Amri ospitato ad Aprilia, perquisite due abitazioni

28/12/2016 di

­Anis Amri in cella in Italia frequentava solo tunisini. Ed è tra questi che gli investigatori provano a cercare la rete di contatti che potrebbe aver aiutato l’autore della strage di Berlino del 19 dicembre nella sua fuga. Tre sono state le perquisizioni disposte dalla Procura di Roma, nell’ambito dell’inchiesta sull’attentato di Berlino, due delle quali in particolare in abitazioni di Aprilia, in provincia di Latina.

In queste due case Anis Amri sarebbe stato ospite, secondo quanto accertato dal pm Francesco Scavo, lo scorso anno. Nelle stesse case potrebbero ancora risiedere alcune persone che hanno avuto rapporti con il terrorista tunisino. Persone vicine al radicalismo islamico con cui Amri sarebbe venuto in contatto nei suoi quattro anni di detenzione e nel suo peregrinare, a causa dell’indole violenta, per ben sette istituti di pena. Si sta infatti scavando nel suo passato dal momento del suo sbarco a Lampedusa nel 2011.

La storia carceraria di Amri in Italia comincia il 23 ottobre dello stesso anno dopo che, con altri 4 immigrati, appicca il fuoco al centro di accoglienza di Belpasso nel catanese. Colleziona ben 12 procedure disciplinari nei 4 anni di detenzione, è violento, aggressivo, poco religioso ma ad un certo punto incline a comportamenti sospetti, assimilabili a quelli di un soggetto che medita un percorso di radicalizzazione. Per questo si stanno passando al setaccio i nomi e le case dei suoi compagni di cella, ne ha cambiati molti, visto il soggetto turbolento.

Quando esce dal carcere l’Italia prova ad espellerlo ma la Tunisia non recepisce le richieste italiane. Dunque, scaduti i termini per trattenerlo, viene emesso per lui un decreto di allontanamento dal territorio nazionale e contemporaneamente, a giugno 2015, tramite la questura di Palermo, l’Italia segnala ai paesi europei inseriti nella banda dati Schengen che Amri è persona non gradita e inammissibile sul territorio europeo. Dunque la prima segnalazione della pericolosità di Amri arriva nella banca dati Schengen per mano italiana il 23 giugno 2015. Quando nel dicembre 2015 la Germania rintraccia il tunisino sul suo territorio e rileva che ha contatti con ambienti radicalizzati chiede, appunto, all’Italia foto e impronte digitali di Amri. «Poche ore dopo», sostengono ambienti dell’intelligence, l’Italia invia ai colleghi tedeschi la documentazione. E non sarà l’unico scambio tra Italia e Germania. Il 17 febbraio 2016, infatti, l’Italia invia agli investigatori tedeschi il nutrito fascicolo giudiziario di Amri. La Germania ha infatti ricevuto dal tunisino una richiesta di permesso di soggiorno e chiede di nuovo all’Italia informazioni dettagliate sulla carriera criminale dell’uomo.

LE CAMPAGNE DI APRILIA. Amri si sarebbe dunque rifugiato proprio nelle campagne di Campoverde ad Aprilia dove forse aveva appoggi e protezioni. Il blitz della polizia è avvenuto in un appartamento in via Virgilio dove Amri avrebbe ricevuto ospitalità da un altro tunisino. Ora l’uomo si trova in carcere dove deve scontare condanne precedenti, per complessivi 4 anni. In casa era presente la moglie, un’italiana che è stata interrogata insieme ad altri parenti del marito. Non sono state trovate armi o altri elementi legati alla figura di Amri, almeno per il momento. Amri e il tunisino di Campoverde arrivarono insieme a Lampedusa, poi le loro strade si divisero: Amri finì in carcere mentre l’altro tunisino raggiunse Aprilia.

L’ARRESTO DEL COMPLICE. Nove giorni dopo l’attacco al mercatino di Natale di Berlino, la polizia tedesca ha arrestato nella capitale un presunto contatto del killer Anis Amri, che «potrebbe essere coinvolto nell’attentato». È un tunisino anche lui, di 40 anni, che vive a Berlino, ha reso noto la procura generale di Karlsruhe. Il suo numero di telefono era stato salvato sul cellulare di Amri, smarrito dall’attentatore durante l’attacco e ritrovato dagli investigatori poco lontano dal tir. A lui e ad altri «islamisti di Berlino e della Ruhr», secondo quanto rivelato da Focus, potrebbero essere giunti «messaggi vocali» e «foto» che Amri avrebbe inviato «fino a 10 minuti prima dell’attentato».

Nelle prime ore del mattino, ha riportato Spiegel online, agenti della polizia federale hanno fatto irruzione nell’appartamento e nell’ufficio del 40enne tunisino, nel quartiere meridionale berlinese di Tempelhof, procedendo «al suo temporaneo arresto». «Ulteriori indagini indicano che potrebbe essere stato coinvolto nell’attentato», ha aggiunto in una nota la procura, che ha ora tempo fino a domani sera per avvalorare i sospetti e decidere se emettere un formale mandato di arresto. Nel frattempo la Sueddeutsche Zeitung ha rivelato che è stato il «sistema di frenata automatico» in dotazione al tir ad evitare che il bilancio dell’attentato fosse molto più pesante. Non è stato dunque l’autista polacco, probabilmente già morto al momento dell’attacco, ma questo sistema a bloccare dopo 60, 70 metri la corsa del tir. E lo stesso quotidiano ha rivelato che le autorità di sicurezza hanno per due volte ritenuto «improbabile» che Amri progettasse attentati in Germania, discutendone nel Centro antiterrorismo, luogo in cui si riuniscono funzionari federali e dei Laender. E questo nonostante fosse noto che Amri aveva cercato «su internet istruzioni per fabbricare bombe e produrre esplosivo» e avesse tentato già «a febbraio contatti con l’Isis».

Anche per queste falle che emergono giorno dopo giorno, gli investigatori tedeschi sono sotto pressione. Da un lato si cerca di svelare la rete di contatti che Amri aveva in Germania ed eventualmente in Italia, dall’altra si prova a completare il tassello della fuga dopo l’attentato, da Berlino a Sesto San Giovanni. Anche su questo secondo versante il lavoro è complesso. Non sono dissolti i dubbi su una sua possibile tappa in Olanda. Un portavoce della procura di Nimega, città olandese al confine con la Germania e a 40 chilometri da Emmerich, dove il tunisino era ufficialmente registrato, ha detto alla Dpa che è «molto probabile» che il tunisino sia stato ripreso «da solo» dalle telecamere della stazione alle 11.30 del 21 dicembre. In precedenza anche media francesi avevano riportato che Amri era arrivato a Lione da Nimega con un bus della linea Flexibus.

Ma secondo gli investigatori italiani non esiste ancora alcuna prova in base alla quale si possa affermare con certezza che il killer sia mai passato dall’Olanda perché la scheda sim trovata in suo possesso è olandese ma inutilizzata e quindi poteva anche averla avuta da altri. Solo una precisa valutazione del video della stazione di Nimega potrà sciogliere il nodo. Gli unici dati certi sono che Amri ha comprato a Lione un biglietto Tgv per Milano, via Chambery-Torino, che è stato a Bardonecchia e da lì ha raggiunto alle 22.14 del 22 dicembre la stazione di Torino Porta Nuova a bordo di un treno regionale. A Torino, come hanno confermato i video delle telecamere, non ha mai lasciato la stazione ed è ripartito per Milano sul regionale delle 22.54.