VIA LIBERA AL DECRETO RONCHI: PRIVATIZZATA LA GESTIONE DELL’ACQUA

19/11/2009 di

Via libera definitivo della Camera al decreto legge Ronchi che contiene anche la privatizzazione della gestione dell’acqua. Il provvedimento di urgenza è stato infatti approvato dall’Aula di Montecitorio senza apportare alcuna modifica al testo licenziato dal Senato consentendone così la conversione in legge. Il semaforo verde scattato questa mattina è stato preceduto dall’ennesima protesta contro quella che viene definita «l’espropiazione della gestione del servizio idrico agli enti locali con tutto vantaggio per i privati».

Una protesta che si è concretizzata in un gesto simbolico: i rappresentanti del Forum del movimenti per l’Acqua si sono incatenati alle transenne antistanti Montecitorio all’insegna del grido ‘Se voti la privatizzazione dell’acqua, non lo fai in mio nomè. Non sono mancati gli striscioni: Giù le mani dall’acqua, acqua a quale costo? L’acqua è un diritto e non una merce, vi sporcate le mani con l’acqua.

La vicenda. È stata appena approvata la riforma del servizio idrico con il via libera definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge Ronchi sugli obblighi comunitari che ne disciplina la gestione all’articolo 15. Ma l’oro blu ne ha già ‘passatè tante nell’ultimo secolo e questo è l’ennesimo cambiamento che, più di tutti gli altri, mette nell’angolo la gestione pubblica e amplia gli spazi per quella privata. La storia parte da lontano. Fu sotto il governo Giolitti che venne approvata la legge nazionale per la municipalizzazione degli acquedotti. Una scelta scaturita dai problemi igienico-sanitari, dagli alti costi per i cittadini e dalla necessità di estendere il servizio alle fasce più povere della popolazione. Novantuno anni dopo, con la legge Galli, è iniziato invece il processo di privatizzazione. La legge del 5 gennaio 1994 n.36, come spiega Paolo Carsetti, segretario del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, «ha sancito, infatti, il principio del full recovery cost. Principio in base al quale tutto il costo della gestione del servizio idrico deve essere caricato sulla bolletta e non è più, quindi, la fiscalità generale a farsene carico. In particolare con la legge Galli viene stabilito che ognuno paga in bolletta il 7% di quanto il gestore ha investito. L’acqua, però, doveva essere comunque gestita dagli enti locali». La legge Galli, argomenta l’idrogeologo, ha comunque il merito di aver riorganizzato il servizio. Fino a quel momento c’era stato un forte spezzettamento dei gestori del servizio. All’interno dello stesso territorio c’erano tanti: uno che faceva fronte ai servizi di captazione, uno per l’adduzione ed un altro per la depurazione. Uno spezzettamento che aveva portato alla presenza di «un numero di gestori superiore a quello dei comuni». Di fronte a questo stato di cose, la Legge 36 ha introdotto «il concetto di ciclo integrato dell’acqua e quindi la necessità di un unico gestore per l’intero ciclo. A questo fine ha individuato gli Ambiti Territoriali Ottimali (Ato) in corrispondenza (almeno in linea teorica) dei bacini idrografici (in realtà sono stati ricalcati i confini amministrativi).