Malaria, il parassita “saltato” dal gorilla all’uomo

22/09/2010 di

Il parassita che provoca la malaria nell’uomo, il Plasmodium falciparum, ha
origine da un parassita dei gorilla e potrebbe essersi evoluto dopo un singolo evento
di trasmissione. La scoperta, annunciata su Nature, si deve a un gruppo di ricerca
internazionale coordinato dalla microbiologa americana Beatrice Hahn dell’università
dell’Alabama a Birmingham.

La malaria si diffonde tramite la zanzara Anofele che trasmette all’uomo il
parassita, ovvero il plasmodio. È una malattia che ha un impatto particolarmente
elevato perchè colpisce ogni anno 500 milioni di persone e ne uccide circa un
milione. A farne le spese sono soprattutto le popolazioni di Africa subsahariana,
Asia, America Latina, Medio Oriente. Per questo, nella lotta all’eradicazione della
malattia il risultato, sottolineano gli autori, è molto importante perchè aiuta a
conoscere meglio il parassita e in che modo si è adattato per infettare l’uomo. Lo
studio, sottolinea la parassitologa Alessandra Della Torre dell’università di Roma La
Sapienza, può, inoltre, «fare luce sul potenziale della trasmissibilità da animale a
uomo anche di altre specie di Plasmodium».

Vi sono quattro ceppi di plasmodio responsabili della malaria nell’uomo ma il più
pericoloso, perchè mortale è il Plasmodium falciparum le cui origini sono state a
lungo dibattute: si è pensato potesse derivare dagli scimpanzè o dai bonobi o persino
dai primi esseri umani. Ma compiendo analisi genetiche su parassiti prelevati da
campioni di feci di circa 3.000 animali dell’Africa centrale, tutti appartenenti alla
famiglia delle scimmie antropomorfe, i ricercatori hanno dimostrato che il parassita
del gorilla occidentale è quello più strettamente imparentato con il Plasmodium
falciparum che colpisce l’uomo. Secondo i ricercatori il parassita è saltato dunque
dai gorilla agli esseri umani e potrebbe essersi evoluto dopo un singolo evento di
trasmissione. Ma c’è bisogno di ulteriori studi sui campioni, sottolineano gli autori
nello studio, per riuscire a datare l’epoca in cui è avvenuta questa prima
trasmissione.

«È un lavoro interessante e sicuramente rappresenta un passo avanti nella conoscenza
dei plasmodi» così commenta la ricerca il parassitologo Roberto Romi dell’Istituto
Superiore di Sanità (Iss). «Ma le implicazioni della scoperta per la lotta a questa
malattia – aggiunge – non sono certo immediate».