LE VITTIME DEL CIRCEO NON PARLANO MA IL LORO GRIDO SI SENTE ANCORA

07/09/2009 di
di Sergio Talamo *

Ancora una volta ci siamo accapigliati su loro tre, Guido-Ghira-Izzo, e non commossi per loro due, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Per 34 anni, nel delitto del Circeo hanno sempre fatto più notizia i carnefici che le vittime. Forse perché in quel 1975 gonfio di furori politici, la violenza dei ragazzi-bene contro le ragazze di borgata sembrava scritta apposta per confermare uno slogan. Ricchi contro poveri, uomini contro donne. Forse per questo, in oltre tre decenni i cinque protagonisti sono sempre rimasti attori di un brutto film ideologico. Se fossero tornati persone, non staremmo qui a discutere se Guido è stempiato, imbruttito, dimagrito. Non staremmo a sentire i suoi vicini che dicono «è tanto una brava persona». Non saremmo così comprensivi con la sua famiglia «che gli è sempre stata vicina». Se quei cinque fossero tornati persone, non avremo tutta questa voglia di archiviare. Magari, rivedremmo il Circeo con gli occhi di Rosaria che morì quella notte. Con gli occhi di Donatella che morì lungo i 30 anni che vennero dopo.


Non vide il 2006, Donatella Colasanti. Nel settembre del 1975 aveva 17 anni, e di colpo la sua fresca gioventù fu gelata da un massacro spuntato in una notte qualunque. Si salvò per caso, mentre la sua amica Rosaria Lopez veniva seviziata e poi affogata in una vasca da bagno: «Questa non muore mai», disse spazientito Guido. E lei capì che doveva chiudere gli occhi, tremare e sperare. Si finse morta per un giorno intero, poi qualcuno udì i suoi flebili lamenti dal bagagliaio di una 127 rossa. I giornali tuonarono, l’Italia fu percorsa da mille cortei… Poi, però, il tempo passa.

Donatella è morta il 30 dicembre 2005 in un letto d’ospedale. Ma c’è una sua frase, detta qualche mese prima, che ha segnato la sua vera fine, cioè la resa all’ingiustizia di tanti anni prima: «Ora basta. Che nessuno parli più del massacro del Circeo. L’unica titolata sono io, che in tutti questi anni ho lavorato da sola, mente tutti facevano finta di niente, dai magistrati ai ministri, ai giornalisti che pur di fare uno scoop intervistavano Izzo».

Poche amare parole per una sola verità: accanto a me non c’è nessuno, non lo Stato né la politica né i giudici né la stampa. Sono sola, io con i miei incubi, io con la mia vita spezzata. Perché, per tutti gli altri, quella notte al Circeo è solo folclore d’epoca. Per me, quella notte è il volto mostruoso del mondo.
E da quel mondo Donatella se ne andò quando scoprì che Angelo Izzo, uno dei suoi massacratori, non solo era libero ma faceva anche l’assistente sociale ed il collaboratore della polizia. L’Italia si era fidata di lui fino a lasciarlo agire indisturbato, fino a dover scoprire che il giovane folle del 1975 era tale anche 30 anni dopo; ed infatti aveva ucciso di nuovo. Izzo era ancora protagonista di una storia di morte e di stupro; ancora due donne come vittime (allora due amiche, questa volta una madre e una figlia); ancora una villetta discreta ed appartata, allora sul mare del Lazio oggi su una collinetta del Molise; ancora un gioco sadico, a metà fra sesso estremo e violenza brutale.

Angelo Izzo ricomparve alle cronache ingrossato, con gli occhiali spessi. Ma dietro le lenti, ecco quei fari raggelanti che nel 1975 animavano un visino da rampollo viziato dai soldi e dai privilegi.

Donatella fu uccisa dai suoi ricordi offesi, dalla storia di Izzo raccontata come un romanzo d’appendice: il semi-detenuto che faceva volontariato e oggi uccideva la moglie e la figlia di un ex boss della Sacra Corona Unita. Che affascinante giallo nel giallo!

Donatella guardava e pensava a quell’altro Angelo Izzo che aveva torturato lei e Rosaria per ore, poi le aveva gettate in un bagagliaio chiuse in buste di plastica come la spazzatura; poi era andato con i suoi amici in pizzeria; poi per decenni era stato risparmiato, insieme ai suoi amici, da una giustizia compiacente e da premurose famiglie che perdonavano facilmente lo strazio inflitto agli altri.

Donatella Colasanti si chiese: «Perché Izzo è libero? Come mai la giustizia ha dato fiducia a lui che aveva dato informazioni sempre false, a lui che aveva tentato tante volte di evadere?». Si domandò queste cose e non si seppe dare risposta. Non poteva più credere al suo Paese. Si piegò su se stessa, chiuse gli occhi. Questa volta morì davvero.

Dopo che è stato liberato Gianni Guido, ripercorriamo la stessa traccia di scandalismo a buon mercato. Cerchiamo il colpo di scena, l’effetto spettacolare dell’ex belva addomesticata dagli anni, che pianse quando morì Ghira, che «rispetta il dolore delle famiglie delle vittime». Le torturiamo ancora, quelle due povere figlie del ’75. Loro non possono parlare, ma è come se gridassero ancora. (* Ilmessaggero.it)

 

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