BLOG – So’ de Latina. Un po’ di gossip
Un po’ di gossip.
Quattro anni fa il mio ex mi lasciò tradendomi con una giovine molto più giovane di me (e di lui, ma l’amore non ha età). Io lavoravo con lui ma dovetti smettere, perché nel frattempo lui aveva assoldato la giovine e non me la sentivo di lavorare con colei che aveva lasciato i capelli sul mio cuscino.
Mia madre mi ha insegnato che i capelli vanno aspirati da qualsiasi superficie. Chi sporca pulisce. A casa del mio ex l’aspirapolvere c’era, non capisco perché non l’avevano utilizzata.
Comunque: persi il lavoro e contemporaneamente mi ruppi la mano perché mi cadde una finestra addosso (ebbene sì, le finestre cadono, ma solo addosso a me).
Traslocai a fatica nella casa della defunta nonna.
Lì ho fatto quattro quarantene consecutive perché non potevo guidare. Siccome avevo la mano ingessata, non potevo impastare ne pane ne pizza, non potevo fare ginnastica, non potevo lucidare la casa. Riuscivo solo a piangere, perché per piangere non servono mani, e a guardare le mura, il soffitto, il pavimento, perché non avevo nemmeno la tv.
La seconda settimana di solitudine notai che il soffitto della sala aveva alcune macchie. Probabilmente muffa. Se le guardavo bene però riuscivo a scorgere alcune figure: un cavaliere con la spada, un gatto, un drago. Se guardavo ancora meglio riuscivo a vedere altri personaggi: una contadina, una strega, una pentola con il coperchio. Lì, nel soffitto della sala, era rappresentata una storia che potevo leggere solo io, unica abitante della casa. I personaggi erano sempre gli stessi ma la trama poteva cambiare a seconda del mio umore.
Quando mi sentivo sola andavo in sala, alzavo gli occhi e iniziavano mirabolanti avventure.
La terza settimana di solitudine scoprii che anche le mattonelle del bagno avevano i loro personaggi e le loro storie.
La quarta settimana trovai racconti sulle venature del legno del vecchio tavolo in cucina.
La casa mi parlava e il tempo passava.
La mano guarì, il mio cuore ferito anche.
Trovai un lavoro, andai a vivere a Roma e ogni tanto tornavo in quella casetta della nonna, a Latina, ma sempre di corsa, stanca e impegnata.
Mi sdraiavo sul divano della sala e guardando il soffitto vedevo solo un soffitto ammuffito. Lo dovevo pitturare. Andavo in bagno e le mattonelle erano semplici mattonelle decorate. Carine. Il tavolo della cucina lo avevo coperto con una tovaglia gialla perché era troppo vecchio. Ne avrei dovuto comprare uno nuovo.
Salutavo la casa di nonna e tornavo nel traffico di Roma, nel lavoro, nella polvere della Tuscolana.
Oggi, per situazioni improbabili e assurde, mi trovo di nuovo a vivere nella casa di mia nonna, in una nuova quarantena.
L’altro giorno sono sobbalzata. In sala ho visto di nuovo il cavaliere con la spada, la contadina e la strega. Pensavo se ne fossero andati, non li vedevo da quattro anni.
Che fine avevate fatto?
Mi hanno risposto che loro erano sempre rimasti lì. In tutti questi anni non avevano mai smesso di parlarmi, di mostrarsi in tutto il loro splendore, inutilmente.
Sono andata in cucina, ho tolto la tovaglia gialla ed ecco che tra le venature del vecchio legno sono spuntate nuove storie.
Così, quando mi sento sola e sono stanca del telegiornale, spengo la tv e osservo la casa di nonna, cullandomi nei suoi racconti.
Il cavaliere con la spada ieri mi ha detto che tutte le case hanno storie da raccontare e di riferirlo a tutti i loro abitanti.
“Ma non tutte le case hanno soffitti ammuffiti o vecchi tavoli di legno!” ho replicato io.
Lui si è messo a ridere e ha ribadito: “Tutte le case parlano”.
Non ha aggiunto altro ed è andato a combattere insieme al drago per salvare la contadina dall’incantesimo della strega.