BLOG – So’ de Latina. Essere (o non essere) Borgatara

Devo confessarvi una cosa.
Non sono proprio di Latina Latina, ma provengo da un borgo. Lo dico con un senso di colpa latente, quasi un dispiacere interiore, perché quando ero liceale i miei amici di Latina mi guardavano con aria di superiorità.
“Borgatara”
“Ma i borghi fanno parte di Latina, i miei nonni hanno costruito Latina”
“I borghi non stanno a Latina”
“Ma allora cos’è Latina?” mi chiedevo, e lo chiedevo ai miei genitori mentre mangiavo la polenta con le spuntature di maiale.
“Quello che stai mangiando lo è” rispondevano.
Non conoscevo la parola tradizione, nessuno la conosceva perché eravamo tutti giovani.
E quando dico tutti intendo proprio tutti. Bambini, adulti, anziani.
Poi, parlando con una mia compagna di classe, avevo capito che per lei Latina era: casatiello, pastiera, frittata di pasta e altre cose che non conoscevo. Quando andavo a casa sua e sentivo la nonna parlare un dialetto per me incomprensibile, mi sembrava di non stare più a Latina. Eppure ero proprio lì, e pure vicino al centro.
Per me Latina era un assembramento di persone a caso, raggruppate razionalmente.
Sono passati 15 anni.
Oggi penso che tradizione sia: pastiera e polenta, frittata di pasta e pane ferrarese. Quindi sicuramente a Latina si mangia bene.
Ormai si parla anche in maniera uniforme. Niente più dialetti, ma un romano imbastardito con nuove parole tronche, consonanti accentuate e dittonghi azzerati.
Ora finalmente ci capiamo tutti.
Ci capiamo ma parliamo poco con chi non conosciamo.
Alessandra si trasferì qui 5 anni fa, per motivi di lavoro. Aveva 23 anni. Io l’ho conosciuta quando ne aveva 24 e lei mi confessò che ero la prima persona con cui era riuscita a parlare.
Andava nei pub, la sera, per cercare compagnia, come era abituata a fare a Perugia.
Ogni tanto scambiava qualche battuta con qualcuno, ma quel qualcuno veniva subito riassorbito dal suo gruppo amicale di appartenenza.
Alessandra é rimasta per un anno sola, girando e sperando. La storia è lunga, ma qui basta dire che il finale è stato felice.
Ecco, in questa pacifica convivenza abbiamo bisogno di una scossa di apertura mentale e un tocco di tradizione.
Se voi siete d’accordo propongo di partire dal cibo.
Incontriamoci tutti, veneti e napoletani, setini e calabresi, indiani e marocchini, per inventare un piatto tipico tutto nostro. Qualcosa da esportare all’estero, che diventi famoso come gli “spaghetti Alfredo”, ma qualcosa di più buono perchè gli spaghetti Alfredo non sono così buoni.
Qualcosa che quando la mangi ti fa dire con orgoglio: “So’ de Latina”.
Mi rivolgo al Comune. Al Sindaco.
Caro Sindaco, se vuoi bene alla città e desideri che anche i suoi abitanti si vogliano bene, prendi in considerazione questa proposta.
Organizza una tavola rotonda, imbandita. Io porto il vino.