MAGISTRATI SOTTO ACCUSA E CARCERE PER I GIORNALISTI, COSI’ UCCIDONO L’INFORMAZIONE

17/02/2009 di

La ribadita volontà di mandare in carcere i giornalisti è certamente grave e come tale va contrastata decisamente, ma la questione peggiore che emerge dagli emendamenti al ddl Alfano approvati in Commissione Giustizia della Camera è l’imposizione dell’anonimato sull’operato dei magistrati. L’articolo 101 della Costituzione sancisce che “la giustizia è amministrata in nome del popolo”. Il popolo dunque deve essere messo nelle condizioni di poter controllare come la giustizia funziona, nel bene e nel male. Impedire di conoscere il nome del magistrato incaricato di un provvedimento, che l’on. Francesco Paolo Sisto, proponente dell’emendamento accolto, considera positivo, è invece esiziale. 

Se oggi il magistrato Tizio scarcera uno stupratore assassino, ne assume in prima persona la responsabilità, davanti alla legge, all’opinione pubblica, alle procedure disciplinari. Se il nome del magistrato dovesse rimanere segreto, non sarebbe Tizio il responsabile della scarcerazione, ma genericamente “il magistrato”. Sarebbe cioé tutta intera la istituzione Magistratura a finire sotto accusa e ad essere chiamata a pagare il fio dell’esecrazione popolare, con una evidente e corrosiva opera di delegittimazione del suo ruolo e delle sue funzioni. Gli emendamenti approvati ieri, aggravano l’impianto originario del ddl Alfano, già estremamente negativo perché oscura tutte le inchieste su qualsiasi reato, dall’omicidio agli stupri, passando per le tangenti e per i crac miliardari della finanza, le rapine, i sequestri, la mafia, la partite truccate, la concussione, i voti di scambio.  

Prevedere la condanna al carcere nasce da una genuina, viscerale pulsione a “sbattere i cronisti dietro le grate di una cella e buttare la chiave” che ogni tanto prorompe “al naturale”. Poi l’insostenibilità di certe posizioni fa recedere dalle previsioni estreme. Ma intanto i giornalisti, i magistrati e gli altri sono avvertiti… le carceri ci sono e se si dovessero affollare un po’ di più di quanto non siano già normalmente, via, non sarebbe poi una cosa dell’altro mondo. E per completare l’espropriazione dei cittadini del loro diritto di sapere cosa accade nel Paese, si introducono pesanti multe sugli editori per spingerli all’autocensura, e costringere le società editrici a legare dentro protocolli da fabbrica sovietica l’autonomia professionale dei giornalisti, dai cronisti al direttore. (Unci) 

INTERCETTAZIONI: ORDINE GIORNALISTI, DDL NON DA PAESE CIVILE (ANSA) – ROMA, 17 FEB – «Anche i parlamentari sono uomini. O donne. E a volte non riescono a contenere il risentimento personale. L’indignazione viene di gran lunga dopo lo sconcerto nel vedere una giornalista, l’onorevole Deborah Bergamini, che propone e ottiene la previsione del carcere per i giornalisti che pubblichino intercettazioni delle quali sia stata ordinata la distruzione». Lo dicono in un comunicato congiunto il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, e il segretario, Enzo Iacopino. «Lo sconcerto viene dopo l’incredulità nel vedere un altro parlamentare, l’on Antonino Lo Presti, proporre, e ottenere, che non si possa riferire alcunchè, neanche per riassunto, riguardi fatti e persone estranei alle indagini per le quali quelle intercettazioni furono disposte. Nulla, indipendentemente dalla rilevanza di quanto eventualmente emerso. Non importa ci sia l’allarme per un reato grave: se non era quello l’oggetto dell’indagine tutto deve rimanere segreto. Salvo si avvii un’altra procedura con tempi che consentiranno a medici disinvolti di continuare a violare senza ragione il corpo di pazienti sani, a mercanti di morte di integrare i guadagni del traffico di droga con una tratta di esseri umani, a malfattori d’ogni natura e latitudine con molteplicità di interessi criminali di non veder rivelate le loro trame se non una alla volta». «Sbaglia, gravemente, chi lamenta un attentato al diritto di cronaca. Qui in gioco non ci sono i diritti dei giornalisti, ma – spiegano – quello essenziale dei cittadini di essere adeguatamente informati per poter esercitare con consapevolezza i loro diritti costituzionali. Qui in ballo non c’è il desiderio di poter replicare conversazioni più o meno pruriginose, ma il dovere di poter rendere i cittadini partecipi di quel che accade nella società, non solo nel mondo della politica. La previsione di mandare in carcere i giornalisti per fatti collegati al loro lavoro non è certo da Paese civile. I giornalisti non rivendicano diritti speciali, ma auspicano che il Parlamento non perseveri su una strada che impedisce di onorare i doveri che derivano loro dalla Costituzione».