L’ITALIA TORNA AL NUCLEARE, UNA STORIA LUNGA 50 ANNI
La copertina è cartonata, di altri tempi, coperta dalla polvere. Comincia con Enrico Fermi. L’ultima pagina scritta era del 9 novembre 1987, data del referendum abrogativo che scrisse «nucleare, no grazie» sulla cartina d’Italia. È il quaderno della storia del nucleare italiano che ora, dopo l’approvazione del decreto sviluppo alla Camera, bisognerà andare a riprendere dall’archivio per scrivere nel titolo la parola “Ritorno”.
Il voto favorevole di Montecitorio, con la necessità ancora solo di un brevissimo iter al Senato per la quarta lettura, sancisce il ritorno dell’Italia al nucleare. La nuova avventura nucleare parte in un Paese profondamente cambiato che attraversa, come il resto del mondo, una profonda crisi economica, nel quale le tematiche ambientali sono entrate a pieno titolo nell’agenda politica insieme alla dipendenza energetica dai paesi produttori di petrolio.
Enrico Fermi fece le sue ricerche negli Stati Uniti già dagli anni ’30 ma in Italia bisognerà aspettare il 1962 perchè la prima fissione abbia inizio. La prima volta succede nella centrale di Borgo Sabotino in provincia di Latina, seguiranno poi Garigliano (Caserta) nel ’63, Trino (Vercelli) nel ’64 e infine Caorso (Piacenza) nel ’77. Grazie alle prime tre centrali l’Italia arriverà, nel ’66, a essere il terzo produttore al mondo di energia nucleare. L’idillio atomico però iniziò a rompersi due anni dopo la costruzione di Caorso, nel 1979, con l’incidente di Three Miles Island negli Usa per spezzarsi definitivamente nel 1986 quando sull’Europa si distese la nube radioattiva proveniente da Chernobyl in Ucraina, il più grande incidente nucleare della storia.
Proprio il profondo impatto di quella catastrofe ebbe un peso determinante nel risultato del referendum che bocciò in modo chiaro l’Italia a spicchi gialli e neri. A sentirli ora i numeri del referendum sembrano, e forse sono, di un’altra epoca: votò il 65% degli aventi diritto, con il sì che superò il 70%. Quando si votò per il referendum c’era ancora la prima repubblica, la 500 era una macchina popolare e non l’utilitaria chic pronta a sbarcare in Usa, il Pc era il partito comunista e non un personal computer. In mezzo son cambiate molte cose e anche di nucleare si è tornato a parlare: la proposta del ministro Clò, nel ’95, di «riprendere il discorso», il tentativo fallito di stoccaggio delle scorie a Scansano Ionico nel 2003, poi mandate in Francia; la possibilità, contenuta nel decreto Marzano del precedente governo Berlusconi, concessa all’Enel di operare nel settore all’estero, con l’acquisto tre anni fa, della slovena Sloveske Electrarne e, infine, oggi il testo che permette di aprire nuovi siti nucleari in Italia.
Ora manca solo l’ultimo passaggio: l’esame del Senato in quarta lettura delle novità introdotte alla Camera. La normativà sarà pronta e, per un concreto ritorno al nucleare, bisognerà affrontare il difficile nodo della localizzazione degli impianti e delle risorse necessarie per la loro costruzione.