Venditti racconta 20 anni di vita e musica
Il rombo del pianoforte con appesa sopra una voce che non ti puoi sbagliare. Un libro rosso di testi da sfogliare appoggiato sulle corde. La storia di una vita. E quella di un Paese filtrato da quella vita. È il “Ritorno al Futuro…” che Antonello Venditti ha regalato ai suoi fan facendo rivivere in un tour nei teatri il repertorio degli anni ’70 e ’80.
Partendo da solo, e forse non poteva essere altrimenti, da quella Bologna dove «scoppiò la prima bomba» sulla via di Roma alla quale è arrivato, «malgrado voi». «Io pensavo che nei teatri si fosse più vicini» le prime parole a sipario aperto «Abbiamo di fronte a noi il futuro che poi è il passato. Siete preparati? Sarà un viaggio pieno di emozione per me. Per farle bene devo tornare quello che ero». Ma quel futuro che allora si aspettava e sognava c’è già stato.
È passato, è storia. Una storia che inizia da un ragazzino che a 14 anni, «molto grasso, molto solo, scrive la prima canzone». Due passi verso il pianoforte («che mi ha salvato») e parte ‘Sora Rosà. Ai suoi piedi, un pubblico diversissimo. C’è chi quegli anni li ha vissuti; chi in quelle notti ci è nato; e chi ai tempi di “Giulio Cesare” o “Dimmelo tu cos’è” era ancora molto di là da venire. Qualcuno all’ingresso si lamenta perché non ci sono bancarelle con sciarpe e magliette. Ma lo spettacolo, non si presta troppo allo sfoggio del merchandising, ai cori. Un concerto raro, un momento di raccoglimento collettivo sui quarant’anni passati. Un viaggio attraverso l’Italia della censura, dei dirigenti Rai democristiani, dei 45 giri.
Un lungo colloquio, da quella prima canzone su Roma (Capoccia) scritta quando la sua città non l’aveva ancora mai vista “una canzone di cui mi sono vergognato per tanti anni, non l’ho fatta sentire a nessuno”. Le tre messe la domenica. Poi l’ingresso nel mondo musicale. Santa Maria in Trastevere, il Folkstudio “un posto meraviglioso dove sono passati tutti”.
Poi il matrimonio, “pare che sia stato un marito un pò…” sbuffa. L’amore. Giù giù fino ad oggi, “sono diventato pure presbite e qualche volta, pensa mi devo togliere gli occhiali”, scherza. Dopo un’ora e mezzo di piano e voce, salgono sul palco la band che invita a sedersi sui due divani che fanno da scenografia (insieme a delle lampade accese ne buio) undici ragazze dal pubblico. I suoni si fanno più pieni, le canzoni quelle che segnano le epoche: Lilly “che non faccio da tanto, mi fa male”. Giulia. Sara. “Ma bomba o non bomba, noi arriveremo a Roma« poi, senza pausa “Nata sotto il segno dei pesci”. Un gran finale con luci come raggi laser sparati in balconata. Il pubblico dal rito esce, applaude. Venditti continua a suonare per ore nonostante una spalla rotta, “Chissà com’è possibile” si dice. Raccoglie gli applausi.