Sangue infetto, paziente di Cisterna ottiene risarcimento di 150.000 euro per epatite C

26/05/2017 di
sangue infetto

E1K301 Blood donor at donation.

È stata pubblicata oggi la sentenza del Tribunale di Roma, giudice Lilia Papoff, di condanna del Ministero della Salute a risarcire un 75enne di Cisterna di Latina per 150mila euro. L’uomo aveva scoperto solo 5 anni fa di essere positivo al test del virus delle epatite C, nel corso di esami del sangue di routine che evidenziavano valori anomali nel fegato.

Solo successivamente (come accade normalmente in questi casi) i medici che lo avevano in cura per l’epatite C in fase avanzata pre-cirrotica, hanno chiesto all’uomo se nel passato avesse avuto comportamenti a rischio (omosessualità, scambio di siringhe fra drogati, emodialisi, tatuaggi, body pearcing) mai praticati dal 75enne. Solo a seguito di diverse notizie di cronaca sui risarcimenti ottenuti da alcuni pontini per trasfusioni di sangue infetto, l’uomo di Cisterna ha ricordato che nel 1982 gli vennero praticate diverse trasfusioni di sangue presso l’ospedale di Cori ed in particolare la frase di un infermiere che gli disse che “… il sangue che viene da Latina non è buono…”.

L’uomo assistito dall’avvocato Renato Mattarelli aveva già avviato il ricorso per ottenere l’indennizzo speciale previsto dalla legge n. 210/1992 (Indennizzi in favore dei soggetti danneggiati dalle trasfusioni di sangue) ottenendo un assegno vitalizio dal 2013.

La sentenza di oggi che gli riconosce ulteriori 150mila euro in aggiunta all’indennizzo mensile costituisce dunque una prova che il sangue trasfusogli a Cori nel 1982 e proveniente dal centro trasfusionale di Latina era infetto con un grado di elevata probabilità, visto per altro, che non sono state rintracciate (benché richieste dall’avvocato Renato Mattarelli) la scheda dei donatori del sangue trasfuso la cui esibizione avrebbe potuto dare la prova contraria della bontà e della qualità del sangue somministrato al 75enne.

Nonostante il test del virus dell’epatite C venne approntato nel 1989, e reso obbligatorio per ogni donazione, la sentenza ha accolto la tesi medico-legale e giuridica dell’avvocato Mattarelli secondo cui esistevano già dal 1966 modalità di rilievo indiretto del virus dell’epatite C (prima noto come non A, non B) fra cui l’esclusione dalla donazione di sangue dei donatori con valori enzimatici del fegato elevati (indice di epatopatia in corso), l’obbligo di un test virale cd di superficie (rilevatore del virus dell’epatite B e di identica eziopatogenesi dell’epatite C) nonché l’obbligo di sottoposizione al calore umido e secco del plasma e degli emoderivati.

È chiaro che se tutto ciò fosse stato effettivamente fatto e controllato dai sanitari di Cori all’epoca della trasfusioni del 1982, l’uomo di Cisterna non sarebbe stato infettato quando aveva solo 40anni. Benché soddisfatto il 75enne dall’aver ottenuto l’indennizzo in vita di circa 800 euro ed il risarcimento di 150mila euro, dall’inizio della causa (2014) ad oggi l’uomo si è ulteriormente aggravato e si trova in una fase cirrotica che – secondo l’avvocato Mattarelli- costituisce un nuovo e diverso danno rispetto all’epatite C e per cui probabilmente inizierà a breve una nuova causa per il risarcimento di questo nuovo danno.

Infatti il decorso naturale del contagio del virus dell’epatite C si evolve con la guarigione spontanea solo del 5% dei contagiati, con la cronicizzazione dell’epatite del 95% degli altri infettati e, fra questi, il 10-15% può evolvere in una cirrosi epatica (come nel caso dell’uomo di Cisterna). Quella di oggi è una delle tante decine di sentenze che riguardano la sanità pontina sul periodo (fortunatamente trascorso) del cd “Scandalo del sangue infetto” che va ad inserirsi nelle migliaia in Italia.