Gioielliere ucciso, suicida il killer di Formia: soffriva di gravi disagi

Precedenti penali per violenza sessuale e «un forte disagio personale». Sono questi i motivi per cui il presunto killer di Giancarlo Nocchia, il gioielliere ucciso a Roma, Ludovico Caiazza originario di Formia (Latina), che si è tolto la vita nel carcere di Regina Coeli stringendosi un lenzuolo attorno al collo e legandolo alla grata della finestra, era stato messo in cella da solo. È quanto spiega all’Ansa Santi Consolo, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che fa capo al ministero della Giustizia.
La domanda di fondo è ovvia: il fatto si stare da solo non potrebbe aver aumentato i rischi di suicidio? «Si trattava di fare una scelta – risponde il numero uno del Dap – sulla base delle prime informazioni. E dalle prime notizie trapelate, Ludovico Caiazza aveva precedenti per violenza sessuale e aveva una situazione personale di forte disagio. Per questo, per tutelarlo, non era stato messo a contatto con altri detenuti».
È questa infatti la prassi seguita nelle carceri e definita “precauzionale” nei confronti di soggetti con precedenti penali di questo genere, perché in cella gli altri detenuti generalmente non accettano di vedere gli spazi con chi ha compiuto violenze su donne o bambini e possono mettere in atto comportamenti violenti o di ritorsione.
Il Dipartimento subito dopo l’accaduto, ha avviato un’indagine interna per verificare quel che è successo e se ci siano state eventuali negligenze. «Sì – spiega Consolo – il Dap ha avviato accertamenti per ricostruire la dinamica dei fatti, come è prassi in questi casi. Da stanotte sono in costante e diretto contatto per acquisire informazioni su quanto accaduto. Gestire in carcere persone che manifestano un forte disagio individuale, come in questo caso, reso ancor più forte dal fatto che il soggetto era accusato di fatti gravissimi, non è semplice. La polizia penitenziaria svolge un compito delicatissimo. È vero che la compresenza di altri detenuti può aiutare a prevenire una situazione come quella che si è verificata. Ma nel caso specifico ha prevalso, in prima istanza e in attesa di più precisi riscontri, la necessità di tutelare il detenuto, visto che, come dicevo, le prime notizie indicavano precedenti per violenza sessuale. E per questo, a sua tutela, si è scelto di lasciare il detenuto da solo».
NON VOLEVO UCCIDERLO, POI IL SUICIDIO. Nelle ore di detenzione nel carcere romano Caiazza, a chi lo aveva visto, come lo psicologo, era apparso «agitato e preoccupato». «Non volevo ucciderlo, non pensavo che quella coltellata avesse potuto ammazzarlo», avrebbe detto disperato Caiazza già in cella. Incredulo che la coltellata alla coscia inferta a Nocchia lo avesse potuto uccidere. E increduli oggi sono anche i suoi familiari, sgomenti per l’accaduto anche se ormai abituati alla vita sbandata di quel figlio e fratello con tanti guai con la giustizia, che era ospite paziente fisso del Sert e che aveva tentato, invano, anche la carta di San Patrignano. Ad avvisare i parenti di Caiazza una telefonata nel cuore della notte: a comunicare la tragica notizia la compagna del 32enne con cui conviveva da tempo in un appartamento al Trullo, alla periferia della Capitale. «C’è poco da dire – taglia corto un parente – Siamo addolorati e increduli. Dobbiamo ancora realizzare quello che è successo. Da lui non ci saremmo mai aspettati qualcosa di simile». I genitori e i fratelli sono chiusi nel dolore nella loro casa di Formia.
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