice del Tribunale di Bari, il quale dovrà decidere se il dipinto potrà tornare alla galleria di Torino, ultimo di una serie di ignari acquirenti, oppure dovrà essere restituito alla pinacoteca barese.

L’opera era stata acquistata dalla pinacoteca per 500 mila lire nel 1957 in occasione della VII mostra nazionale di pittura contemporanea «Maggio di Bari», svoltasi nel Castello Svevo.

Sette anni più tardi, nel 1964, il dipinto fu donato all’allora assessore Vincenzo Mitolo. Un dono ritenuto oggi illegittimo perché, essendo stato acquistato con fondi pubblici, faceva parte del patrimonio dell’ex provincia e il consiglio provinciale del 1964 non aveva alcun titolo per decidere di regalarlo ad un assessore. Alla morte dell’assessore, il bene fu alienato dal figlio ad un altro soggetto e, dopo la morte di questi, finì alla «Finarte Casa d’Aste Spa» che ne curò la vendita nel 1991 in favore dell’82enne campano residente in Svizzera Filippo Giardiello, il quale a sua volta lo ha venduto poco dopo per 160 mila euro ad un altro gallerista, il notaio 57enne di Latina Giuseppe Coppola.

Per più di 50 anni del dipinto non si è saputo più niente, segnalato ormai tra le opere scomparse, fino a quando, nel 2015, è stato rinvenuto sul sito web della «Galleria d’Arte Mazzoleni» di Torino e sequestrato.

Ora i difensori di Giardiello e Coppola, gli avvocati Alessandro Dello Russo, Alfonso Furgiuele, Silvestro Carboni e Luca Giudetti, chiedono la sdemanializzazione del bene.