SUICIDA A NETTUNO L’AGENTE CHE ARRESTÒ CAPI BR

10/04/2010 di

Il 2 marzo del 2003 Bruno Fortunato, sovrintendente della polizia
ferroviaria, rimase gravemente ferito nel conflitto a fuoco che portò alla cattura di
Nadia Desdemona Lioce e alla morte di Mario Galesi, i vertici delle nuove Br, con
quest’ultimo che uccise l’altro poliziotto Emanuele Petri. Ieri sera, Fortunato si è
suicidato nella sua casa di Anzio sparandosi un colpo alla testa con la sua pistola
d’ordinanza che, come prassi, aveva tenuto dopo essere andato in pensione per le
conseguenze della sparatoria di sette anni fa (nel corso della quale fu proprio lui a
uccidere Galesi).

Perché lo abbia fatto non è stato ancora chiaro. Sembra infatti che Fortunato, 52
anni, originario di Portici, nel napoletano, non abbia lasciato biglietti per
spiegare il suicidio. Chi lo conosceva ha comunque sottolineato che dal giorno della
sparatoria non era stato più lo stesso.

«È una cosa che non mi aspettavo» ha detto Alma Petri, la vedova di Emanuele,
visibilmente scossa. «Un ottimo servitore dello Stato, una persona che ha fatto il
suo dovere fino in fondo a rischio della vita» le parole dell’avvocato Antonio
Bonacci che ha rappresentato l’agente come parte civile.
Il 2 marzo del 2003, sul treno Roma-Firenze, nel tratto fra Terontola e Arezzo,
Fortunato avvertì quello che definì poi lui stesso un «pizzico all’addome». Era il
colpo di pistola sparato da Galesi che gli perforò il fegato e un polmone.
L’agente riuscì però a reagire uccidendo il brigatista che aveva già colpito
mortalmente Petri.

Per Fortunato non era però ancora finita. La Lioce gli puntò infatti contro la
pistola sottratta a Giovanni di Fronzo, il terzo agente impegnato con la pattuglia
che individuando i due Br sul treno diede di fatto l’avvio alla fase decisiva delle
indagini per smantellare l’organizzazione eversiva (un’operazione per la quale i tre
hanno ricevuto la medaglia d’oro al valor civile). La brigatista cercò di fare fuoco
verso di lui, non riuscendoci solo per la sicura che bloccava l’arma.

Fortunato rimase in ospedale per 30 giorni, sette dei quali in rianimazione. Quindi
mesi di cure e la dispensa dal servizio dopo un anno di malattia. A raccogliere la
sua eredità professionale i figli che si arruolarono in polizia come quello di Petri.
«Il mio rammarico più grande? – aveva detto tempo fa Fortunato testimoniando in uno
dei processi alle Br – Non avere sparato, non avere ucciso Nadia Desdemona Lioce che
mi puntava contro la pistola e non è riuscita ad ammazzarmi solo perchè aveva la
sicura». Nelle sue parole aveva però trovato spazio anche il rammarico, come nel
maggio del 2006: «Qualche sera fa ho ascoltato un’ intervista ai parenti di Aldo
Moro, i quali hanno detto che nessuno si è più ricordato di loro, e neppure gli amici
si sono fatti più vivi. Accade anche a me, nonostante io abbia incontrato le Brigate
rosse molto più recentemente».
Perchè oggi Fortunato si sia ucciso rimane però un mistero.