Latina Ambiente, i vent’anni della Spa tra spartizione politica e conflitti d’interesse

20/11/2016 di
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A quasi vent’anni dalla nascita Latina Ambiente pone le sue sorti appese ad un filo che lambisce sia l’universo giudiziario che quello politico. E la ventesima candelina la spa, con tutta probabilità, farà in tempo a spegnerla, stando allo scenario sviluppatosi nelle aule della sezione fallimentare del Tribunale di Latina e alla linea dettata dall’ultimo Consiglio Comunale, convocato in seduta straordinaria su  richiesta delle opposizioni.

Si va dunque verso la proroga a giungo 2017, scadenza ultima fissata un anno e mezzo fa da Barbato in modifica allo statuto societario che ne prevedeva il fine vita a dicembre 2015. Un’eredità che acquisisce le sembianze di una vera e propria spina nel fianco dell’amministrazione Coletta. La prossima udienza – fissata per lunedì 21  – stabilirà l’ammissibilità o meno del piano concordatario presentato lo scorso 10 ottobre e rappresenterà il crocevia per il destino della società ma anche del progetto in house targato Lessio, prospettive su cui incombe lo spettro del fallimento.  Un’ipotesi che sarebbe una diretta conseguenza di una gestione scellerata in compartecipazione privato-pubblico, che innesta le sue radici sin dalla nascita di quella che è la prima partecipata di Latina.

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L’ex sindaco di Latina Ajmone Finestra

La partecipata-spot di Finestra. La società per azioni a maggioranza pubblica che espleta l’attività di igiene urbana e ambientale su tutto il territorio comunale nasce nel 1997, tramite una procedura ad evidenza pubblica che vede vincitore la Colucci Appalti, oggi presente nel partecipogramma societario come Unendo, il gruppo che detiene la totalità delle quote della Daneco, la quale esprime i membri nel cda.

La soluzione trovata all’epoca fu un’associazione temporanea d’impresa (ATI) con dalla Tecno Trattamento Rifiuti del gruppo Acqua – Emit dei fratelli Pisante (oggi Ecosesto). Proprio quest’ultima società, che deteneva lo 0,0049% delle quote, aveva sede a Milano allo stesso indirizzo della Colucci Appalti.  Nell’apposita commissione valutatrice delle offerte pervenute dalle ditte invitate alla gara – annotazione storica – era presente anche dall’Ing. Gian Mario Baruchello, poi divenuto membro del cda, nonché progettista e direttore dei lavori del porzione di discarica affidata ad EcoAmbiente, nata da invasi dismessi di proprietà Indeco, l’altro gestore del sito. Appunto Ecoambiente, società di capitali di cui il 51% delle quote azionarie appartiene alla stessa LatinaAmbiente ed  è in mano per il 25% proprio alla Daneco dei Colucci e per il 49% dalla Ecolatina impianti del ras dei rifiuti Manlio Cerroni.   L’atto finale di stipula della convenzione arriva in piena “zona Cesarini”; la data è il 14 novembre,  ultimo giorno di quella campagna elettorale che portò due giorni dopo alla rielezione di Finestra, nominato presidente del cda di Latina Ambiente dall’assemblea dei soci.

Partecipogramma societario di Latina Ambiente spa

Partecipogramma societario di Latina Ambiente spa

L’escamotage per aggirare lo statuto. Una narrazione a forti tinte di incompatibilità, visto che la sigla fu delegata al vicepresidente nominato dalla parte privata, Marco Fiorentino, per ovviare al fatto che Finestra, in qualità di rappresentante legale dei tre soci (Comune e la parte privata), non poteva praticamente firmare un accordo con sé stesso. In barba all’art.13 dello statuto che affida la nomina del rappresentante legale della società alla designazione del Consiglio Comunale. Un escamotage  che avrebbe proiettato un profilo di inconferibiltà sul suo incarico di sindaco fresco di riconferma popolare, paventato dall’esame di diverse sentenze della Corte di Cassazione i cui principi vennero successivamente inseriti nel dlsg 39/2013 su “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti provati in controllo pubblico”. Dunque Finestra lo stesso 14 novembre presenta le dimissioni da presidente –  incarico conferitogli il 1 ottobre durante la firma dell’atto costitutivo – e il successivo  1 dicembre il cda, e non l’assemblea a cui erano state comunicate le dimissioni, accetta la richiesta del sindaco e nomina l’allora assessore all’Ambiente Vincenzo Rondoni, attuale presidente di Ecoambiente,  a capo del cda e Fiorentino amministratore delegato.  Curioso il fatto che l’atto di dimissioni avesse decorrenza dal 13 ottobre, cioè da un mese prima rispetto a quando è stato presentato.  Un “parto” niente male per quella che è stata definita d molti “un ufficio di collocamento a fini di consenso elettorale”.

Tra valzer di poltrone e conflitti d’interesse. Non solo Rondoni e Baruchello. Altri profili transitano nel giro delle partecipate del Comune. I fratelli Colucci e i Pisante: tutti nomi che ritroviamo negli anni nel cda di Idrolatina, la srl che gestisce le quote private in Acqualatina.  I secondi, rimasti coinvolti in alcune inchieste del filone finale di Tangentopoli, entrarono nell’affare delle cessioni delle quote private a Veolia e li ritroviamo anche, per un certo periodo, tra gli azionisti di Ind.Eco tramite la società Acqua. Personaggi affiancati nel cda di Latina Ambiente a membri della parte pubblica scelti, durante la sua storia ventennale, sempre per nomina diretta dal sindaco e non dal Consiglio Comunale come previsto dall’art.11 dello statuto societario.  Incongruenze che troviamo ad esempio anche nella nomina di Mario Taglialatela, allora Segretario Generale del Comune, a ruolo di Presidente. O come nel caso di Stefano Gori, contemporaneamente consigliere in LatinaAmbiente e presidente di Ecoambiente, nonché nella commissione di valutazione assieme a Baruchello. Proprio in Ecoambiente si registra il maggior conflitto d’interesse. Chi doveva decidere le strategie per potenziare la raccolta differenziata doveva allo stesso tempo condurre la gestione dell’indifferenziato, aspetto, quest’ultimo, affidato ad Ecoambiente, anch’essa in liquidazione dopo la chiusura, avvenuta lo scorso 6 ottobre, degli invasi della discarica di Borgo Montello sotto il controllo della società.  Una situazione conflittuale con sfumature clientelari, accentuata da episodi come la firma nel 2013 del contratto di servizio messa nero su bianco da Bruno Landi, ex-presidente Dc della Regione Lazio, allora amministratore delegato sia di LatinaAmbiente che di Ecomabiente.  Quest’ultimo caso una vera e propria opera d’arte messa in piedi per strappare alla casse comunali ulteriori oneri per realizzare una raccolta differenziata che permettesse di puntare alla soglia del 65% prescritta già dalla direttiva europea 2003/35, obiettivo di legge già scaduto nel 2012. Il problema è che è un ciclo dei rifiuti in crisi come quello pontino, unito ai disservizi offerti dall’attività di gestioni dell’igiene urbana, non hanno fatto decollare la percentuale di raccolta, che ora si attesta al 34,5 % .

Bruno Landi

Bruno Landi

Landi, insieme a Rondoni e Nicola Colucci in qualità di esponenti  di Ecoambiente, dovranno rispondere il prossimo 9 febbraio, presso il Tribunale di Latina, di pesanti accuse in riferimento all’attività di gestione dei rifiuto presso la discarica di Borgo Montello:  quella aver inquinato consapevolmente la falda idrica con il percolato, di non aver controllato e impermeabilizzato a dovere tre invasi,  di non aver eseguito a dovere le necessarie bonifiche né i monitoraggi ambientali e, dulcis in fundo, di aver falsato le analisi sulle acque. Ma forse il festival della commistione di ruoli e del conflitto d’interesse, figlio di una vera e propria ingegneria amministrativa, lo vince l’allora capo ripartizione dei Lavori Pubblici al Comune di Latina Aldo Maria Calò, il quale si venne a trovare nel triplo ruolo di commissario, amministratore e funzionario comunale responsabile – quindi di controllore di se stesso – avendo ricoperto la presidenza della commissione comunale valutatrice delle offerte, partecipato alla stesure delle delibere propedeutiche alla costituzione della società e presenziato nel cda come membro di parte pubblica. Tripletta e si porta il pallone a casa.

La servitù.  Tornado ai passaggi immediatamente precedenti all’atto di costituzione, è necessario un focus sull’offerta dell’ATI Daneco – Tecno Trattamento Rifiuti, valutata dalla commissione presieduta da Calò e sulla quale aleggia una triplice “stranezza”. Prima stranezza – Venne giudicata la più vantaggiosa nonostante il canone proposto fosse più oneroso di 1 milardo e 400 mila euro rispetto a quello messo sul piatto dalla concorrente ammessa alla fase finale. Seconda stranezza – Era una proposta che implicava anche un piano di investimenti pari di 17 miliardi per nuovi compattatori, cassonetti e altri macchinari di servizio. Ma fu invece il Comune, con apposita delibera del Consiglio Comunale datata giugno ’98, a dover fornire per quella somma una garanzia fidejussoria presso la Cassa Depositi e Prestiti a favore del la stessa Colucci Appalti, la quale venne preliminarmente “rimbalzata” : la società era appena stata costituita e mancavano i bilanci delle precedenti due annualità necessari a verificare la solvibilità di un’azienda. Un mutuo che tra l’altro  prevede un ammortamento fino a giungo 2018, ben tre anni dopo il fine vita di Latina Ambiente, fissato in origine appunto a dicembre 2015; ma soprattutto, mettendo assieme le 20 rate annuali da un miliardo e mezzo l’anno di vecchie lire concordate, si poteva calcolare già da allora che si sarebbe sforato di 13 miliardi rispetto a quella che era la spesa pattuita al momento della firma della convenzione. Conseguenza inevitabile, il progressivo aumento delle tariffe a carico dei cittadini. Terza stranezza – All’epoca dell’approvazione del Consiglio Comunale dei risultati della gara d’appalto, non risultava sia stato acquisito il certificato antimafia. Circostanza emersa anche dall’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Massimo Scalia, fondatore di Lega per l’Ambiente, ora Legambiente, e ai tempi presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul traffico dei rifiuti.  Ma il vero colpo da fuoriclasse è stato messo a segno quel famoso 14 novembre 1997, durante la stipula dello schema di convenzione – approvato otto giorni prima dal Consiglio Comunale – ed è contenuto nello stesso statuto della Latina Ambiente spa. Si tratta di una clausola inserita all’art.10 che permette al socio di minoranza privato (49% delle quote) di ottenere la maggioranza dei membri sia nel cda che nel collegio sindacale, e automaticamente

Lo schema di convenzione approvato il 6 ottobre 1997 dal Consiglio Comunale

Lo schema di convenzione approvato il 6 ottobre 1997 dal Consiglio Comunale

avere potere discrezionale su quella frazione di capitale sociale – calcolata come 1 miliardo e 372 milioni di lire – che  il privato avrebbe dovuto versare “in funzione delle esigenze finanziarie della società”.  Proprio da quest’atto emerge una ulteriore mano tesa verso la governance della partecipata: toccava al Comune far fronte ai buchi di bilancio nella società attraverso gli introiti derivanti dalla TARSU, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Già dalle prime battute, dunque, si comincia a capire la direzione della servitù, chi tra le due parti – Comune e privato – avrebbe negli anni comandato. “Una struttura societaria anomala”, commentò in maniera quasi eufemistica il commissario Barbato.

Dalla costituzione ai giorni nostri: il bilancio 2014. Quasi un ventennio di gestione “in famiglia” si è risolto ineluttabilmente in una resa dei conti tra le due parti che rischiano entrambe enormemente.  Facciamo un salto temporale e arriviamo al 12 aprile 2015, data di uno degli ultimi consigli comunali dell’era Di Giorgi. In un clima surreale – viziato dall’odore di sfiducia e dalla presenza dei dipendenti di Latina Ambiente sul piede di guerra – si andava a discutere il futuro della spa che avrebbe dovuto cessare l’attività sette mesi. L’indirizzo è quello del superamento della società mista; la partita è in house contro esternalizzazione. La prima opzione sostenuta Da Giorgi e dai suoi alleati di partito, scelta volta a scongiurare l’ipotesi del fallimento paventata dall’istituzione di un bando di gara per l’affidamento esterno. Ma c’è tuttavia la spada di Damocle dei debiti di oltre 30 milioni già accertati dall’amministrazione di Giorgi e confermati nella relazione annuale inviata alla Corte dei Conti. Si apre così la strada della liquidazione. La maggioranza si spacca e Forza Italia vota con il PD per l’esternalizzazione. Una ferita che contribuirà fortemente a intonare il de profundis sulla giunta Di Giorgi. Con ogni probabilità un pretesto di facciata – o almeno è quello che emerge dalle carte dell’operazione Olimpia – con i consiglieri forzisti che votarono l’atto di sfiducia presentato dal blocco dem per evitare che il sindaco, messo alle strette dagli avvisi di garanzia e intento a mettere una toppa sui loschi affari  urbanistici, riportasse in Consiglio e al vaglio della Regione  i PPE incriminati, uno su tutti il PPE-Piave. Ad ogni modo si arriva al 21 ottobre 2015, giorno in cui si riunisce l’assemblea dei soci, a seguito dell’approvazione del bilancio di esercizio relativo all’anno 2014 che aveva portato alle dimissioni del presidente Massimo Giungarelli, dell’ad Maurizio Barra e di due membri del cda. Un documento assai criticato sia dal Collegio dei Revisori in carica che dalla società di revisione esterna (la Crowe Horvat), che certifica perdite per 1 milione e 400 mila euro. Cifra superiore al capitale sociale della spa e lievitata a 4 milioni in seguito alla visione della carte da parte della Procura.  In quella seduta ha presenziato la parte pubblica, nella persona del commissario Barbato, ma non quella privata. La Daneco – che manifesta più o meno velatamente la volontà di tirarsi fuori – diserta l’assemblea, il che si traduce in una vera e propria causa di scioglimento della società. Lo stesso Presidente del Coleggio dei Revisori – il preside della facoltà di Economia del Polo Pontino, Bernardino Quattrociocchi – a seguito del fatto, trasmette gli atti al Tribunale di Latina chiedendo la nomina di un commissario liquidatore giudiziale.

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Il braccio di ferro sulla questione debiti/crediti: pago io o paghi tu? Il nodo fondamentale che fa da spartiacque tra l’ipotesi del fallimento e quella di un concordato in continuità è quella sui crediti vantati da Latina Ambiente.  Ma anche  il quadro complessivo sullo stato di indebitamento della società appare come una matassa difficile da sbrogliare. La massa debitoria  riportata nel bilancio ammonta a 31.729.114,00 euro: 9 milioni li deve all’erario, 4 ai dipendenti (Tfr e altri emolumenti) e il resto a creditori privati. Somma che, stando a stime rendicontate nel bilancio,   sarebbe garantita,  da 31.748.344,00 euro di crediti: 16 milioni derivanti dalle tariffe di igiene ambientale (TIA) non riscosse e circa 13,5 milioni verso il Comune come crediti commerciali. Ma le partite debitorie in mano all’ente – e affidate al parere del Collegio dei Revisori nel settembre 2015 – non rispecchierebbero affatto tale ricostruzione.   Il debito riconosciuto del Comune nei confronti della partecipata sarebbe di 1,3 milioni. In linea con tale istanza è la posizione della Procura, secondo cui i criteri utilizzati dagli amministratori della spa per le valutazioni patrimoniali si sono rivelati inappropriati. Un’evidenza avvalorata anche dalla società  di certificazione esterna che, riferendosi al bilancio 2014, dichiara: “esso non è stato redatto con chiarezza e non rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della società”.

In pratica, certificato il debito di 1,3 milioni dell’ente, il resto della somma dei 13,5 milioni e mezzo che il Comune dovrebbe corrispondere a LatinaAmbiente sono già in contenzioso o comunque contestati da Piazza del Popolo. Per quanto riguarda invece i crediti Tia per il quadriennio 2006-2009, sono somme tramutate – come ha spiegato  Giulio Capirci durante il consiglio straordinario sui rifiuti – in debiti pro solvendo per l’ente. In altre parole, la società ha ceduto il debito al Comune, che si fa carico di riscuoterlo. “Non è un debito tanto che nel bilancio del Comune non è indicato come debito e non è indicato come credito nel bilancio di Latina Ambiente”, ha dichiarato l’assessore al Bilancio. Se l’ente ammette di dovere queste somme a LatinaAmbiente, da un lato rischierebbe il danno erariale e dall’altro dovrebbe inserirle nel bilancio e nel Pef, gravando sulla tasche dei cittadini. Aldilà delle diverse istanze e congetture su una situazione finanziaria ingarbugliata, lo strappo tra il Comune e la spa risulta evidente.

Giulio Capirci, assessore al Bilancio

Giulio Capirci, assessore al Bilancio

L’istanza di fallimento e la curatela. Si è arrivati così allo scorso 16 marzo, quando la Procura avanza un istanza di fallimento nei confronti di Latina Ambiente, confermando appunto il “conclamato stato di decozione” e uno “stato latente di insolvenza” rilevato dal Tribunale a dicembre 2015 e l’inconsistenza di gran parte delle partite creditorie presentati dalla spa.  Viene accolta dunque l’istanza dei rappresentanti dell’ente, che chiedevano di imboccare la strada della liquidazione, e quindi la nomina di un commissario liquidatore, individuato poi nella persona di Bernardino Quattrociocchi. Decisione arrivata anche in funzione della posizione di Daneco, che ha più volte manifestato la volontà di “non procedere ad alcuna ricapitolazione  dell’azienda e della attuale assenza dello stesso che ne conferma, di fatto, il disinteresse totale alla risoluzione delle gravi problematiche della società”.  Una procedura volta a soddisfare le pretese creditorie tramite la ripartizione degli utili e le somme derivanti da eventuale vendita di beni mobili ed immobili; in altre parole ad evitare il fallimento. Il tutto previa l’ammissione da parte del Tribunale di un concordato preventivo in continuità, che prevede la prosecuzione dell’attività in vista di una cessione dell’azienda in esercizio al termine della proroga.

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Il piano di concordato – di circa 30 milioni – è stato depositato lo scorso 10 ottobre da liquidatore. Circa 300 pagine suddivise in tre perizie contenenti tutte le certificazioni, il fatturato, la capacità tecnica, una relazione sul parco automezzi e una su Ecoambiente, quest’ultima finalizzata a stabilire il reale valore della società.  Un piano che va sommarsi a quello industriale,  sottoscrivente una fatturazione di 110 mila euro al mese fino a dicembre. Intanto la curatela Quattrocciocchi ha dato i suoi primi frutti: il servizio è stato implementato (dopo le minacce arrivate dallo stesso sindaco), il bilancio d’esercizio 2015 ha registrato un utile di un milione di euro, e gli stipendi sono stati pagati. Tre elementi che giocano a favore di un via libera al concordato da parte del Tribunale, contrapposti però ad una situazione patrimoniale ancora incerta – con i consulenti della parte privata che insistono sui crediti che la società vanterebbe – e al fatto che alcuni creditori stanno procedendo con azioni di recupero individuale, infrangendo il principio della par condicio creditorum.  Aspetti, questi ultimi, che aggravano la posizione della spa. L’unica cosa che appare certa è che se Latina Ambiente non viene ricapitalizzata, il fallimento sarà inevitabile.  E a quel punto il liquidatore esigerebbe in tempi abbastanza brevi la corresponsione del credito da parte del Comune, con serie ripercussioni sulle casse dell’ente.

La mannaia del decreto Madia sulla gestione pubblica (e il piano B).  Il respingimento del piano concordatario da parte del Tribunale, e quindi il fallimento della società, sarebbe un colpo durissimo per il progetto della nuova amministrazione, quello di una gestione in house dei rifiuti.  Tradotto, un servizio al 100% pubblico, espletato tramite una nuova municipalizzata che nascerebbe dalla ceneri di Latina Ambiente oppure – è l’altra ipotesi caldeggiata da Lessio e Coletta – una fusione con la virtuosa (e pubblica) Formia Rifiuti Zero. Insomma, la direzione intrapresa dal nuovo corso amministrativo è quella di una gestione “in casa” volta ad impiegare gli utili nel miglioramento del servizio e alla riduzione delle tariffe.

Roberto Lessio, assessore allAmbiente

Roberto Lessio, assessore allAmbiente

D’altro canto, era questo il senso sotteso alle motivazioni ufficiali – un GAP di 3 milioni nel piano finanziario per il raggiungimento degli obiettivi di legge sulla RD e un “mercato” restrittivo – per le quali è stata sospesa l’apertura delle buste ad offerte acquisite ed è stato richiesto un parer all’Anac (che ancora deve arrivare) in relazione alla gara per l’affidamento esterno. Bando pubblicato a giugno da Barbato in continuità con gli indirizzi posti dalla precedente consiliatura. Ma questo processo verso la ripubblicizzazione del servizio di igiene urbana potrebbe appunto  scontrarsi, in caso di esito negativo dell’udienza di domani e dei successivi sviluppi, nelle restrizioni derivanti dal Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, varato lo scorso luglio dal governo in attuazione delle deleghe contenute nell’art.18 della riforma Madia sulla pubblica amministrazione. Secondo tale normativa, “ nei 5 anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società in controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le amministrazioni pubbliche controllanti non potranno costituire nuove società, né acquisire partecipazioni in società già costituite o mantenere partecipazioni in società qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita ”.  Ma esisterebbe – come rivelato dall’assessore Capirci – un piano B per aggirare le nuove imposizioni legislative, ovvero impugnare la anomale dinamiche interne al cda, in cui, come già detto, il privato poteva esprimere la maggioranza anche avendo una frazione minoritaria in termini di quote azionarie.

Dunque, quella che è stata per anni la croce di una gestione asservita alla spartizione politica e ad interessi di terzi, può, alla fine dei giochi, risultare paradossalmente decisiva per il futuro dell’annosa questione rifiuti che da tempo mette in ginocchio il capoluogo pontino. La resa dei conte è vicina, ora la palla passa al Tribunale.