CASO MORO/LA STORIA, I MISTERI, I RICORDI
A 30 anni dal rapimento di Aldo Moro, la ricostruzione di quei giorni.
MORO/30: QUEL GIORNO IN VIA FANI /ANSA
(ANSA) – ROMA, 14 MAR – 16 marzo 1978, ore 9,02: una Fiat 132 con a bordo il presidente della Dc Aldo Moro e il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, guidata dall’appuntato Domenico Ricci, percorre via Mario Fani, seguita dall’Alfetta con i tre agenti della scorta, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Le due vetture sono partite, come quasi ogni mattina, dall’abitazione di Moro, in via del Forte Trionfale, e, seguendo il percorso abituale verso il centro, hanno raggiunto via Fani. In via Fani, davanti al bar Olivetti (chiuso per il riposo settimanale), pochi metri prima dell’ incrocio con via Stresa, una Fiat 128 con targa diplomatica frena bruscamente e viene tamponata dalle auto dei Moro, che restano bloccate. In tre minuti, un «commando» di brigatisti formato, almeno ‘ufficialmentè, da nove persone (pi una decima con funzioni solo di vedetta), vestiti con divise da aviatori civili, uccide gli uomini della scorta e sequestra il presidente della Dc. Solo Jozzino, ferito, riesce a sparare qualche colpo, inutilmente, prima di essere finito. I terroristi hanno sparato in tutto 91 colpi, 49 dei quali ad opera di un unico killer, che usava un’arma mai ritrovata. Un testimone esperto di tiro definir quel brigatista «un tiratore scelto» che sparava come «Tex Willer». Il commando era formato da Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore (il cosiddetto ‘gruppo di fuocò), Mario Moretti e Bruno Seghetti (alla guida di due auto), Barbara Balzerani, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri (nel ruolo di ‘cancellettì), pi Rita Algranati che, pi distante, doveva segnalare agitando un mazzo di fiori l’arrivo del corteo di auto con Moro a bordo. Molti testimoni hanno per parlato della presenza di due persone su una moto Honda. In pi, nella ricostruzione ufficiale non quadra il fatto che tutti i terroristi avrebbero sparato da un solo lato, mentre una perizia (e alcune testimonianze) sembrerebbero dimostrare che uno dei killer era sul lato opposto. Moro stava andando alla Camera, dove Andreotti avrebbe presentato il suo nuovo Governo, il primo con l’appoggio del Pci, nato proprio dal paziente e faticoso lavoro di Moro. All’angolo dell’agguato c’era di solito il furgone di un fioraio, ma quel giorno era rimasto a casa perch aveva trovato il suo mezzo con tutte le ruote squarciate. Da un balcone, un testimone, carrozziere, scatta diverse foto. La moglie, giornalista dell’Asca, consegna il rollino al giudice Infelisi. Alle 9,24 polizia e carabinieri dispongono posti di blocco sulle strade in uscita dalla città, mentre in via Fani sono arrivati i responsabili dell’ ordine pubblico ed Eleonora Moro. Lo statista, secondo la ricostruzione in seguito fatta da Morucci, con una «132» scortata da altre due vetture ha raggiunto Monte Mario. Il presidente della Dc viene trasferito su un furgoncino e con questo viene portato in un parcheggio sotterraneo in via dei Colli Portuensi e qui trasbordato su un’ auto «blu» che lo porta nella «prigione» di via Montalcini. Alle 10:10 arriva all’ANSA la prima telefonata di rivendicazione delle Br. Nella giornata viene proclamato lo sciopero generale e centinaia di migliaia di persone manifestano a Roma e in tutte le più grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. Il caos aumentato dal fatto che i telefoni della zona, proprio in quel momento, rimangono muti. Un malfunzionamento dovuto, secondo la Sip, al sovraccarico delle linee. (ANSA)
MORO: I 55 GIORNI PIÙ LUNGHI DELLA REPUBBLICA/ ANSALETTERE, COMUNICATI VERI E FALSI, IL COVO DI VIA GRADOLI (ANSA) – ROMA, 1 MAR – Cronologia dei fatti principali dei55 giorni del rapimento Moro:
– 16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo avere bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta (due carabinieri e tre poliziotti) e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l’azione con una telefonata all’ANSA. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato. – 18 marzo: arriva il ‘Comunicato n.1’ delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l’inizio del ‘processò. Funerali degli uomini della scorta. – 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. – 20 marzo: al processo di Torino, il ‘nucleo storicò delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento. – 21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo. – 23 marzo: il Pci approva la linea della fermezza. – 25 marzo: le Br fanno trovare il ‘Comunicato n.2’. – 29 marzo: arriva il ‘Comunicato n.3’ con la lettera al ministro dell’Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» e accenna alla possibilità di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono che «nulla deve essere nascosto al popolo». Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana. – 30 marzo – La direzione Dc approva la linea della fermezza. – 2 aprile: A Zappolino (Bologna) si svolgerebbe la seduta spiritica dalla quale esce l’indicazione ‘Gradolì. – 4 aprile: Arriva il ‘Comunicato n.4’, con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini. «Moralmente – scrive Moro – sei tu ad essere al mio posto». – 6 aprile: Le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente DC la invita a fare pressioni contro la linea della fermezza. Le forze dell’ordine controllano l’intero paesino di Gradoli, nella zona di Bolsena. – 7 aprile: Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moroal marito. La famiglia tiene un linea autonoma, rispetto alla «fermezza» del governo. – 10 aprile: Le Br recapitano il ‘Comunicato n.5’ e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche. – 15 aprile: Il ‘Comunicato n.6’ annuncia la fine del ‘processo popolarè e la condanna a morte di Aldo Moro. – 17 aprile: Appello del segretario dell’Onu Waldheim. – 18 aprile: Grazie a un’ infiltrazione d’acqua, scoperto il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono però assenti. A Roma viene trovato un sedicente ‘comunicato n.7’ che annuncia l’esecuzione di Moro il cui corpo sarebbe nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, per oggetto di verifiche. Per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L’Aquila, ghiacciato da mesi. – 20 aprile: Moro vivo. Le Br lasciano il vero ‘Comunicato n.7’ insieme a una foto di Moro con un giornale del 19 aprile. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro. – 21 aprile: la direzione Psi è favorevole alla trattativa. – 22 aprile: messaggio di Paolo VI agli «Uomini delle Brigate rosse» perchè liberino Moro «senza condizioni». – 24 aprile: il ‘Comunicato n.8’ delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici. – 29 aprile: È il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell’Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Moro scrive che lo scambio la sola via di uscita. – 30 aprile: Un brigatista (sembra Moretti) telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, «immediato e chiarificatore» può salvare la vita del presidente Dc. – 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute. – 5 maggio: Andreotti ripete il no alle trattative. Il ‘Comunicato n. 9’ annuncia: «Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza». Lettera di Moro alla moglie: «Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione». – 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come «prigione del popolo».
MORO/30: LA LUNGA MARCIA VERSO LA VERITÀ/ ANSALA VERITÀ GIUDIZIARIA SEMBRA RAGGIUNTA, MA I DUBBI RESTANO (ANSA) – ROMA, 1 MAR – La storia del caso Moro è fatta anche di una lunga serie di scoperte e rivelazioni (alcune vere o probabili, altre meno) avvenute dopo la tragica conclusione della vicenda. Ecco alcune delle principali: – 19 mag 1978: a Roma, in via Foà, scoperta una tipografia, di Enrico Triaca, usata dalle Br durante il sequestro. Alcune apparecchiature erano appartenute ai servizi segreti. – 1 ott 1978: irruzione dei carabinieri di Dalla Chiesa nel covo di via Monte Nevoso, a Milano. Arrestati 9 terroristi, tra cui Azzolini e Bonisoli. Trovato il memoriale Moro. – 27 ott 1978: resa pubblica la telefonata di un br alla moglie di Moro, attribuita prima a Toni Negri e poi a Moretti. – febbraio 1979: ‘L’Espressò pubblica rivelazioni provenienti da Ernesto Viglione, giornalista di Radio Montecarlo. Secondo un sedicente brigatista, le Br e il caso Moro sarebbero state molto diversi dalla versione ufficiale. Poi il caso sembra sgonfiarsi in un tentativo di truffa, ma in appello Viglione è assolto. – 17 mar 1979: Raffaele Fiore è arrestato a Torino. – 20 mar 1979: ucciso a Roma Mino Pecorelli. Su Op aveva fatto diversi ‘scoop’ e rivelazioni sul caso Moro e ne aveva promessi altri. Sembra fosse in attesa di altre carte. – marzo 1979: ‘Metropolì, rivista dell’ Autonomia, pubblicaun fumetto che ricostruisce il rapimento e il processo. Un anno dopo, ad aprile, ‘Metropolì tornerà sulla vicenda con l’ambiguo «Oroscopone» della maga Ester, che alludead un russo nel ruolo del ‘grande vecchiò. – 30 mag 1979: arrestati a Roma Valerio Morucci e Adriana Faranda, usciti dalle Br dopo il caso Moro. Erano a casa della figlia di Giorgio Conforto, che sarà nel ‘dossier Mitrokhin’. Nel 1984 raccontano la loro versione dei fatti in un memoriale. – 24 set 1979: ferito alla testa e arrestato a Roma Gallinari, a lungo ritenuto l’ esecutore materiale dell’ uccisione di Moro. – 2 feb 1980: resa nota l’ esistenza dei piani Victor, in caso di rilascio di Moro vivo e Mike, in caso di sua morte. Scalpore anche se ne aveva già parlato un libro nel 1979. – marzo 1980: il primo grande pentito delle Br, Patrizio Peci, comincia a parlare. A febbraio 1982, lo fa anche Savasta. – 19 mag 1980: arrestato Bruno Seghetti. – 27 mag 1980: arrestata Anna Laura Braghetti. – 4 apr 1981: arrestato a Milano Mario Moretti. – 10 giu 1981: la commissione Moro si occupa della seduta spiritica del 2 aprile 1978 a Bologna, presente anche Romano Prodi, durante la quale è emerso il nome ‘Gradolì. – 1 feb 1982: il ministro dell’Interno Rognoni annuncia la scoperta della prigione del popolo, un appartamento della Braghetti, in via Montalcini. – 3 set 1982: ucciso a Palermo il gen. Dalla Chiesa. – 24 mar 1984: rapina miliardaria alla Brink’s Securmark. Gli autori, tra cui Toni Chichiarelli, lasciano materiale con chiare allusioni al caso Moro. – 28 set 1984: ucciso a Roma Toni Chichiarelli. – gennaio 1985: individuati in Rita Algranati e Alessio Casimirri due dei tre latitanti coinvolti, di cui Morucci non ha fatto i nomi. Il terzo sarà ritenuto Alvaro Loiacono. – 19 giu 1985: ad Ostia, è arrestata Barbara Balzerani. – 5 mar 1988 – Andreotti afferma che il Vaticano era pronto a pagare un fortissimo riscatto per la liberazione di Moro e che era riuscito a stabilire un contatto con qualcuno dei rapitori. – 8 giu 1988: in Svizzera è arrestato Loiacono, diventato cittadino elvetico grazie alla madre. – 9 ott 1990: nei lavori di ristrutturazione in via Monte Nevoso, da un’intercapedine escono documenti non trovati nel 1978 e una versione più ampia del memoriale. Polemica tra Craxi e Andreotti sulle ‘maninè e le ‘manonè. – 9 giu 1991: Cossiga parla di un’ operazione dei Comsubin, finora sconosciuta. – 13 ott 1993: arrestato Germano Maccari, accusato di essere il quarto carceriere di Moro. Lo stesso giorno esce la notizia che un pentito ha detto che Antonio Nirta, killer della ‘ndrangheta, sarebbe stato presente in via Fani. – 25 ott 1993: resa nota un’ intervista rilasciata in estate in cui Mario Moretti si assume la responsabilità di aver ucciso Moro. – 8 giu 1994: arrestato Raimondo Etro, che avrebbe svolto un ruolo di armiere. – maggio 1998: trapela la notizia che molti appartamenti di via Gradoli appartenevano a societ legte al Sisde. – 29 mag 1999: trapela la notizia che il pianista russo Igor Markevitch sarebbe l’ ‘anfitrionè fiorentino delle Br. – febbraio 2000: la Commissione stragi acquisisce dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio al ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso del 1990. – 2 giu 2000: arrestato in Corsica Loiacono. La Francia però negherà l’ estradizione. – 14 nov 2000: dalle indagini di Brescia sulla strage di piazza della Loggia emerge una struttura segreta, chiamata ‘Noto serviziò, che attraverso qualche suo uomo, potrebbe avere avuto un ruolo anche nel caso Moro. Nel 2003 esce che il nome della struttura sarebbe stata «L’Anello». – 25 ago 2001: Maccari muore d’infarto nel carcere di Rebibbia. – 5 set 2001: Lanfranco Pace dice che è stato Maccari ad uccidere Moro mentre Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva. La presunta rivelazione ha tutta l’ aria di voler alleggerire la posizione di Moretti, addossando ad un morto la responsabilità dell’ uccisione di Moro. – 11 dic 2003: un libro sul caso Tobagi sostiene che le carte trovate in via Monte Nevoso furono portate via per essere fotocopiate e poi riportate sul luogo ma «assottigliate». – 14 gen 2004: arrestata Rita Algranati, la vedetta che segnal l’arrivo di Moro e della scorta in Via Fani. (ANSA)
MORO/30: ANCORA DUBBI, QUANTI IN VIA FANI E CHI SPARO? /ANSAINTERROGATIVI NELLA RICOSTRUZIONE DELL’AGGUATO E DELLA STRAGE (ANSA) – ROMA, 29 FEB -Sono passati 30 anni dal 16 marzo 1978 ma i buchi neri nella ricostruzione della strage di via Fani, la prigionia e la morte di Aldo Moro, iniziano già con il primo atto dei 55 giorni più bui e lunghi della Repubblica.Questi buchi neri sono ancora lì in attesa di essere colmati. Alle 8,45 il commando delle Br si disloca all’incrocia tra via Fani e via Stresa, nella zona della Camilluccia. Il piano era stato messo a punto nella base di Velletri. Via Fani è una strada in discesa verso via Stresa. Nella parte alta Mario Moretti si dispone alla guida di una Fiat 128, targata CD sulla destra della strada, subito dopo via Sangemini, con il muso dell’auto verso il basso. Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri – tutti e due sono oggi all’estero: il primo in Svizzera, l’altro in Nicaragua- erano a bordo di una Fiat 128 bianca collocata davanti alla macchina di Moretti. Una Fiat 128 blu era posteggiata, con alla guida Barbara Balzerani, sul lato opposto di via Fani, subito il crocevia con via Stresa, con il muso rivolto verso l’alto, cioè la direzione di provenienza dell’auto di Moro. L’altra auto, la Fiat 132 blu, con a bordo Bruno Seghetti era ferma in via Stresa parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall’incrocio. Una A112 era parcheggiata, vuota, in via Stresa, a 20 metri da via Fani con il muso verso via Trionfale. La tecnica dell’azione venne copiata pari pari dagli uomini della Raf. Un’azione «a cancelletto». L’operazione Fritz cominciò non appena la macchina di Moro e quella della scorta sbucò dall’alto, imboccando la discesa di via Fani. La macchina di Moretti si immise sulla strada e giunta all’incrocio si piantò. La 130 di Moro cercò ripetutamente di farsi largo ma una Mini Mirror parcheggiata all’incrocio impedì lo «svincolo». La macchina di Moro e quella della sua scorta erano in trappola. La 128 bianca di Casimirri e Lojacono si mise di traverso nella parte alta dell’incrocio, bloccando il traffico. A segnalare l’arrivo delle macchine con un mazzo di fiori era stata, hanno detto i Br, Rita Algranati – scagionata ufficialmente dal processo, ma il cui ruolo è stato confermato dai partecipanti alla operazione. Era quello il segnale che il commando travestito da piloti aspettava: da dietro le siepi del bar sbucarono quattro uomini: Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli che aprirono il fuoco. I primi a cadere furono, dopo che erano stati infranti i vetri anteriori, Ricci e Leonardi, l’autista e il capo scorta di Aldo Moro. Breve efficace, una «azione esemplare» nonostante la dichiarata approssimazione della preparazione militare del commando. I colpi furono sparati da distanza ravvicinata. Moro fu prelevato. Una donna lo senti dire «Mi lascino andare. Cosa vogliono da me?». Questo il «racconto-base» del rapimento fatto da Valerio Morucci, il primo a dare il quadro dell’assalto e a cui si sono rifatti tutti. Tre della scorta, in un mare di sangue, furono finiti con un colpo di grazia alla nuca: Iozzino, Leonardi e Ricci. Solo Iozzino sparò due colpi ma fu subito freddato da altri due assalitori in borghese. Dalle prime dichiarazioni i Br sono via via passati da 7 a 8, poi a 9, poi a 10 ed infine ad 11 (con l’aggiunta della Algranati, poi assolta, ed Etro). Per rapire il giudice Mario Sossi, che era senza scorta, furono utilizzati 14 Br. Venti erano stati preventivati per rapire Moro dentro la chiesa di Piazza dei Giochi Delfici. Qualcuno manca ancora oggi all’appello? Molti testimoni parlarono di una moto Honda con a bordo due che spararono avendo il volto coperto da passamontagna. Per i Br quella moto non è mai esistita. Per la giustizia è un fatto acclarato con sentenza passata in giudicato. Uno dei killer cercò di uccidere un testimone, l’ingegner Marini. Perchè questo blocco? Quella presenza in moto è inconfessabile? Un uomo della ‘ndrangheta, come si disse prima dell’ennesima smentita? Una diversa componente del Movimento, due autonomi, un gruppo di Prima Linea? Corrado Alunni, come sostenne sulla base di un identikit un testimone che vide un uomo alzarsi per un attimo il passamontagna? Una componente delinquenziale delle Br? La perizia balistica stabilì che vennero esplosi almeno 91 colpi; 49 furono sparati da una sola arma, uno Fna 43 o uno Sten; 22 da una pistola mitragliatrice, 5 e 3 da altre due pistole-mitra e infine 8 e 4 da due pistole semi automatiche. L’uomo che spara più colpi era in divisa e mostrava grande padronanza. È lui che fa il grosso del «lavoro» insieme a colui che spara 22 colpi. Nella ricostruzione fatta da Morucci i Br sparano dal solo lato sinistro ma ciò non è vero. Ricci cade a sinistra, Leonardi colpito anche destra mentre cerca di girarsi per coprire Moro. Sono i due specialisti che sparano sulla macchina di Moro senza che il presidente venga colpito. Una perizia, durante il Moro-quater, ha accertato che a via Fani sparò un numero di armi superiore a quello dichiarato dai Br. Almeno 7 e non sei, da destra e sinistra: 4 mitra, 2 pistole semi automatiche -impugnate da due persone- e probabilmente un’altra arma che utilizzava proiettili calibro 7,65 parabellum. Ma i Br affermano che spararono solo in quattro: Bonisoli, Fiore, Gallinari e Morucci. A Bonisoli, però, il mitra si inceppò subito, quello di Morucci «quasi subito». A Gallinari accadde a metà raffica. Fiore ha detto che il suo M12 si inceppò «subito», che sfilò il caricatore e lo sostituì, ma che non partì alcun colpo. Tutti i mitra si incepparano. Chi sparò quindi quel giorno a via Fani? (ANSA).
MORO/30: BR SAPEVANO DI INCONTRO CON ZACCAGNINI?/ANSAUN’IPOTESI MAI VERIFICATA DI NORA MORO SU QUEL GIORNO (ANSA) – ROMA, 29 FEB – Uno degli elementi non chiariti della strage di Via Fani è la certezza che le Br avevano che il 16 marzo Moro e la sua scorta sarebbero passati proprio in quella strada e a quell’ora. Degli uomini in divisa non potevano passare inosservati a lungo, fermi, all’angolo di un incrocio. Era un’azione che non poteva fallire n si poteva replicare: doveva esserci la certezza di colpire. La signora Nora Moro durante il primo processo ha dato un contributo che è stato accantonato troppo facilmente, visti alcuni riscontri che ci sono stati negli anni. «Io vorrei sapere – disse Eleonora Moro in aula – cosa è successo il 15 marzo. Perchè se il 15 marzo, in via d’ipotesi, mio marito avesse avuto un appuntamento con Zaccagnini: ‘andiamo insieme in Parlamento e discorriamo di queste cosè, alloras che via Fani era una strada obbligata. Allora, se questoè stato combinato per telefono, il nostro telefono era sorvegliato, qualcuno poteva sapere con precisione che il giorno dopo l’onorevole Moro passava in via Fani». Il giudice chiese se avesse fatto riscontri. «Sì, ho tormentato tutti quelli che potevo tormentare. Non sono riuscita a sapere con chi si dovesse incontrare. E qualche volta ho avuto anche l’impressione che non mi si volesse dire». Effettivamente – come ha rivelato il volume di Marcucci e Selva ‘Il martirio di Aldo Morò nel 1979 -, quella mattinail presidente della Dc doveva recarsi proprio da Benigno Zaccagnini, il segretario della Dc che voleva dimettersiper protesta dalla carica, perchè non condivideva la listadei ministri stilata da Andreotti per il governo che doveva avere l’appoggio del Pci. Il 16 marzo Moro uscì in anticipo da casa. Poco prima delle 9. «Prima di andare alla Camera, (Moro) deve fare una sosta al Centro studi Alcide De Gasperi, alla Camilluccia. Secondo alcune voci- si afferma nella prima edizione del libro -, Zaccagnini lo attende per presentargli ufficialmente le dimissioni da segretario politico. Il Centro studi della Dc è, comunque, un passaggio quasi obbligato per Moro. In fondo a via della Camilluccia, una lunga discesa tutta curve, c’è Piazza dei Giochi Delfici e, sulla piazza, la chiesa di Santa Chiara. Moro certamente farà una seconda sosta». Questa notizia sparirà nella nuova edizione del volume pubblicato anni dopo. La notizia dell’incontro Moro-Zaccagnini è stata confermata recentemente anche da Giovanni Galloni Galloni, all’epoca vice segretario della Dc: la mattina del 16 marzo 1978 Moro era uscito presto di casa, prima delle 9, mentre il dibattito alla Camera per la presentazione del governo era previsto per le 10. Infatti, lo statista, al momento del sequestro, «si stava recando a casa del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, che aveva in mente di dimettersi dalla guida del partito non appena il governo avesse ottenuto la fiducia. Moro andava da lui per scongiurare questa scelta». Come ha fatto questa informazione a finire alle Br che aspettavano Moro all’incrocio di via Fani? Quella mattinail Pci pensò, prima del rapimento, di non votare a favoredel governo.« Nella serata e persino nel cuore della notte precedenti, il modo come il presidente del Consiglio (Andreotti) aveva dato gli ultimi, decisivi ritocchi alla lista dei ministri, era al centro delle critiche molto vivaci della segreteria comunista», ha scritto – ricordando quella lunga notte- il giornalista Giorgio Frasca Polara in un libro edito da l’Unità e dedicato alla vita di Berlinguer. In polemica con il partito il 16 marzo Giancarlo Pajetta era rimasto a casa. Tutto sarebbe stato deciso dopo il discorsodi Andreotti, ma i dissensi erano forti ed ampi. Qualcuno intercettava casa Moro, dunque? Si disse e scrisse che alla Sip le Br avevano una vera e propria brigata formatada addetti selezionati che potevano inserirsi sulle linee. Inoltre le Br potevano avere un’altra certezza rispettoa quelle finora ammesse. A Benito Cazora, un deputato Dc chesi mise ad indagare in proprio sul rapimento, la ‘ndrangheta segnalò che nella parte bassa di Via Fani le Br avevano, come ipotizz negli atti della prima indagine il giudice Guido Gusco, un centro di osservazione presso un albergo per studenti. Oppure informazioni «filtrarono» dagli ambienti vicinia Moro, anche indirettamente, come disse il primo pentito delle Br, Patrizio Peci, nei suoi verbali? (ANSA).
MORO/30: TUTTI ONLINE GLI ARCHIVI DEL PARLAMENTO/ ANSAINIZIATIVA ARCHIVIO STORICO SENATO – SI LAVORA SU 180MILA PAGINE (ANSA) – ROMA, 1 MAR – A partire dal 16 marzo il Senato della Repubblica metterà in rete sul suo sito una vera e propria miniera di documenti sul caso Moro. Oltre 187.000 pagine di documenti, rapporti,verbali di interrogatorio, atti parlamentari, relazioni ecc. frutto del lavoro della Commissione Stragi e ancor prima della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita per far luce sul rapimento e la morte del leader della Dc, Aldo Moro. Un patrimonio archivistico immenso atteso come una manna – dalla rete – da studiosi, storici, giornalisti e semplici cittadini che potranno farsi direttamente un’idea dell’omicidio politico più controverso della storia della repubblica. Gran parte dei documenti provengono dall’Archivio storico del Senato – diretto dalla Dottoressa Emilia Campochiaro – e che conserva gli archivi delle Commissioni parlamentari d’inchiesta monocamerali e bicamerali che chiudono i lavori con la Presidenza Senato. Si tratta di un ponderoso patrimonio documentale che sarà progressivamente inventariato, digitalizzato e reso disponibile in rete. Ecco un quadro di quello che presto sarà disponibile online:- ARCHIVIO COMMISSIONE STRAGI Nell’ambito di questo complesso e ampio progetto è stata prodotta la banca dati Commissioni parlamentari d’inchiesta on line, dove sono per il momento disponibili l’inventario e i documenti digitalizzati del filone d’inchiesta «Caso Moro», uno dei 29 filoni individuati dalla ex Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, che nella riunione conclusiva dei lavori ha disposto la pubblicazione dell’archivio esclusivamente in formato digitale. La documentazione originale del filone «Caso Moro» è conservata in 112 faldoni e una volta completata la digitalizzazione, darà luogo alla creazione di 7.731 file corrispondenti a pp. 62.117. La priorità data al filone «Caso Moro» è stata determinata dalla volontà del Senato e dell’Archivio di dare un contributo alle iniziative in memoria dello Statista nel trentesimo anniversario della scomparsa. Per la prima volta l’Archivio di una Commissione d’inchiesta è stato riordinato e schedato documento per documento secondo criteri archivistici, con un sw relazionale, che consente di:- pubblicare l’archivio in Internet nella forma di inventario con il link di ciascuna voce al documento digitalizzato;- effettuare ricerche su uno o più Commissioni- produrre elenchi di nomi, luoghi, enti produttori.- ATTI PARLAMENTARI Sono stati digitalizzati e saranno disponibili in rete gli Atti già pubblicati a stampa nella serie Atti parlamentari dalla ex Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro (130 volumi, 132 file, pp. 104.236) e dalla ex Commissione parlamentare inchiesta «terrorismo e stragi» (26 volumi, 43 file, pp. 20.736). L’indice di ciascun volume è consultabile ed è collegato con le rispettive pagine a stampa digitalizzate.- REPERTORIO COMMISSIONI INCHIESTA (1948-2006) È stato anche elaborato uno strumento di ausilio per la ricerca che ricostruisce la storia delle Commissioni d’inchiesta dalla I alla XIV legislatura. Si tratta del Repertorio delle commissioni d’inchiesta (1948-2006), che sarà consultabile entro il 16 marzo 2008 sia sul sito dell’Archivio storico del Senato sia eventualmente sul sito Parlamento.(ANSA).
MORO/30: IL RICORDO DEL PRIMO FOTOGRAFO IN VIA FANI /ANSALA SERA TROVAI LA CASA SOTTOSOPRA MA NON ERA SPARITO NULLA (ANSA) – ROMA, 1 MAR – «Arrivai che i cadaveri non erano ancora stati ricoperti dai teli bianchi. C’era poca gente. Sono stato il primo fotografo in via Fani. Era passato poco più di un quarto d’ora dal rapimento del presidente della Dc». Antonio Ianni, oggi in pensione, fotografo dell’Ansa, ho raccontato tempo fa come ha vissuto quel 16 marzo e i dettagli e l’emozione di quel «primo servizio importante». Una delle sue prime foto, scattate quel giorno, fu quella di una borse di pelle nera, ad una decina di metri dalle auto, accanto al marciapiede e che «sembrava smarrita da qualcuno». Le foto successive furono scattate all’interno delle auto. C’era una pistola di un agente di scorta ancora posata sul cruscotto. «Ricordo di avere visto sui sedili posteriori un grosso pacco di giornali e forse qualche cartellina. Alzai gli occhi perchè sentii un elicottero che fece un paio di giri sulle nostre teste e poi scomparve. Non mi sembrava avesse segni distintivi evidenti della polizia o dei carabinieri. Ebbi solo il tempo di fare quelle foto mentre arrivavano i fotografi delle altre grandi agenzie straniere poi fummo allontanati tutti dal servizio d’ordine e continuammo a scattare foto da un terrazzo lì vicino». «Poco dopo – ricorda Ianni – andai a Pratica di Mare per cercare di fare delle riprese dall’alto. Mi informai e mi dissero che in quell’ora nessun elicottero si era alzato in volo a Roma. Mi ricordai di quell’elicottero che avevo visto senza alcuna insegna: era un elicottero civile. Notai, riflettendo, che in fondo a via Fani, a sinistra c’è un boschetto. Quell’elicottero non sapevo spiegarmelo». «Tornato a casa la sera la trovai tutta sottosopra. Letteralmente sottosopra. La mia pistola sul letto, l’oro, l’orologio e tutti i beni, tutto sul letto. Nessuno aveva toccato nulla ma la casa era sottosopra».(ANSA).
MORO/30: 25 ANNI MORTE MARKEVITCH, ERA GRANDE VECCHIO?/ ANSAANCORA APERTI DUBBI SU UN EVENTUALE RUOLO DEL MUSICISTA UCRAINO (ANSA) – ROMA, 6 MAR – (di Stefano Fratini)Il 7 marzo 1983 (25 anni fa) l’ANSA dava questa breve notizia:«Igor Markevitch, compositore e direttore d’orchestra, è morto oggi a Antibes all’età di 71 anni in seguito a un attacco cardiaco. Markevitch, che ha composto numerose cantate tra cui »Lorenzo il magnifico« e musica per balletto (Rebus, Icaro ecc.) era rientrato affaticato la settimana scorsa da una tourne in Giappone, Urss e Spagna. Di origine russa, Markevitch aveva composto la sua prima opera nel 1929 per Diaghilev, ‘Un concerto per piano» che aveva suonato al Covent Garden di Londra. Da allora si era dedicato interamente alla musica, sia come compositore che come direttore d’orchestra, lavorando molto anche in Italia (al Maggio fiorentino del 1944 al 1946 e all’Accademia Santa Cecilia a Roma dal 1973). Sposato in prime nozze con Kira Nijinski, figlia del grande ballerino russo, Markevitch si era risposato nel 1964 con l’ italiana Topazia Caetani«. A queste poche righe si può aggiungere che Markevitch era stato, durante la guerra, in contatto con la Resistenza, che aveva contribuito alla trattativa con i tedeschi per salvare Firenze dalla distruzione e che era cognato dell’inglese Hubert Howard (che aveva sposato una cugina di Topazia). Howard era l’ufficiale dell’intelligence inglese che per primo entr a Firenze liberata dall’occupazione nazista e che affid a Markevitch l’incarico di occuparsi dei programmi musicali della radio Firenze libera. Nessuno per, allora, avrebbe potuto collegare questa notizia al ‘caso Morò, avvenuto cinque anni prima. Dovranno passare ancora 16 anni prima che, il 29 maggio 1999, l’ANSA dia un’altra notizia:»Igor Markevitch, pianista di fama internazionale, sposato con Topazia Caetani, potrebbe essere l«anfitrionè delle Br, cioè l’uomo che ospitò a Firenze nei 55 giorni del rapimento Moro il Comitato esecutivo dei terroristi. Su questa ipotesi è aperta un’inchiesta da parte della procura di Brescia e condotta dal reparto eversione Ros. L’ipotesi è stata indirettamente confermata dal presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle Stragi Giovanni Pellegrino». E nelle carte di Brescia compare anche un certo Jordan Vesselinov, un bulgaro che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nel finanziamento dei gruppi estremisti di destra, massone coperto, e consuocero di Igor Markevitch. Colpo di scena! Da tempo si parlava di un cosiddetto «anfitrionè che avrebbe ospitato a Firenze le riunioni della direzione Br. Vi aveva accennato Valerio Morucci (giugno 1997) in un’audizione in Commissione stragi. Il giudice Priore aveva definito »conte rosso« questo personaggio. Il presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino, commenta che »Se la moglie di Markevitch, Topazia Caetani, è una duchessa, il falso comunicato n.7 delle Br diventa un messaggio di cui si comincia a decrittare il codice«. Per Oleg Caetani, anche lui musicista e figlio di Markevitch e di Topazia Caetani, morta nel 1991, è »un’altra di quelle raffinate bufale di qualche brigatista rosso«. Anche se c’ lo strano particolare che Markevitch era sposato con una Caetani, una famiglia che possiede palazzi nella via omonima, proprio nella quale fu lasciato il cadavere di Moro, le reazioni sono di incredulità. Cossiga e Andreotti, per una volta d’accordo, dicono di non aver mai sentito quel nome. Tra i Br, l’unico a parlare è Lauro Azzolini:»Sono illazioni di anziani che devono giustificare il loro ruolo e lo stipendio«. L’avv. Pino De Gori, legale della Dc nei vari processi Moro, commenta che l’ ipotetico »conte rosso« di cui gli avrebbe parlato Edoardo Di Giovanni, legale storico delle Br, non sarebbe Markevitch. Si scoprir per che il nome del musicista era già entrato nell’inchiesta sul rapimento e l’ uccisione di Aldo Moro. In un rapporto del 1980, che è agli atti della commissione Moro, il Sismi scriveva:»Il 14 ottobre 1978 fonte del servizio segnalava che un certo Igor, della famiglia dei duchi Caetani, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell’ organizzazione delle Br, che, in particolare, avrebbe condotto tutti gli interrogatori di Moro, della cui esecuzione sarebbero stati autori materiali certi ‘Annà e ‘Francò«. La persona veniva identificata proprio come Igor Markevitch. Il Sismi annotava però che »da accertamenti svolti, anche con l’ intervento dei servizi collegati, non emergevano, peraltro, elementi di conferma della notizia«. Nel libro »Segreto di Stato«, Pellegrino scrive che Markevitch »un personaggio interessantissimo, intrinsecamente doppio. Un uomo con cui i servizi degli opposti schieramenti avrebbero potuto benissimo entrare in contatto per utilizzarne il passato resistenziale come bigliettino da visita da mostrare nelle Br. E d’ altra parte, è un intellettuale raffinatissimo e abbastanza snob da apparire ‘misteriosò ai brigatisti«. Il musicista ucraino (e non russo, nato infatti a Kiev nel 1912) diventa anche il protagonista di un libro di Giovanni Fasanella, »Il misterioso intermediario«, titolo che cita una frase usata dalle stesse Brigate rosse, che durante il rapimento, nel comunicato numero 4, denunciano »i tentativi del regime di far credere nostro ci che invece cerca di imporre: trattative segrete, misteriosi intermediari«. Recentemente, lo storico russo Ilia Levin ha ironicamente definito ‘esoticà l’ipotesi di Markevitch ‘Grande Vecchiò. Ma, in un’intervista del novembre 2007, l’ex presidente Cossiga ha detto:»Igor Markevitch, il musicista, ospit probabilmente nella sua casa di Firenze la riunione in cui fu decisa la morte di Moro. La casa di sua moglie in via Caetani rappresent per i brigatisti solo un punto di riferimento, un luogo conosciuto dove lasciare la Renault rossa, tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù«.
MORO/30: STORICO USA, TEORIE COSPIRAZIONE NON REGGONO /ANSADRAKE,NIENTE CIA. ‘PEGGIO DI JFK, IN ITALIA TROPPI OLIVER STONÈ (di Marco Bardazzi) (ANSA) – WASHINGTON, 9 MAR – Dalla Cia a Henry Kissinger, passando per la P2: quali che siano i protagonisti delle teorie della cospirazione sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro emerse nel corso di 30 anni, «non ce n’è alcuna che possa reggere a un serio vaglio storico». Parola di Richard Drake, uno storico americano che al terrorismo italiano e al caso Moro in particolare ha dedicato gran parte della propria carriera. Tre decenni dopo la tragedia, dice Drake all’Ansa, è l’ora che l’Italia «accetti la verità dei processi e della storia», che indica nelle sole Br i responsabili del delitto. Per Drake – preside del Dipartimento di Storia all’Università del Montana e autore tra l’altro di ‘Il Caso Aldo Morò (Marco Tropea, 1996) – gli storici oggi non possono che trarre una conclusione: «Le Brigate Rosse, ispirate fanaticamente dalla loro ideologia marxista-leninista, hanno ucciso Moro interamente da sole, nella speranza di innescare una rivoluzione in Italia». Il fatto che dopo 30 anni si fatichi ad accettarlo, a detta di Drake, è dovuto anche agli scritti di autori che lo storico critica severamente, in particolare Leonardo Sciascia e Sergio Flamigni. «Se guardiamo solo ai fatti e alle prove, come deve fare uno storico, è improbabile concludere che una sola delle teorie alternative sia valida», afferma Drake, che per i propri studi si è basato anche su ampi scambi di informazioni con il giudice Severino Santiapichi, che guidò la Corte d’Assise nelle ricostruzioni del sequestro. «La mia conclusione negli anni ’90 sulla responsabilità delle sole Br – dice Drake – ha retto dopo un decennio ed è oggi rafforzata in Italia dai lavori di storici seri come Vladimiro Satta e Agostino Giovagnoli». «Agli italiani – afferma lo storico del Montana – vorrei chiedere di essere sospettosi sulle teorie cospirative almeno quanto lo sono stati sulle ricostruzioni ufficiali. È questo il modo corretto di agire. L’approccio storico è il più valido e l’Italia, fin dai tempi di Francesco Guicciardini, ha una grande tradizione in questo senso». Drake ha studiato all’Università di Padova ai tempi di Toni Negri e vinse nel 1972 una borsa di studio ‘Aldo Morò insieme alla Fulbright. «Da allora – racconta – ho seguito da lontano questa tragica figura di politico italiano, restando inorridito nel 1978 per quello che gli accadde: per questo ho dedicato la carriera ad approfondire il terrorismo in Italia». Secondo lo storico americano, «il caso Moro è per l’Italia ciò che per noi è il caso Jfk, sul quale fioriscono altrettante teorie cospirative. Ma neppure sulla vicenda di Kennedy si è raggiunto i livelli di ciò che è stato detto in questi 30 anni su Moro: Oliver Stone ha un gran numero di imitatori in Italia…». La responsabilità, per lo studioso, «è anche della scarsa fede che l’Italia ha nel proprio sistema giudiziario: Sergio Zavoli negli anni scorsi ha dimostrato quale sia la dinamica dei ‘misterì in Italia». Drake sostiene di aver approfondito ogni pista alternativa emersa negli anni, comprese quelle che puntavano a Washington, a un coinvolgimento della Cia o a un qualche ruolo dell’ex segretario di Stato Kissinger, di cui era nota l’opposizione al progetto di compromesso storico di Moro. «Sono certo che il governo americano era assai scontento con Moro – afferma lo storico -, c’era un’enorme risentimento e molto sospetto per le sue posizioni. Sono anche sicuro che ci siano stati elementi dell’ala più conservatrice qui negli Usa che possono aver brindato per la sua eliminazione. Detto questo, non c’è uno straccio di prova che un singolo americano abbia participato alla vicenda o sia stato in contatto con le Br». Al contrario, secondo Drake, «la commissione Mitrokhin ha evidenziato come possa esserci stato, semmai, un coinvolgimento del Kgb, visto che era specializzato nel falsificare documenti per far pensare a ruoli della Cia». «Non c’è un solo frammento di documentazione storica attendibile – insiste il professore americano – che leghi la Cia al caso Moro». «Questo anniversario – conclude – offre all’Italia una opportunità. Se si mettono insieme le conclusioni dei processi e quelle della commissione Moro e della commissione stragi, emerge la verità che ancora incontra resistenze in parti della sinistra, perchè in quest’area politica, fino a quando le Br non cominciarono ad uccidere nel 1974, c’era simpatia per loro. È molto più comodo tirare in ballo la Cia che non interrogarsi su quali basi ideologiche e culturali abbiano spinto Curcio, Peci o Franceschini a diventare quello che diventarono». (marco.bardazzi ansa.it)
MORO/30: GLOSSARIO PER ORIENTARSI NEI MISTERI DEL CASO/ ANSA
(di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR Breve glossario per il caso Moro: – ALDO MORO – Presidente della Dc, 61 anni, viene rapito il 16 marzo 1978. Era stato il tessitore della lunga marcia di avvicinamento del Pci all’area della maggioranza di governo. Sarà ucciso il 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia. – LA SCORTA – Cinque uomini, tutti uccisi in via Fani: Oreste Leonardi, il capo, sottufficiale dei carabinieri, ex istruttore della Scuola sabotatori paracadutisti di Viterbo (non uno sprovveduto), Domenico Ricci, appuntato dei carabinieri, Raffaele Jozzino e Giulio Rivera, poliziotti e Francesco Zizzi, vice brigadiere di polizia, che muore in ospedale poco dopo. – IL COMMANDO – Il commando di via Fani sarebbe stato composto da 9 persone: Mario Moretti, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Raffaele Fiore, Alessio Casimirri e Alvaro Loiacono, più Rita Algranati come vedetta. Bloccata l’auto di Moro con un tamponamento, i br uccidono la scorta e portano via Moro. In tutto sono sparati 91 colpi, 49 dei quali da una sola persona. Sono tutti liberi (in semilibertà, al lavoro esterno, latitanti), tranne Algranati. – VIA FANI – La strada, nel quartiere Monte Mario, dove il 16 aprile 1978 avvenne il tragico agguato. – VIA GRADOLI – Stradina sulla via Cassia dove il 18 aprile fu scoperto, in modo che lascia ancora dubbi, il covo dove vivevano Moretti (il capo delle Br) e la Balzerani. Perquisita (ma non il covo) pochi giorni dopo il rapimento. Il nome Gradoli era uscito in una ‘seduta spiriticà, presente anche Romano Prodi. – VIA MONTALCINI – Via del Portuense dove, in un appartamento comprato da Anna Laura Braghetti, Moro sarebbe stato tenuto prigioniero per tutti i 55 giorni. Oltre alla Braghetti, i carcerieri erano Germano Maccari, che risultava convivente della Braghetti, Gallinari e il ricercatissimo Mario Moretti, che andava e veniva per interrogare Moro. Nel garage, Moro sarebbe stato ucciso da Moretti, ma Pace aveva parlato di Maccari e per molto si era detto Gallinari) nel bagagliaio della R4 rossa. – VIA CAETANI – Via al centro di Roma, vicina alle ex sedi diPci e Dc e al ghetto ebraico, dove fu lasciato il corpo di Moro. – VIA MONTE NEVOSO – Strada milanese dove l’1 ottobre 1978 icarabinieri di Dalla Chiesa scoprono un covo che contiene moltomateriale, tra cui una versione del ‘Memorialè e lettere ancoranon note. Il 9 ottobre 1990, dietro un pannello, sono trovatiuna versione più ampia del Memoriale, i testamenti di Moro,altre lettere. Al covo, dove sono arrestati Bonisoli, Azzolini eNadia Mantovani, si sarebbe arrivati grazie a un borsello persoda Azzolini a Firenze. Nella stessa strada abitava Fausto Tinelli, ucciso con Lorenzo Iannucci (noti come ‘Fausto e Iaiò) il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento Moro. – I COMUNICATI – I comunicati, scritti tutti con la stessa macchina a testina Ibm, sono 9 (il primo il 18 marzo, l’ultimo il 5 maggio). C’è poi il falso comunicato numero 7, trovato il 18 aprile (contemporaneamente alla scoperta di via Gradoli). Annunciava il corpo di Moro nel lago della Duchessa ed era palesemente falso, ma fu accreditato come vero. Sembra scritto da Toni Chichiarelli, falsario in contatto con la banda della Magliana, che sarebbe l’autore anche di un ulteriore falso comunicato in codice cifrato, firmato cellula Roma sud. – LE LETTERE – Nei 55 giorni, Moro scrisse moltissime lettere, sicuramente più di 80, e diverse versioni del testamento. Solo 28 lettere furono recapitate dai ‘postinì delle Br (ruolo di solito attribuito a Morucci e Adriana Faranda). Le altre furono trovate a via Monte Nevoso nel ’78 e nel ’90. Le più importanti sono quelle a Cossiga, a Taviani, a Zaccagnini e al Papa. – IL MEMORIALE – Trovato in via Monte Nevoso in due tempi (nel 1978 e nel 1990), è il testo scritto da Moro per rispondere all’ interrogatorio delle Br. Nessuna delle due versioni sembra contenere rivelazioni particolarmente imbarazzanti. – LE TELEFONATE – La telefonate più importanti sono quella di Moretti il 30 aprile a casa Moro, per chiedere un intervento immediato di Zaccagnini, e quella di Morucci, il 9 maggio, per segnalare che il cadavere di Moro era in via Caetani. – IL GRANDE VECCHIO – Definizione data all’ipotesi che il terrorismo fosse diretto da una ‘mentè esterna. Ne parlò anche il segretario del Psi Bettino Craxi. Recentemente c’è stato un tentativo di collegarla al musicista ucraino Igor Markevich. – P2 – Ai vertici dei servizi erano uomini della P2, tranne Napoletano, segretario del Cesis, che fu spinto alle dimissioni a sequestro in corso e sostituito da un altro uomo della P2. – FERMEZZA E TRATTATIVA – ‘Partito della fermezzà e ‘Partito della trattativà definiscono gli atteggiamenti politici durante il rapimento. Per la ‘fermezzà furono quasi tutti i partiti (soprattutto il Pci), per la ‘trattativà i socialisti, i radicali e singoli esponenti di altri partiti. – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI – Sul caso Moro ha lavorato una apposita commissione (1979-1983), ma se ne sono occupate anche la commissione P2 e le varie commissioni stragi. – I PROCESSI – Sono 4 i processi principali del caso Moro. Il primo, che unificava i Moro-uno e Moro-bis, si è concluso in Cassazione (22 ergastoli) nel novembre 1985, il Moro-ter si è concluso nel maggio 1993 (20 ergastoli), il Moro-quater a maggio 1997 con la condanna definitiva all’ ergastolo per Lojacono, il Moro-quinquies si è concluso in due tempi (nel 1999 e nel 2000) con le condanne di Raimondo Etro e Germano Maccari. – COMPROMESSO STORICO – Nel ’73 il segretario Pci Berlinguer, riflettendo sul colpo di stato in Cile, proponeva un’alleanza temporanea tra i partiti popolari per arrivare ad una democrazia compiuta in cui tutti fossero legittimati a governare. Dopo un ‘governo della non sfiducià ebbe una misera attuazione nel governo Andreotti (monocolore Dc votato da quasi tutti i partiti che ottenne la fiducia proprio il giorno del rapimento). (ANSA)
MORO/30: CARTE, NOMI E FOTO CHE APPAIONO E SCOMPAIONO /ANSAGLI STRANI ELENCHI A CUI SI ACCENNA MA POI NON SE NE PARLA PIÙ (di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR – In una vicenda che ha visto veggenti, «grandi vecchi» e sedute spiritiche, non pu mancare, tra l’enorme mole di sospetti e ipotesi più o meno dietrologiche, la comparsa e scomparsa di accenni a liste che sembrano rinviare a quello che alcuni hanno chiamato lo «Stato parallelo». – CARTE CHE APPAIONO E SCOMPAIONO: l’ 8 maggio 1978 (il giorno prima dell’ uccisione di Moro) un quotidiano parla, in prima pagina, di elenchi trovati nel covo di via Gradoli. Gli elenchi sarebbero due: uno con nomi di politici, militari, industriali e funzionari di enti pubblici, l’ altro di esponenti locali Dc, a livello regionale, provinciale e comunale. Ci sono anche alcuni nomi del primo elenco: Loris Corbi, Beniamino Finocchiaro, Michele Principe, Publio Fiori. Del secondo elenco è citato solo Gerolamo Mechelli, la cui presenza viene però smentita dalla Digos, che così conferma implicitamente l’ esistenza degli elenchi. Il giorno dopo, mentre tutti i giornali si occupano della vicenda, vengono fatti i nomi anche di Gustavo Selva e dell’ on. Giacomo Sedati (Dc). Naturalmente si pensa ad una schedatura di potenziali vittime di attentati, ipotesi rafforzata dal fatto che Mechelli e Fiori erano stati già feriti dalle Br. Nel 1978 erano sconosciuti gli elenchi della P2 (trovati nel 1981), ma ora si può notare che, a parte Sedati, i nomi di altre cinque persone erano (a torto o a ragione) nelle liste della P2. Di questi elenchi non si è più parlato. Un altro appunto spunta ad ottobre 1993. Ancora il Corriere della sera scrive che il gen. Francesco Delfino venne inviato nel 1978 ad Ankara come capo settore del Sismi, per allontanarlo dall’Italia, dove era in pericolo. Nel covo delle Brigate rosse di via Monte Nevoso sarebbe stato infatti trovato un documento con i nomi di Delfino, del colonnello Antonio Varisco (che fu poi ucciso dalle Br) e del capitano Antonio Cornacchia (anche il suo nome era negli elenchi di Gelli). Agli atti però questo appunto non risulta. Un informazione errata del giornalista ? Di nuovo, nel febbraio 2001, due consulenti della Commissione stragi acquisiscono dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio alla vicenda del ritrovamento delle carte di Aldo Moro in via Monte Nevoso. I due faldoni della Digos, classificati in passato con ‘segretissimò recano le intestazioni: ‘A-4. Sequestro Moro – Covo di via Monte Nevoso – Rinvenimento del 9 ottobre 1990 – Carteggiò e ‘Sequestro Moro – Elenchi appartenenti Organizzazione Gladio«. Il secondo faldone contiene documentazione scambiata tra uffici diversi del Viminale per verificare informazioni sugli aderenti a Gladio i cui nomi, in ordine alfabetico, vengono riportati su fogli che recano l’intestazione »MOROELENCO«. Anche il primo faldone contiene un elenco intestato però ‘MORONOMÌ e riguardante persone che per logiche e incombenze diverse si erano occupate del sequestro Moro e delle carte di via Monte Nevoso. Da un primo esame, segnalano i due consulenti, ‘sembra che diversi nominativi oggetto di identificazione e notizie da parte della questura non figurino nel noto elenco dei 622’. Anche di questo non si è più parlato. TEX WILLER, MAFIOSI E LEGIONARI – Secondo le ricostruzioni, la quasi totalità dei colpi letali sparati in via Fani fu opera di un unico membro del commando, che sparò ben 49 dei 91 colpi totali, uccidendo tutti i membri della scorta (e almeno il maresciallo Leonardi era tutt’altro che uno sprovveduto, tiratore scelto e apprezzato addestratore dei paracadutisti incursori) senza neanche ferire Moro. Forse era lo stesso uomo di cui alcuni testimoni dicono di aver sentito urlare frasi non in italiano. Sembra che nessun brigatista del commando, neanche Morucci e Casimirri (i pi addestrati da questo punto di vista), avesse una tale ‘professionalit ’. Uno dei testimoni, esperto di armi, disse che »era senza dubbio un uomo particolarmente addestrato«. E nel suo romanzo-inchiesta »La borsa del presidente«, Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, fa dire al suo protagonista:»Tex Willer non era uno dei nostri. Tex Willer era un esperto, un professionista,di quelli che in Italia li conti sulle dita di una mano. Uno così, non ce lo saremmo mai potuti permettere«. Sulla sua identità si sono fatte diverse ipotesi. Nel cosiddetto ‘volantonè diffuso dal ministero dell’ Interno subito dopo la strage di via Fani con le foto di 20 sospetti di partecipazione all’ azione terrorista, c’ è anche Giustino De Vuono, calabrese, rapinatore ed ex volontario della Legione straniera, politicizzato in carcere. Anche Pecorelli, in una delle sue sibilline note, scrive:»Non diremo che il legionario si chiamava ‘Dè e il macellaio Maurizio«. Poi il Sismi affermava che De Vuono certamente non era in Italia nel periodo della strage (in commissione stragi, il col. Bonaventura ha sostenuto invece che era in carcere a Sciacca) e l’ ex legionario viene prosciolto in istruttoria. Ad ottobre 1993 invece, lo stesso giorno dell’ arresto di Germano Maccari (il ‘quarto uomò di via Montalcini), esce la notizia che Saverio Morabito, un collaboratore di giustizia calabrese, ha raccontato ai giudici che tra i brigatisti in azione in via Fani ci sarebbe stato un boss della ‘ndrangheta, Antonio Nirta, detto »due nasi« (dalle due canne della doppietta). Nirta, attraverso i suoi contatti con il gen. Delfino e i servizi segreti, sarebbe stato infiltrato nelle Brigate Rosse e sarebbe stato presente al sequestro dell’ on. Moro. Della presenza di un calabrese in via Fani si era parlato già in una telefonata tra l’ on. Cazora e Sereno Freato, collaboratore di Moro. Nella telefonata, Cazora dice che esponenti della ‘ndrangheta gli avevano chiesto di recuperare fotografie scattate in via Fani, in cui comparirebbe un personaggio a loro noto. Alcune foto erano state scattate in effetti in via Fani, subito dopo la strage, da un testimone che le aveva consegnate al giudice Infelisi. Quelle foto però finirono stranamente smarritè. (ANSA).
MORO/30: SONO SOLO DUE I LATITANTI UFFICIALI/ ANSACASIMIRRI IN NICARAGUA, LOIACONO IN SVIZZERA, MA MANCA QUALCUNO? (ANSA) – ROMA, 14 MAR – Dopo l’arresto di Rita Algranati, avvenuto nel 2004 in Egitto, restano ancora latitanti due dei brigatisti condannati per il caso Moro: Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono. Questo almeno secondo la ricostruzione ‘ufficialè, perch secondo altre ci sono altri protagonisti della vicenda che ancora non sono usciti allo scoperto. CASIMIRRI – Il ‘nicaraguensè Alessio Casimirri è l’unico componente del commando Br che rapì Moro in via Fani che non è mai stato arrestato ed è sempre rimasto latitante. La sua ex moglie, Rita Algranati, che viveva in Algeria, stata invece arrestata in Egitto nel gennaio 2004 ed estradata in Italia, dopo oltre 25 anni di latitanza. Per la partecipazione al rapimento Moro e ad altre azioni terroristiche, Casimirri è stato condannato a sei ergastoli nel processo Moro-ter. Nato nel 1951, figlio di un ex direttore della sala stampa vaticana, Casimirri entrato nelle Br (con il nome di battaglia di «Camillo») dopo una militanza in Potere Operaio e nel servizio d’ordine dell’Autonomia operaia di via dei Volsci. Con la Algranati gestiva un’ armeria vicino piazza San Giovanni di Dio. Casimirri si rifugia in Nicaragua negli anni Ottanta. Diplomato Isef ed esperto sommozzatore, si è dedicato per anni alla pesca e alle ricerche subacquee e ha poi aperto, con Manlio Grillo (uno dei responsabili del «rogo di Primavalle»), il ristorante italiano «Magica Roma» nel centro di Managua. Nel 1988 ha ottenuto la cittadinanza del Nicaragua grazie al matrimonio con Raquel Garcia Jarquin, dalla quale ha due figli. Nel 1998, combinando l’attivit di sub e quella di ristoratore, ‘Camillò apre un altro ristorante, la ‘Cueva del Buzò (La tana del sub), sulla costa, non lontano da Managua, in cui serve il pesce che cattura nelle acque del Pacifico e che, pare, cucini benissimo. L’Italia ha pi volte chiesto la consegna di Casimirri, ma tra Italia e Nicaragua non c’ un trattato per le estradizioni e la Costituzione nicaraguense vieta di consegnare un cittadino ad un altro paese, soprattutto se le sentenza ha implicazioni politiche. Nel 2004, in un’intervista al ‘Nuevo Diariò, Casimirri ha negato di aver partecipato all’agguato di via Fani, dicendo che il giorno del sequestro stava «dando lezioni di educazione fisica in una scuola». LOJACONO – Lo «svizzero» Alvaro Lojacono, 54 anni, ha una condanna all’ergastolo nel processo Moro-quater per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Lojacono era entrato nella colonna romana delle Br dopo una militanza nei gruppi dell’estrema sinistra romana. Nel 1975 era stato coinvolto nell’uccisione, a Roma, dello studente greco di destra Mikis Mantakas e per questo episodio è stato condannato a 16 anni. Secondo la ricostruzione giudiziaria, Lojacono faceva parte del commando delle Br che agì in via Fani. Dei membri di quel commando, Lojacono, con Casimirri e la Algranati, è stato coinvolto nelle vicende giudiziarie del caso Moro solo in un secondo tempo. Dopo un periodo in Algeria e, forse, in Brasile, Lojacono si rifugia nel Canton Ticino, dove viveva la madre, Ornella Baragiola, cittadina svizzera, e dove ottiene la cittadinanza svizzera, prendendo il cognome della madre. La Svizzera non ha mai concesso l’ estradizione, ma lo ha arrestato nel 1988 per una condanna a 17 anni per l’uccisione del giudice Tartaglione. Dopo nove anni di detenzione, Loiacono ha ottenuto la semilibertà per seguire corsi di giornalismo e nell’ottobre 1999 è tornato in libertà. Lojacono arrestato di nuovo il 2 giugno 2000 dalla polizia francese su richiesta italiana, sulla spiaggia dell’Ile Rousse, in Corsica. La Francia per non concede l’estradizione e l’ex terrorista torna libero e in Svizzera. E I DUE SULLA MOTO ? – Secondo diversi testimoni, in via Fani erano presenti anche due persone a bordo di una moto Honda di grossa cilindrata, piazzata a controllare l’ incrocio tra via Fani e via Stresa. La presenza di questa moto è stata sempre esclusa da tutti i brigatisti, ma Etro ha detto che Casimirri gli avrebbe parlato dei «due cretini» della moto, mentre Adriana Faranda ha parlato della possibilità che militanti non regolari, saputo dell’azione, abbiano voluto essere presenti. La presenza della Honda in via Fani è stata sostenuta soprattutto dal testimone Alessandro Marini che ha detto che uno dei due a bordo sparò con un piccolo mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del suo ciclomotore. Subito dopo l’arma si inceppò e cadde il caricatore. Il testimone riferisce anche che uno dei due somigliava moltissimo all’attore Eduardo De Filippo. Una ricostruzione sostiene che i due fossero «Peppe» e «Peppa», nomi di battaglia usati negli anni settanta da due militanti del Comitato proletario zona nord. Pino De Gori, avvocato della Dc in tutti i processi del caso Moro, dichiar che i due sulla moto erano del Mossad, venuti ad ‘assisterè al rapimento su una moto che si piazzò alle spalle della Fiat 130 del Presidente Dc. (ANSA).
MORO/30: INFILTRATI SÌ, INFILTRATI NO /ANSA
(di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR – Si è parlato spesso di infiltrati delle forze dell’ordine tra i terroristi, all’epoca del caso Moro, ma non si è riusciti a chiarire i dubbi. È certo che, se c’erano, non hanno avuto successo. A meno di riprendere una tesi dell’ex presidente della commissione Stragi Pellegrino, quella del ‘doppio ostaggiò (Moro e le carte) e di ammettere che il problema pi urgente non fosse quello di salvare Moro, ma di recuperare carte pericolose. Agli atti delle commissioni Moro e P2 c’è un appunto di Marcello Coppetti, ex giornalista dell’ Ansa morto pochi anni fa. Coppetti, esperto di servizi segreti, aveva scritto che, durante un incontro a villa Wanda, Licio Gelli disse a lui e a Umberto Nobili, ufficiale del Sios aeronautica, che «il caso Moro non è finito: Dalla Chiesa aveva un infiltrato, un carabiniere giovanissimo, nelle Brigate rosse. Così sapeva che le Br che avevano sequestrato Moro avevano anche materiale compromettente di Moro… Dalla Chiesa andò da Andreotti e gli disse che il materiale poteva essere recuperato se gli dava carta bianca. Siccome Andreotti temeva le carte di Moro (le valige scomparse ?) nominò Dalla Chiesa. Costui recuperò ciò che doveva. Così il memoriale Moro è incompleto. Anche quello in mano alla magistratura perchè è segreto di Stato». Di Patrizio Peci, il primo importante terrorista pentito, si è spesso avanzato il sospetto che fosse un infiltrato fin dall’ inizio della sua militanza, facendo leva sul fatto che Peci era stato in passato un sottufficiale dell’ Arma dei carabinieri. L’ ex questore Arrigo Molinari (ucciso nel 2005 e che era nelle liste P2) ha detto in commissione stragi che a settembre 1978 la questura di Genova aveva inviato al ministro dell’ Interno Rognoni un rapporto per segnalare elementi e riscontri che facevano ritenere Giovanni Senzani un infiltrato all’ interno delle Br. Anche di uno degli uomini del commando di via Fani, Alessio Casimirri, l’ unico mai catturato che ora gestisce un ristorante in Nicaragua, si è parlato come di un infiltrato. Nell’ aprile 1998 un quotidiano riportò una dichiarazione attribuita al pm Antonio Marini, secondo cui, dopo un fermo casuale di Casimirri, il gen. Delfino si sarebbe reso conto che si trattava di un brigatista e «riuscì a sapere che stava organizzando non un comune sequestro ma il rapimento del presidente della Dc e allora lo passò al Sismi. Il Sismi gli avrebbe fatto fare l’operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all’estero». Nel 1979 Paolo Santini, informatore del colonnello dei carabinieri Cornacchia (anche Cornacchia era nelle liste di Gelli), infiltrato in uno dei gruppi minori con diretti contatti con le Br, operativo al tempo del sequestro Moro, sarebbe stato arrestato perchè denunciato a sua volta da un altro infiltrato che lavorava per la Digos. Ma sospetti ci sono stati addirittura sul capo supremo delle Br del dopo-Curcio, Mario Moretti, che gli altri membri del Comitato esecutivo sottoposero, a sua insaputa, ad un’ inchiesta interna. E lo stesso Moretti fu arrestato, anni dopo, grazie all’ infiltrato Renato Longo. Ernesto Viglione, giornalista che abita in via Fani e che per questa vicenda sarà condannato a 3 anni e 6 mesi in primo grado e poi assolto in appello, dirà di essere entrato in contatto con il terrorista dissidente ‘Francescò, che gli aveva proposto addirittura un’intervista con Moro nel ‘carcere del popolò. Era maggio e Moro fu ucciso prima che Viglione potesse verificare le proposte di ‘Francescò, un uomo dal forte accento lucano o calabrese. Il contatto proseguì. ‘Francescò sosteneva che il rapimento Moro era stato organizzato da un gruppo guidato da alti prelati ed esponenti politici e in via Fani, mascherati da brigatisti, c’erano due sottufficiali e un ufficiale dei carabinieri. Nel vertice delle Br ci sarebbe stato anche un importante magistrato. La strage della scorta era avvenuta perchè i «carabinieri» temevano che Leonardi li riconoscesse. Sempre secondo lui, i brigatisti non avevano intenzione di uccidere Moro, e il presidente della DC era stato vittima di una congiura che si sarebbe servita delle Br come copertura. Viglione informò Cervone, Piccoli e Scalfaro e ne parlo anche con i generali Ferrara e Dalla Chiesa. ‘Francescò promise anche di far catturare il vertice delle Br in una riunione a Salice Terme, ma anche di ciò non si fece nulla. Risultò poi che la fonte era Pasquale Frezza, uno strano personaggio con precedenti penali che riuscì ad ottenere anche una somma di denaro dall’ on. Egidio Carenini (Dc) il cui nome era nelle liste P2. Sembra però che per un certo tempo Viglione abbia pensato che la sua fonte fosse Giustino De Vuono e che Frezza abbia sostenuto poi di aver accettato la parte per coprire l’ identità del vero brigatista. Anche Pecorelli, su OP, scrisse di ‘carabinierì tra virgolette:«Moro, secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario? I ‘carabinierì (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciarlo andare via con la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, perchè si voleva comunque l’ anticomunista Moro morto e le Br avrebbero ucciso il presidente della Dc in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che un’operazione del genere comporta». Pecorelli scrisse anche che «I rapitori di Aldo Moro non hanno nulla a che spartire con le Brigate rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico-tecnicistico del sequestro Moro…..Curcio e Franceschini in questa fase debbono fornire a quelli che ritengono occasionali alleati una credibile copertura agli occhi delle masse italiane. In cambio otterranno trattamenti di favore. Quando la pacificazione nazionale sarà un fatto compiuto e una grande amnistia verrà a tutto lavare e tutto obliare». (ANSA).
MORO/30: QUATTRO PROCESSI PER LA VERITÀ GIUDIZIARIA/ ANSA
(ANSA) – ROMA, 14 MAR – I grandi processi per il caso Moro sono quattro anche se si arrivati al Moro-quinquies. Infatti il primo e il secondo procedimento furono unificati in un unico processo: – MORO UNO E MORO BIS – Il 24 gennaio 1983 i giudici della 1/a Corte d’Assise (presidente Severino Santiapichi) emettono la sentenza del processo per la strage di via Fani e il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Il processo unifica i procedimenti Moro-uno e Moro-bis. La sentenza condanna all’ ergastolo 32 persone: Renato Arreni, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Anna Laura Braghetti, Giulio Cacciotti, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Natalia Ligas, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Rocco Micaletto, Luca Nicolotti, Mara Nanni, Cristoforo Piancone, Alessandro Padula, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Nadia Ponti, Salvatore Ricciardi, Bruno Seghetti, Pietro Vanzi, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 marzo 1985 la Corte d’ Assise d’appello conferma 22 condanne all’ ergastolo. Ridotta la pena per Natalia Ligas, Mara Nanni, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 novembre 1985 la Cassazione conferma quasi intergralmente la sentenza, tranne per le posizioni di 17 imputati minori per i quali si chiede la rideterminazione della pena. – MORO TER – Il 12 ottobre 1988: si conclude con 153 condanne (26 ergastoli e 1.800 anni complessivi di detenzione) e 20 assoluzioni il processo denominato «Moro ter», riguardante le azioni delle Br a Roma tra il 1977 e il 1982. La 2/a Corte d’ Assise (presidente Sergio Sorichilli condanna all’ ergastolo Susanna Berardi, Barbara Balzerani, Vittorio Antonini, Roberta Cappelli, Marcello Capuano, Renato Di Sabbato, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Cecilia Massara, Paola Maturi, Franco Messina, Luigi Novelli, Sandra Padula, Remo Pancelli, Stefano Petrella, Nadia Ponti, Giovanni Senzani, Paolo Sivieri, Pietro Vanzi, Enrico Villimburgo, i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri e gli imputati in libertà per decorrenza dei termini di detenzione Eugenio Pio Ghignoni, Carlo Giommi, Alessandro Pera e Marina Petrella. Il 6 marzo 1992 la terza Corte d’ Assise d’ appello conferma la condanna all’ ergastolo per 20 imputati del processo ‘Moro-ter’ Pena ridotta per Alessandro Pera, Eugenio Ghignoni, Paola Maturi e Franco Messina e ad altri due imputati. Il 10 maggio 1993 una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Arnaldo Valente) conferma le condanne emesse in appello per gli imputati del Moro-ter. Annullata, con rinvio ad altra sezione penale della corte d’ appello di Roma, solo la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in appello a 15 anni. – MORO QUATER – L’1 dicembre 1994 il processo «Moro quater», che si occupa di alcuni risvolti del caso non risolti dai processi precedenti e di alcuni episodi stralciati dal Moro-ter, si conclude con una sentenza della prima Corte di Assise (presidente Severino Santiapichi) che condanna all’ ergastolo Alvaro Loiacono, in carcere in Svizzera per altre vicende, riconosciuto colpevole di concorso nel rapimento e nell’ uccisione dell’ ex presidente della Dc Aldo Moro e di altri omicidi. Il 3 giugno 1996 la sentenza confermata dai giudici della Corte di Assise di appello di Roma e, il 14 maggio 1997, dalla Cassazione. – MORO QUINQUIES – Il 16 luglio 1996 i giudici della seconda Corte d’Assise emettono la sentenza del processo Moro-quinquies e condannano all’ ergastolo Germano Maccari per concorso nel sequestro e nell’ omicidio di Aldo Moro e nell’eccidio della scorta e Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi. Il 19 giugno 1997, in appello, la pena per Maccari ridotta a 30 anni. La Cassazione disporr un nuovo processo e il 28 ottobre 1998 la nuova sentenza d’appello condanna Maccari a 26 anni ed Etro a 20 anni e 6 mesi. La condanna per Etro diventa definitiva nel 1999, mentre Maccari sar di nuovo processato in appello e la sua pena ridotta a 23 anni.
MORO/30: CRONISTA ANSA, QUELLA MIA GIORNATA PARTICOLARE/ANSA16 MARZO 1978, DOVEVO SCIOPERARE. DAL BARBIERE CORSA IN VIA FANI (di GIANNI MORINI) (ANSA) – ROMA, 15 MAR – Un doppio salto mortale carpiato all’indietro. Un tuffo nel passato di 30 anni ad altissimo coefficiente di difficoltà. Così mi sento, quasi fossi sul trampolino olimpico, nel rievocare oggi e far riemergere ricordi e sensazioni di quell’incredibile giornata di tre decenni fa. Quella mattina ero dal barbiere, proprio così. Mentre all’incrocio tra via Fani e via Stresa deflagrava la «geometrica potenza di fuoco» delle brigate rosse, il cronista che dal almeno un lustro seguiva la sanguinosa scia tracciata dalla follia del partito armato se ne stava tranquillamente sprofondato nella poltrona del suo barbiere di fiducia.Alle 8:30 di un mattino che annunciava primavera, avevo deciso di farmi rasare dal mio amico ‘Totonnò, chiacchierando di calcio. Andavo ripetendomi che, finalmente, nulla mi avrebbe impedito di rilassarmi un pò, magari con quella partita a tennis da tempo rinviata. D’altronde, per un altro singolare incrocio del fato, il 16 maggio avrebbe dovuto essere una giornata di silenzio dell’informazione. C’era lo sciopero indetto per il nuovo rinnovo del contratto nazionale del lavoro, ed anche l’ANSA aveva chiuso i battenti.«Interrompiamo le trasmissioni…». Immediato silenzio nella piccola barberia. Cosa andava blaterando la radiolina? «Agguato e sparatoria…», «Rapito il presidente della Dc, Aldo Moro…»,«Assassinati i cinque agenti della scorta…». Incredulo, scatto dalla poltrona e salto sull’auto mentre, come nei film de ‘Il Padrinò, con un asciugamano mi tolgo la schiuma dal volto. Come qualche centinaio di colleghi, non mi chiedo affatto se le telescriventi abbiano ripreso a battere perchè so già che è così. Penso solo a raggiungere il prima possibile un telefono: il fantastico cellulare dei giorni nostri era allora un oggetto alieno, ben lontano dalla realtà, ed un cronista che si rispettasse doveva sempre avere con sè un’adeguata scorta di gettoni telefonici. Dal contatto con la redazione la conferma: l’ANSA ha ripreso il lavoro e sta trasmettendo a getto continuo.Allora via fino a qual maledetto incrocio, dove quel che vedi ti dice che ora tutto sta cambiando e che il 16 marzo non sarà mai più un giorno come un altro. Ti guardi attorno e capisci che è finito il tempo dei ‘sè e dei ‘mà… Comincia invece quello delle tante domande e delle poche risposte. (ANSA)
(ANSA) – ROMA, 14 MAR – 16 marzo 1978, ore 9,02: una Fiat 132 con a bordo il presidente della Dc Aldo Moro e il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, guidata dall’appuntato Domenico Ricci, percorre via Mario Fani, seguita dall’Alfetta con i tre agenti della scorta, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Le due vetture sono partite, come quasi ogni mattina, dall’abitazione di Moro, in via del Forte Trionfale, e, seguendo il percorso abituale verso il centro, hanno raggiunto via Fani. In via Fani, davanti al bar Olivetti (chiuso per il riposo settimanale), pochi metri prima dell’ incrocio con via Stresa, una Fiat 128 con targa diplomatica frena bruscamente e viene tamponata dalle auto dei Moro, che restano bloccate. In tre minuti, un «commando» di brigatisti formato, almeno ‘ufficialmentè, da nove persone (pi una decima con funzioni solo di vedetta), vestiti con divise da aviatori civili, uccide gli uomini della scorta e sequestra il presidente della Dc. Solo Jozzino, ferito, riesce a sparare qualche colpo, inutilmente, prima di essere finito. I terroristi hanno sparato in tutto 91 colpi, 49 dei quali ad opera di un unico killer, che usava un’arma mai ritrovata. Un testimone esperto di tiro definir quel brigatista «un tiratore scelto» che sparava come «Tex Willer». Il commando era formato da Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e Raffaele Fiore (il cosiddetto ‘gruppo di fuocò), Mario Moretti e Bruno Seghetti (alla guida di due auto), Barbara Balzerani, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri (nel ruolo di ‘cancellettì), pi Rita Algranati che, pi distante, doveva segnalare agitando un mazzo di fiori l’arrivo del corteo di auto con Moro a bordo. Molti testimoni hanno per parlato della presenza di due persone su una moto Honda. In pi, nella ricostruzione ufficiale non quadra il fatto che tutti i terroristi avrebbero sparato da un solo lato, mentre una perizia (e alcune testimonianze) sembrerebbero dimostrare che uno dei killer era sul lato opposto. Moro stava andando alla Camera, dove Andreotti avrebbe presentato il suo nuovo Governo, il primo con l’appoggio del Pci, nato proprio dal paziente e faticoso lavoro di Moro. All’angolo dell’agguato c’era di solito il furgone di un fioraio, ma quel giorno era rimasto a casa perch aveva trovato il suo mezzo con tutte le ruote squarciate. Da un balcone, un testimone, carrozziere, scatta diverse foto. La moglie, giornalista dell’Asca, consegna il rollino al giudice Infelisi. Alle 9,24 polizia e carabinieri dispongono posti di blocco sulle strade in uscita dalla città, mentre in via Fani sono arrivati i responsabili dell’ ordine pubblico ed Eleonora Moro. Lo statista, secondo la ricostruzione in seguito fatta da Morucci, con una «132» scortata da altre due vetture ha raggiunto Monte Mario. Il presidente della Dc viene trasferito su un furgoncino e con questo viene portato in un parcheggio sotterraneo in via dei Colli Portuensi e qui trasbordato su un’ auto «blu» che lo porta nella «prigione» di via Montalcini. Alle 10:10 arriva all’ANSA la prima telefonata di rivendicazione delle Br. Nella giornata viene proclamato lo sciopero generale e centinaia di migliaia di persone manifestano a Roma e in tutte le più grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. grandi città, mentre si susseguono i vertici a Palazzo Chigi, in questura, al Viminale. Il caos aumentato dal fatto che i telefoni della zona, proprio in quel momento, rimangono muti. Un malfunzionamento dovuto, secondo la Sip, al sovraccarico delle linee. (ANSA)
MORO: I 55 GIORNI PIÙ LUNGHI DELLA REPUBBLICA/ ANSALETTERE, COMUNICATI VERI E FALSI, IL COVO DI VIA GRADOLI (ANSA) – ROMA, 1 MAR – Cronologia dei fatti principali dei55 giorni del rapimento Moro:
– 16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo avere bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta (due carabinieri e tre poliziotti) e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l’azione con una telefonata all’ANSA. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato. – 18 marzo: arriva il ‘Comunicato n.1’ delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l’inizio del ‘processò. Funerali degli uomini della scorta. – 19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro. – 20 marzo: al processo di Torino, il ‘nucleo storicò delle Br rivendica la responsabilità politica del rapimento. – 21 marzo: il governo approva il decreto antiterrorismo. – 23 marzo: il Pci approva la linea della fermezza. – 25 marzo: le Br fanno trovare il ‘Comunicato n.2’. – 29 marzo: arriva il ‘Comunicato n.3’ con la lettera al ministro dell’Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi «sotto un dominio pieno e incontrollato» e accenna alla possibilità di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono che «nulla deve essere nascosto al popolo». Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana. – 30 marzo – La direzione Dc approva la linea della fermezza. – 2 aprile: A Zappolino (Bologna) si svolgerebbe la seduta spiritica dalla quale esce l’indicazione ‘Gradolì. – 4 aprile: Arriva il ‘Comunicato n.4’, con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini. «Moralmente – scrive Moro – sei tu ad essere al mio posto». – 6 aprile: Le Br consegnano alla moglie di Moro una lettera in cui il presidente DC la invita a fare pressioni contro la linea della fermezza. Le forze dell’ordine controllano l’intero paesino di Gradoli, nella zona di Bolsena. – 7 aprile: Il Giorno pubblica una lettera di Eleonora Moroal marito. La famiglia tiene un linea autonoma, rispetto alla «fermezza» del governo. – 10 aprile: Le Br recapitano il ‘Comunicato n.5’ e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche. – 15 aprile: Il ‘Comunicato n.6’ annuncia la fine del ‘processo popolarè e la condanna a morte di Aldo Moro. – 17 aprile: Appello del segretario dell’Onu Waldheim. – 18 aprile: Grazie a un’ infiltrazione d’acqua, scoperto il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono però assenti. A Roma viene trovato un sedicente ‘comunicato n.7’ che annuncia l’esecuzione di Moro il cui corpo sarebbe nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, per oggetto di verifiche. Per giorni il corpo di Moro sarà cercato, con grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L’Aquila, ghiacciato da mesi. – 20 aprile: Moro vivo. Le Br lasciano il vero ‘Comunicato n.7’ insieme a una foto di Moro con un giornale del 19 aprile. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro. – 21 aprile: la direzione Psi è favorevole alla trattativa. – 22 aprile: messaggio di Paolo VI agli «Uomini delle Brigate rosse» perchè liberino Moro «senza condizioni». – 24 aprile: il ‘Comunicato n.8’ delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un’altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici. – 29 aprile: È il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell’Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora. Moro scrive che lo scambio la sola via di uscita. – 30 aprile: Un brigatista (sembra Moretti) telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, «immediato e chiarificatore» può salvare la vita del presidente Dc. – 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute. – 5 maggio: Andreotti ripete il no alle trattative. Il ‘Comunicato n. 9’ annuncia: «Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza». Lettera di Moro alla moglie: «Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione». – 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come «prigione del popolo».
MORO/30: LA LUNGA MARCIA VERSO LA VERITÀ/ ANSALA VERITÀ GIUDIZIARIA SEMBRA RAGGIUNTA, MA I DUBBI RESTANO (ANSA) – ROMA, 1 MAR – La storia del caso Moro è fatta anche di una lunga serie di scoperte e rivelazioni (alcune vere o probabili, altre meno) avvenute dopo la tragica conclusione della vicenda. Ecco alcune delle principali: – 19 mag 1978: a Roma, in via Foà, scoperta una tipografia, di Enrico Triaca, usata dalle Br durante il sequestro. Alcune apparecchiature erano appartenute ai servizi segreti. – 1 ott 1978: irruzione dei carabinieri di Dalla Chiesa nel covo di via Monte Nevoso, a Milano. Arrestati 9 terroristi, tra cui Azzolini e Bonisoli. Trovato il memoriale Moro. – 27 ott 1978: resa pubblica la telefonata di un br alla moglie di Moro, attribuita prima a Toni Negri e poi a Moretti. – febbraio 1979: ‘L’Espressò pubblica rivelazioni provenienti da Ernesto Viglione, giornalista di Radio Montecarlo. Secondo un sedicente brigatista, le Br e il caso Moro sarebbero state molto diversi dalla versione ufficiale. Poi il caso sembra sgonfiarsi in un tentativo di truffa, ma in appello Viglione è assolto. – 17 mar 1979: Raffaele Fiore è arrestato a Torino. – 20 mar 1979: ucciso a Roma Mino Pecorelli. Su Op aveva fatto diversi ‘scoop’ e rivelazioni sul caso Moro e ne aveva promessi altri. Sembra fosse in attesa di altre carte. – marzo 1979: ‘Metropolì, rivista dell’ Autonomia, pubblicaun fumetto che ricostruisce il rapimento e il processo. Un anno dopo, ad aprile, ‘Metropolì tornerà sulla vicenda con l’ambiguo «Oroscopone» della maga Ester, che alludead un russo nel ruolo del ‘grande vecchiò. – 30 mag 1979: arrestati a Roma Valerio Morucci e Adriana Faranda, usciti dalle Br dopo il caso Moro. Erano a casa della figlia di Giorgio Conforto, che sarà nel ‘dossier Mitrokhin’. Nel 1984 raccontano la loro versione dei fatti in un memoriale. – 24 set 1979: ferito alla testa e arrestato a Roma Gallinari, a lungo ritenuto l’ esecutore materiale dell’ uccisione di Moro. – 2 feb 1980: resa nota l’ esistenza dei piani Victor, in caso di rilascio di Moro vivo e Mike, in caso di sua morte. Scalpore anche se ne aveva già parlato un libro nel 1979. – marzo 1980: il primo grande pentito delle Br, Patrizio Peci, comincia a parlare. A febbraio 1982, lo fa anche Savasta. – 19 mag 1980: arrestato Bruno Seghetti. – 27 mag 1980: arrestata Anna Laura Braghetti. – 4 apr 1981: arrestato a Milano Mario Moretti. – 10 giu 1981: la commissione Moro si occupa della seduta spiritica del 2 aprile 1978 a Bologna, presente anche Romano Prodi, durante la quale è emerso il nome ‘Gradolì. – 1 feb 1982: il ministro dell’Interno Rognoni annuncia la scoperta della prigione del popolo, un appartamento della Braghetti, in via Montalcini. – 3 set 1982: ucciso a Palermo il gen. Dalla Chiesa. – 24 mar 1984: rapina miliardaria alla Brink’s Securmark. Gli autori, tra cui Toni Chichiarelli, lasciano materiale con chiare allusioni al caso Moro. – 28 set 1984: ucciso a Roma Toni Chichiarelli. – gennaio 1985: individuati in Rita Algranati e Alessio Casimirri due dei tre latitanti coinvolti, di cui Morucci non ha fatto i nomi. Il terzo sarà ritenuto Alvaro Loiacono. – 19 giu 1985: ad Ostia, è arrestata Barbara Balzerani. – 5 mar 1988 – Andreotti afferma che il Vaticano era pronto a pagare un fortissimo riscatto per la liberazione di Moro e che era riuscito a stabilire un contatto con qualcuno dei rapitori. – 8 giu 1988: in Svizzera è arrestato Loiacono, diventato cittadino elvetico grazie alla madre. – 9 ott 1990: nei lavori di ristrutturazione in via Monte Nevoso, da un’intercapedine escono documenti non trovati nel 1978 e una versione più ampia del memoriale. Polemica tra Craxi e Andreotti sulle ‘maninè e le ‘manonè. – 9 giu 1991: Cossiga parla di un’ operazione dei Comsubin, finora sconosciuta. – 13 ott 1993: arrestato Germano Maccari, accusato di essere il quarto carceriere di Moro. Lo stesso giorno esce la notizia che un pentito ha detto che Antonio Nirta, killer della ‘ndrangheta, sarebbe stato presente in via Fani. – 25 ott 1993: resa nota un’ intervista rilasciata in estate in cui Mario Moretti si assume la responsabilità di aver ucciso Moro. – 8 giu 1994: arrestato Raimondo Etro, che avrebbe svolto un ruolo di armiere. – maggio 1998: trapela la notizia che molti appartamenti di via Gradoli appartenevano a societ legte al Sisde. – 29 mag 1999: trapela la notizia che il pianista russo Igor Markevitch sarebbe l’ ‘anfitrionè fiorentino delle Br. – febbraio 2000: la Commissione stragi acquisisce dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio al ritrovamento delle carte di via Monte Nevoso del 1990. – 2 giu 2000: arrestato in Corsica Loiacono. La Francia però negherà l’ estradizione. – 14 nov 2000: dalle indagini di Brescia sulla strage di piazza della Loggia emerge una struttura segreta, chiamata ‘Noto serviziò, che attraverso qualche suo uomo, potrebbe avere avuto un ruolo anche nel caso Moro. Nel 2003 esce che il nome della struttura sarebbe stata «L’Anello». – 25 ago 2001: Maccari muore d’infarto nel carcere di Rebibbia. – 5 set 2001: Lanfranco Pace dice che è stato Maccari ad uccidere Moro mentre Moretti era in preda a una crisi di panico e Gallinari piangeva. La presunta rivelazione ha tutta l’ aria di voler alleggerire la posizione di Moretti, addossando ad un morto la responsabilità dell’ uccisione di Moro. – 11 dic 2003: un libro sul caso Tobagi sostiene che le carte trovate in via Monte Nevoso furono portate via per essere fotocopiate e poi riportate sul luogo ma «assottigliate». – 14 gen 2004: arrestata Rita Algranati, la vedetta che segnal l’arrivo di Moro e della scorta in Via Fani. (ANSA)
MORO/30: ANCORA DUBBI, QUANTI IN VIA FANI E CHI SPARO? /ANSAINTERROGATIVI NELLA RICOSTRUZIONE DELL’AGGUATO E DELLA STRAGE (ANSA) – ROMA, 29 FEB -Sono passati 30 anni dal 16 marzo 1978 ma i buchi neri nella ricostruzione della strage di via Fani, la prigionia e la morte di Aldo Moro, iniziano già con il primo atto dei 55 giorni più bui e lunghi della Repubblica.Questi buchi neri sono ancora lì in attesa di essere colmati. Alle 8,45 il commando delle Br si disloca all’incrocia tra via Fani e via Stresa, nella zona della Camilluccia. Il piano era stato messo a punto nella base di Velletri. Via Fani è una strada in discesa verso via Stresa. Nella parte alta Mario Moretti si dispone alla guida di una Fiat 128, targata CD sulla destra della strada, subito dopo via Sangemini, con il muso dell’auto verso il basso. Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri – tutti e due sono oggi all’estero: il primo in Svizzera, l’altro in Nicaragua- erano a bordo di una Fiat 128 bianca collocata davanti alla macchina di Moretti. Una Fiat 128 blu era posteggiata, con alla guida Barbara Balzerani, sul lato opposto di via Fani, subito il crocevia con via Stresa, con il muso rivolto verso l’alto, cioè la direzione di provenienza dell’auto di Moro. L’altra auto, la Fiat 132 blu, con a bordo Bruno Seghetti era ferma in via Stresa parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall’incrocio. Una A112 era parcheggiata, vuota, in via Stresa, a 20 metri da via Fani con il muso verso via Trionfale. La tecnica dell’azione venne copiata pari pari dagli uomini della Raf. Un’azione «a cancelletto». L’operazione Fritz cominciò non appena la macchina di Moro e quella della scorta sbucò dall’alto, imboccando la discesa di via Fani. La macchina di Moretti si immise sulla strada e giunta all’incrocio si piantò. La 130 di Moro cercò ripetutamente di farsi largo ma una Mini Mirror parcheggiata all’incrocio impedì lo «svincolo». La macchina di Moro e quella della sua scorta erano in trappola. La 128 bianca di Casimirri e Lojacono si mise di traverso nella parte alta dell’incrocio, bloccando il traffico. A segnalare l’arrivo delle macchine con un mazzo di fiori era stata, hanno detto i Br, Rita Algranati – scagionata ufficialmente dal processo, ma il cui ruolo è stato confermato dai partecipanti alla operazione. Era quello il segnale che il commando travestito da piloti aspettava: da dietro le siepi del bar sbucarono quattro uomini: Morucci, Fiore, Gallinari e Bonisoli che aprirono il fuoco. I primi a cadere furono, dopo che erano stati infranti i vetri anteriori, Ricci e Leonardi, l’autista e il capo scorta di Aldo Moro. Breve efficace, una «azione esemplare» nonostante la dichiarata approssimazione della preparazione militare del commando. I colpi furono sparati da distanza ravvicinata. Moro fu prelevato. Una donna lo senti dire «Mi lascino andare. Cosa vogliono da me?». Questo il «racconto-base» del rapimento fatto da Valerio Morucci, il primo a dare il quadro dell’assalto e a cui si sono rifatti tutti. Tre della scorta, in un mare di sangue, furono finiti con un colpo di grazia alla nuca: Iozzino, Leonardi e Ricci. Solo Iozzino sparò due colpi ma fu subito freddato da altri due assalitori in borghese. Dalle prime dichiarazioni i Br sono via via passati da 7 a 8, poi a 9, poi a 10 ed infine ad 11 (con l’aggiunta della Algranati, poi assolta, ed Etro). Per rapire il giudice Mario Sossi, che era senza scorta, furono utilizzati 14 Br. Venti erano stati preventivati per rapire Moro dentro la chiesa di Piazza dei Giochi Delfici. Qualcuno manca ancora oggi all’appello? Molti testimoni parlarono di una moto Honda con a bordo due che spararono avendo il volto coperto da passamontagna. Per i Br quella moto non è mai esistita. Per la giustizia è un fatto acclarato con sentenza passata in giudicato. Uno dei killer cercò di uccidere un testimone, l’ingegner Marini. Perchè questo blocco? Quella presenza in moto è inconfessabile? Un uomo della ‘ndrangheta, come si disse prima dell’ennesima smentita? Una diversa componente del Movimento, due autonomi, un gruppo di Prima Linea? Corrado Alunni, come sostenne sulla base di un identikit un testimone che vide un uomo alzarsi per un attimo il passamontagna? Una componente delinquenziale delle Br? La perizia balistica stabilì che vennero esplosi almeno 91 colpi; 49 furono sparati da una sola arma, uno Fna 43 o uno Sten; 22 da una pistola mitragliatrice, 5 e 3 da altre due pistole-mitra e infine 8 e 4 da due pistole semi automatiche. L’uomo che spara più colpi era in divisa e mostrava grande padronanza. È lui che fa il grosso del «lavoro» insieme a colui che spara 22 colpi. Nella ricostruzione fatta da Morucci i Br sparano dal solo lato sinistro ma ciò non è vero. Ricci cade a sinistra, Leonardi colpito anche destra mentre cerca di girarsi per coprire Moro. Sono i due specialisti che sparano sulla macchina di Moro senza che il presidente venga colpito. Una perizia, durante il Moro-quater, ha accertato che a via Fani sparò un numero di armi superiore a quello dichiarato dai Br. Almeno 7 e non sei, da destra e sinistra: 4 mitra, 2 pistole semi automatiche -impugnate da due persone- e probabilmente un’altra arma che utilizzava proiettili calibro 7,65 parabellum. Ma i Br affermano che spararono solo in quattro: Bonisoli, Fiore, Gallinari e Morucci. A Bonisoli, però, il mitra si inceppò subito, quello di Morucci «quasi subito». A Gallinari accadde a metà raffica. Fiore ha detto che il suo M12 si inceppò «subito», che sfilò il caricatore e lo sostituì, ma che non partì alcun colpo. Tutti i mitra si incepparano. Chi sparò quindi quel giorno a via Fani? (ANSA).
MORO/30: BR SAPEVANO DI INCONTRO CON ZACCAGNINI?/ANSAUN’IPOTESI MAI VERIFICATA DI NORA MORO SU QUEL GIORNO (ANSA) – ROMA, 29 FEB – Uno degli elementi non chiariti della strage di Via Fani è la certezza che le Br avevano che il 16 marzo Moro e la sua scorta sarebbero passati proprio in quella strada e a quell’ora. Degli uomini in divisa non potevano passare inosservati a lungo, fermi, all’angolo di un incrocio. Era un’azione che non poteva fallire n si poteva replicare: doveva esserci la certezza di colpire. La signora Nora Moro durante il primo processo ha dato un contributo che è stato accantonato troppo facilmente, visti alcuni riscontri che ci sono stati negli anni. «Io vorrei sapere – disse Eleonora Moro in aula – cosa è successo il 15 marzo. Perchè se il 15 marzo, in via d’ipotesi, mio marito avesse avuto un appuntamento con Zaccagnini: ‘andiamo insieme in Parlamento e discorriamo di queste cosè, alloras che via Fani era una strada obbligata. Allora, se questoè stato combinato per telefono, il nostro telefono era sorvegliato, qualcuno poteva sapere con precisione che il giorno dopo l’onorevole Moro passava in via Fani». Il giudice chiese se avesse fatto riscontri. «Sì, ho tormentato tutti quelli che potevo tormentare. Non sono riuscita a sapere con chi si dovesse incontrare. E qualche volta ho avuto anche l’impressione che non mi si volesse dire». Effettivamente – come ha rivelato il volume di Marcucci e Selva ‘Il martirio di Aldo Morò nel 1979 -, quella mattinail presidente della Dc doveva recarsi proprio da Benigno Zaccagnini, il segretario della Dc che voleva dimettersiper protesta dalla carica, perchè non condivideva la listadei ministri stilata da Andreotti per il governo che doveva avere l’appoggio del Pci. Il 16 marzo Moro uscì in anticipo da casa. Poco prima delle 9. «Prima di andare alla Camera, (Moro) deve fare una sosta al Centro studi Alcide De Gasperi, alla Camilluccia. Secondo alcune voci- si afferma nella prima edizione del libro -, Zaccagnini lo attende per presentargli ufficialmente le dimissioni da segretario politico. Il Centro studi della Dc è, comunque, un passaggio quasi obbligato per Moro. In fondo a via della Camilluccia, una lunga discesa tutta curve, c’è Piazza dei Giochi Delfici e, sulla piazza, la chiesa di Santa Chiara. Moro certamente farà una seconda sosta». Questa notizia sparirà nella nuova edizione del volume pubblicato anni dopo. La notizia dell’incontro Moro-Zaccagnini è stata confermata recentemente anche da Giovanni Galloni Galloni, all’epoca vice segretario della Dc: la mattina del 16 marzo 1978 Moro era uscito presto di casa, prima delle 9, mentre il dibattito alla Camera per la presentazione del governo era previsto per le 10. Infatti, lo statista, al momento del sequestro, «si stava recando a casa del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, che aveva in mente di dimettersi dalla guida del partito non appena il governo avesse ottenuto la fiducia. Moro andava da lui per scongiurare questa scelta». Come ha fatto questa informazione a finire alle Br che aspettavano Moro all’incrocio di via Fani? Quella mattinail Pci pensò, prima del rapimento, di non votare a favoredel governo.« Nella serata e persino nel cuore della notte precedenti, il modo come il presidente del Consiglio (Andreotti) aveva dato gli ultimi, decisivi ritocchi alla lista dei ministri, era al centro delle critiche molto vivaci della segreteria comunista», ha scritto – ricordando quella lunga notte- il giornalista Giorgio Frasca Polara in un libro edito da l’Unità e dedicato alla vita di Berlinguer. In polemica con il partito il 16 marzo Giancarlo Pajetta era rimasto a casa. Tutto sarebbe stato deciso dopo il discorsodi Andreotti, ma i dissensi erano forti ed ampi. Qualcuno intercettava casa Moro, dunque? Si disse e scrisse che alla Sip le Br avevano una vera e propria brigata formatada addetti selezionati che potevano inserirsi sulle linee. Inoltre le Br potevano avere un’altra certezza rispettoa quelle finora ammesse. A Benito Cazora, un deputato Dc chesi mise ad indagare in proprio sul rapimento, la ‘ndrangheta segnalò che nella parte bassa di Via Fani le Br avevano, come ipotizz negli atti della prima indagine il giudice Guido Gusco, un centro di osservazione presso un albergo per studenti. Oppure informazioni «filtrarono» dagli ambienti vicinia Moro, anche indirettamente, come disse il primo pentito delle Br, Patrizio Peci, nei suoi verbali? (ANSA).
MORO/30: TUTTI ONLINE GLI ARCHIVI DEL PARLAMENTO/ ANSAINIZIATIVA ARCHIVIO STORICO SENATO – SI LAVORA SU 180MILA PAGINE (ANSA) – ROMA, 1 MAR – A partire dal 16 marzo il Senato della Repubblica metterà in rete sul suo sito una vera e propria miniera di documenti sul caso Moro. Oltre 187.000 pagine di documenti, rapporti,verbali di interrogatorio, atti parlamentari, relazioni ecc. frutto del lavoro della Commissione Stragi e ancor prima della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita per far luce sul rapimento e la morte del leader della Dc, Aldo Moro. Un patrimonio archivistico immenso atteso come una manna – dalla rete – da studiosi, storici, giornalisti e semplici cittadini che potranno farsi direttamente un’idea dell’omicidio politico più controverso della storia della repubblica. Gran parte dei documenti provengono dall’Archivio storico del Senato – diretto dalla Dottoressa Emilia Campochiaro – e che conserva gli archivi delle Commissioni parlamentari d’inchiesta monocamerali e bicamerali che chiudono i lavori con la Presidenza Senato. Si tratta di un ponderoso patrimonio documentale che sarà progressivamente inventariato, digitalizzato e reso disponibile in rete. Ecco un quadro di quello che presto sarà disponibile online:- ARCHIVIO COMMISSIONE STRAGI Nell’ambito di questo complesso e ampio progetto è stata prodotta la banca dati Commissioni parlamentari d’inchiesta on line, dove sono per il momento disponibili l’inventario e i documenti digitalizzati del filone d’inchiesta «Caso Moro», uno dei 29 filoni individuati dalla ex Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi, che nella riunione conclusiva dei lavori ha disposto la pubblicazione dell’archivio esclusivamente in formato digitale. La documentazione originale del filone «Caso Moro» è conservata in 112 faldoni e una volta completata la digitalizzazione, darà luogo alla creazione di 7.731 file corrispondenti a pp. 62.117. La priorità data al filone «Caso Moro» è stata determinata dalla volontà del Senato e dell’Archivio di dare un contributo alle iniziative in memoria dello Statista nel trentesimo anniversario della scomparsa. Per la prima volta l’Archivio di una Commissione d’inchiesta è stato riordinato e schedato documento per documento secondo criteri archivistici, con un sw relazionale, che consente di:- pubblicare l’archivio in Internet nella forma di inventario con il link di ciascuna voce al documento digitalizzato;- effettuare ricerche su uno o più Commissioni- produrre elenchi di nomi, luoghi, enti produttori.- ATTI PARLAMENTARI Sono stati digitalizzati e saranno disponibili in rete gli Atti già pubblicati a stampa nella serie Atti parlamentari dalla ex Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro (130 volumi, 132 file, pp. 104.236) e dalla ex Commissione parlamentare inchiesta «terrorismo e stragi» (26 volumi, 43 file, pp. 20.736). L’indice di ciascun volume è consultabile ed è collegato con le rispettive pagine a stampa digitalizzate.- REPERTORIO COMMISSIONI INCHIESTA (1948-2006) È stato anche elaborato uno strumento di ausilio per la ricerca che ricostruisce la storia delle Commissioni d’inchiesta dalla I alla XIV legislatura. Si tratta del Repertorio delle commissioni d’inchiesta (1948-2006), che sarà consultabile entro il 16 marzo 2008 sia sul sito dell’Archivio storico del Senato sia eventualmente sul sito Parlamento.(ANSA).
MORO/30: IL RICORDO DEL PRIMO FOTOGRAFO IN VIA FANI /ANSALA SERA TROVAI LA CASA SOTTOSOPRA MA NON ERA SPARITO NULLA (ANSA) – ROMA, 1 MAR – «Arrivai che i cadaveri non erano ancora stati ricoperti dai teli bianchi. C’era poca gente. Sono stato il primo fotografo in via Fani. Era passato poco più di un quarto d’ora dal rapimento del presidente della Dc». Antonio Ianni, oggi in pensione, fotografo dell’Ansa, ho raccontato tempo fa come ha vissuto quel 16 marzo e i dettagli e l’emozione di quel «primo servizio importante». Una delle sue prime foto, scattate quel giorno, fu quella di una borse di pelle nera, ad una decina di metri dalle auto, accanto al marciapiede e che «sembrava smarrita da qualcuno». Le foto successive furono scattate all’interno delle auto. C’era una pistola di un agente di scorta ancora posata sul cruscotto. «Ricordo di avere visto sui sedili posteriori un grosso pacco di giornali e forse qualche cartellina. Alzai gli occhi perchè sentii un elicottero che fece un paio di giri sulle nostre teste e poi scomparve. Non mi sembrava avesse segni distintivi evidenti della polizia o dei carabinieri. Ebbi solo il tempo di fare quelle foto mentre arrivavano i fotografi delle altre grandi agenzie straniere poi fummo allontanati tutti dal servizio d’ordine e continuammo a scattare foto da un terrazzo lì vicino». «Poco dopo – ricorda Ianni – andai a Pratica di Mare per cercare di fare delle riprese dall’alto. Mi informai e mi dissero che in quell’ora nessun elicottero si era alzato in volo a Roma. Mi ricordai di quell’elicottero che avevo visto senza alcuna insegna: era un elicottero civile. Notai, riflettendo, che in fondo a via Fani, a sinistra c’è un boschetto. Quell’elicottero non sapevo spiegarmelo». «Tornato a casa la sera la trovai tutta sottosopra. Letteralmente sottosopra. La mia pistola sul letto, l’oro, l’orologio e tutti i beni, tutto sul letto. Nessuno aveva toccato nulla ma la casa era sottosopra».(ANSA).
MORO/30: 25 ANNI MORTE MARKEVITCH, ERA GRANDE VECCHIO?/ ANSAANCORA APERTI DUBBI SU UN EVENTUALE RUOLO DEL MUSICISTA UCRAINO (ANSA) – ROMA, 6 MAR – (di Stefano Fratini)Il 7 marzo 1983 (25 anni fa) l’ANSA dava questa breve notizia:«Igor Markevitch, compositore e direttore d’orchestra, è morto oggi a Antibes all’età di 71 anni in seguito a un attacco cardiaco. Markevitch, che ha composto numerose cantate tra cui »Lorenzo il magnifico« e musica per balletto (Rebus, Icaro ecc.) era rientrato affaticato la settimana scorsa da una tourne in Giappone, Urss e Spagna. Di origine russa, Markevitch aveva composto la sua prima opera nel 1929 per Diaghilev, ‘Un concerto per piano» che aveva suonato al Covent Garden di Londra. Da allora si era dedicato interamente alla musica, sia come compositore che come direttore d’orchestra, lavorando molto anche in Italia (al Maggio fiorentino del 1944 al 1946 e all’Accademia Santa Cecilia a Roma dal 1973). Sposato in prime nozze con Kira Nijinski, figlia del grande ballerino russo, Markevitch si era risposato nel 1964 con l’ italiana Topazia Caetani«. A queste poche righe si può aggiungere che Markevitch era stato, durante la guerra, in contatto con la Resistenza, che aveva contribuito alla trattativa con i tedeschi per salvare Firenze dalla distruzione e che era cognato dell’inglese Hubert Howard (che aveva sposato una cugina di Topazia). Howard era l’ufficiale dell’intelligence inglese che per primo entr a Firenze liberata dall’occupazione nazista e che affid a Markevitch l’incarico di occuparsi dei programmi musicali della radio Firenze libera. Nessuno per, allora, avrebbe potuto collegare questa notizia al ‘caso Morò, avvenuto cinque anni prima. Dovranno passare ancora 16 anni prima che, il 29 maggio 1999, l’ANSA dia un’altra notizia:»Igor Markevitch, pianista di fama internazionale, sposato con Topazia Caetani, potrebbe essere l«anfitrionè delle Br, cioè l’uomo che ospitò a Firenze nei 55 giorni del rapimento Moro il Comitato esecutivo dei terroristi. Su questa ipotesi è aperta un’inchiesta da parte della procura di Brescia e condotta dal reparto eversione Ros. L’ipotesi è stata indirettamente confermata dal presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle Stragi Giovanni Pellegrino». E nelle carte di Brescia compare anche un certo Jordan Vesselinov, un bulgaro che potrebbe aver avuto un ruolo centrale nel finanziamento dei gruppi estremisti di destra, massone coperto, e consuocero di Igor Markevitch. Colpo di scena! Da tempo si parlava di un cosiddetto «anfitrionè che avrebbe ospitato a Firenze le riunioni della direzione Br. Vi aveva accennato Valerio Morucci (giugno 1997) in un’audizione in Commissione stragi. Il giudice Priore aveva definito »conte rosso« questo personaggio. Il presidente della commissione stragi, Giovanni Pellegrino, commenta che »Se la moglie di Markevitch, Topazia Caetani, è una duchessa, il falso comunicato n.7 delle Br diventa un messaggio di cui si comincia a decrittare il codice«. Per Oleg Caetani, anche lui musicista e figlio di Markevitch e di Topazia Caetani, morta nel 1991, è »un’altra di quelle raffinate bufale di qualche brigatista rosso«. Anche se c’ lo strano particolare che Markevitch era sposato con una Caetani, una famiglia che possiede palazzi nella via omonima, proprio nella quale fu lasciato il cadavere di Moro, le reazioni sono di incredulità. Cossiga e Andreotti, per una volta d’accordo, dicono di non aver mai sentito quel nome. Tra i Br, l’unico a parlare è Lauro Azzolini:»Sono illazioni di anziani che devono giustificare il loro ruolo e lo stipendio«. L’avv. Pino De Gori, legale della Dc nei vari processi Moro, commenta che l’ ipotetico »conte rosso« di cui gli avrebbe parlato Edoardo Di Giovanni, legale storico delle Br, non sarebbe Markevitch. Si scoprir per che il nome del musicista era già entrato nell’inchiesta sul rapimento e l’ uccisione di Aldo Moro. In un rapporto del 1980, che è agli atti della commissione Moro, il Sismi scriveva:»Il 14 ottobre 1978 fonte del servizio segnalava che un certo Igor, della famiglia dei duchi Caetani, avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell’ organizzazione delle Br, che, in particolare, avrebbe condotto tutti gli interrogatori di Moro, della cui esecuzione sarebbero stati autori materiali certi ‘Annà e ‘Francò«. La persona veniva identificata proprio come Igor Markevitch. Il Sismi annotava però che »da accertamenti svolti, anche con l’ intervento dei servizi collegati, non emergevano, peraltro, elementi di conferma della notizia«. Nel libro »Segreto di Stato«, Pellegrino scrive che Markevitch »un personaggio interessantissimo, intrinsecamente doppio. Un uomo con cui i servizi degli opposti schieramenti avrebbero potuto benissimo entrare in contatto per utilizzarne il passato resistenziale come bigliettino da visita da mostrare nelle Br. E d’ altra parte, è un intellettuale raffinatissimo e abbastanza snob da apparire ‘misteriosò ai brigatisti«. Il musicista ucraino (e non russo, nato infatti a Kiev nel 1912) diventa anche il protagonista di un libro di Giovanni Fasanella, »Il misterioso intermediario«, titolo che cita una frase usata dalle stesse Brigate rosse, che durante il rapimento, nel comunicato numero 4, denunciano »i tentativi del regime di far credere nostro ci che invece cerca di imporre: trattative segrete, misteriosi intermediari«. Recentemente, lo storico russo Ilia Levin ha ironicamente definito ‘esoticà l’ipotesi di Markevitch ‘Grande Vecchiò. Ma, in un’intervista del novembre 2007, l’ex presidente Cossiga ha detto:»Igor Markevitch, il musicista, ospit probabilmente nella sua casa di Firenze la riunione in cui fu decisa la morte di Moro. La casa di sua moglie in via Caetani rappresent per i brigatisti solo un punto di riferimento, un luogo conosciuto dove lasciare la Renault rossa, tra Botteghe Oscure e piazza del Gesù«.
MORO/30: STORICO USA, TEORIE COSPIRAZIONE NON REGGONO /ANSADRAKE,NIENTE CIA. ‘PEGGIO DI JFK, IN ITALIA TROPPI OLIVER STONÈ (di Marco Bardazzi) (ANSA) – WASHINGTON, 9 MAR – Dalla Cia a Henry Kissinger, passando per la P2: quali che siano i protagonisti delle teorie della cospirazione sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro emerse nel corso di 30 anni, «non ce n’è alcuna che possa reggere a un serio vaglio storico». Parola di Richard Drake, uno storico americano che al terrorismo italiano e al caso Moro in particolare ha dedicato gran parte della propria carriera. Tre decenni dopo la tragedia, dice Drake all’Ansa, è l’ora che l’Italia «accetti la verità dei processi e della storia», che indica nelle sole Br i responsabili del delitto. Per Drake – preside del Dipartimento di Storia all’Università del Montana e autore tra l’altro di ‘Il Caso Aldo Morò (Marco Tropea, 1996) – gli storici oggi non possono che trarre una conclusione: «Le Brigate Rosse, ispirate fanaticamente dalla loro ideologia marxista-leninista, hanno ucciso Moro interamente da sole, nella speranza di innescare una rivoluzione in Italia». Il fatto che dopo 30 anni si fatichi ad accettarlo, a detta di Drake, è dovuto anche agli scritti di autori che lo storico critica severamente, in particolare Leonardo Sciascia e Sergio Flamigni. «Se guardiamo solo ai fatti e alle prove, come deve fare uno storico, è improbabile concludere che una sola delle teorie alternative sia valida», afferma Drake, che per i propri studi si è basato anche su ampi scambi di informazioni con il giudice Severino Santiapichi, che guidò la Corte d’Assise nelle ricostruzioni del sequestro. «La mia conclusione negli anni ’90 sulla responsabilità delle sole Br – dice Drake – ha retto dopo un decennio ed è oggi rafforzata in Italia dai lavori di storici seri come Vladimiro Satta e Agostino Giovagnoli». «Agli italiani – afferma lo storico del Montana – vorrei chiedere di essere sospettosi sulle teorie cospirative almeno quanto lo sono stati sulle ricostruzioni ufficiali. È questo il modo corretto di agire. L’approccio storico è il più valido e l’Italia, fin dai tempi di Francesco Guicciardini, ha una grande tradizione in questo senso». Drake ha studiato all’Università di Padova ai tempi di Toni Negri e vinse nel 1972 una borsa di studio ‘Aldo Morò insieme alla Fulbright. «Da allora – racconta – ho seguito da lontano questa tragica figura di politico italiano, restando inorridito nel 1978 per quello che gli accadde: per questo ho dedicato la carriera ad approfondire il terrorismo in Italia». Secondo lo storico americano, «il caso Moro è per l’Italia ciò che per noi è il caso Jfk, sul quale fioriscono altrettante teorie cospirative. Ma neppure sulla vicenda di Kennedy si è raggiunto i livelli di ciò che è stato detto in questi 30 anni su Moro: Oliver Stone ha un gran numero di imitatori in Italia…». La responsabilità, per lo studioso, «è anche della scarsa fede che l’Italia ha nel proprio sistema giudiziario: Sergio Zavoli negli anni scorsi ha dimostrato quale sia la dinamica dei ‘misterì in Italia». Drake sostiene di aver approfondito ogni pista alternativa emersa negli anni, comprese quelle che puntavano a Washington, a un coinvolgimento della Cia o a un qualche ruolo dell’ex segretario di Stato Kissinger, di cui era nota l’opposizione al progetto di compromesso storico di Moro. «Sono certo che il governo americano era assai scontento con Moro – afferma lo storico -, c’era un’enorme risentimento e molto sospetto per le sue posizioni. Sono anche sicuro che ci siano stati elementi dell’ala più conservatrice qui negli Usa che possono aver brindato per la sua eliminazione. Detto questo, non c’è uno straccio di prova che un singolo americano abbia participato alla vicenda o sia stato in contatto con le Br». Al contrario, secondo Drake, «la commissione Mitrokhin ha evidenziato come possa esserci stato, semmai, un coinvolgimento del Kgb, visto che era specializzato nel falsificare documenti per far pensare a ruoli della Cia». «Non c’è un solo frammento di documentazione storica attendibile – insiste il professore americano – che leghi la Cia al caso Moro». «Questo anniversario – conclude – offre all’Italia una opportunità. Se si mettono insieme le conclusioni dei processi e quelle della commissione Moro e della commissione stragi, emerge la verità che ancora incontra resistenze in parti della sinistra, perchè in quest’area politica, fino a quando le Br non cominciarono ad uccidere nel 1974, c’era simpatia per loro. È molto più comodo tirare in ballo la Cia che non interrogarsi su quali basi ideologiche e culturali abbiano spinto Curcio, Peci o Franceschini a diventare quello che diventarono». (marco.bardazzi ansa.it)
MORO/30: GLOSSARIO PER ORIENTARSI NEI MISTERI DEL CASO/ ANSA
(di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR Breve glossario per il caso Moro: – ALDO MORO – Presidente della Dc, 61 anni, viene rapito il 16 marzo 1978. Era stato il tessitore della lunga marcia di avvicinamento del Pci all’area della maggioranza di governo. Sarà ucciso il 9 maggio, dopo 55 giorni di prigionia. – LA SCORTA – Cinque uomini, tutti uccisi in via Fani: Oreste Leonardi, il capo, sottufficiale dei carabinieri, ex istruttore della Scuola sabotatori paracadutisti di Viterbo (non uno sprovveduto), Domenico Ricci, appuntato dei carabinieri, Raffaele Jozzino e Giulio Rivera, poliziotti e Francesco Zizzi, vice brigadiere di polizia, che muore in ospedale poco dopo. – IL COMMANDO – Il commando di via Fani sarebbe stato composto da 9 persone: Mario Moretti, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Raffaele Fiore, Alessio Casimirri e Alvaro Loiacono, più Rita Algranati come vedetta. Bloccata l’auto di Moro con un tamponamento, i br uccidono la scorta e portano via Moro. In tutto sono sparati 91 colpi, 49 dei quali da una sola persona. Sono tutti liberi (in semilibertà, al lavoro esterno, latitanti), tranne Algranati. – VIA FANI – La strada, nel quartiere Monte Mario, dove il 16 aprile 1978 avvenne il tragico agguato. – VIA GRADOLI – Stradina sulla via Cassia dove il 18 aprile fu scoperto, in modo che lascia ancora dubbi, il covo dove vivevano Moretti (il capo delle Br) e la Balzerani. Perquisita (ma non il covo) pochi giorni dopo il rapimento. Il nome Gradoli era uscito in una ‘seduta spiriticà, presente anche Romano Prodi. – VIA MONTALCINI – Via del Portuense dove, in un appartamento comprato da Anna Laura Braghetti, Moro sarebbe stato tenuto prigioniero per tutti i 55 giorni. Oltre alla Braghetti, i carcerieri erano Germano Maccari, che risultava convivente della Braghetti, Gallinari e il ricercatissimo Mario Moretti, che andava e veniva per interrogare Moro. Nel garage, Moro sarebbe stato ucciso da Moretti, ma Pace aveva parlato di Maccari e per molto si era detto Gallinari) nel bagagliaio della R4 rossa. – VIA CAETANI – Via al centro di Roma, vicina alle ex sedi diPci e Dc e al ghetto ebraico, dove fu lasciato il corpo di Moro. – VIA MONTE NEVOSO – Strada milanese dove l’1 ottobre 1978 icarabinieri di Dalla Chiesa scoprono un covo che contiene moltomateriale, tra cui una versione del ‘Memorialè e lettere ancoranon note. Il 9 ottobre 1990, dietro un pannello, sono trovatiuna versione più ampia del Memoriale, i testamenti di Moro,altre lettere. Al covo, dove sono arrestati Bonisoli, Azzolini eNadia Mantovani, si sarebbe arrivati grazie a un borsello persoda Azzolini a Firenze. Nella stessa strada abitava Fausto Tinelli, ucciso con Lorenzo Iannucci (noti come ‘Fausto e Iaiò) il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento Moro. – I COMUNICATI – I comunicati, scritti tutti con la stessa macchina a testina Ibm, sono 9 (il primo il 18 marzo, l’ultimo il 5 maggio). C’è poi il falso comunicato numero 7, trovato il 18 aprile (contemporaneamente alla scoperta di via Gradoli). Annunciava il corpo di Moro nel lago della Duchessa ed era palesemente falso, ma fu accreditato come vero. Sembra scritto da Toni Chichiarelli, falsario in contatto con la banda della Magliana, che sarebbe l’autore anche di un ulteriore falso comunicato in codice cifrato, firmato cellula Roma sud. – LE LETTERE – Nei 55 giorni, Moro scrisse moltissime lettere, sicuramente più di 80, e diverse versioni del testamento. Solo 28 lettere furono recapitate dai ‘postinì delle Br (ruolo di solito attribuito a Morucci e Adriana Faranda). Le altre furono trovate a via Monte Nevoso nel ’78 e nel ’90. Le più importanti sono quelle a Cossiga, a Taviani, a Zaccagnini e al Papa. – IL MEMORIALE – Trovato in via Monte Nevoso in due tempi (nel 1978 e nel 1990), è il testo scritto da Moro per rispondere all’ interrogatorio delle Br. Nessuna delle due versioni sembra contenere rivelazioni particolarmente imbarazzanti. – LE TELEFONATE – La telefonate più importanti sono quella di Moretti il 30 aprile a casa Moro, per chiedere un intervento immediato di Zaccagnini, e quella di Morucci, il 9 maggio, per segnalare che il cadavere di Moro era in via Caetani. – IL GRANDE VECCHIO – Definizione data all’ipotesi che il terrorismo fosse diretto da una ‘mentè esterna. Ne parlò anche il segretario del Psi Bettino Craxi. Recentemente c’è stato un tentativo di collegarla al musicista ucraino Igor Markevich. – P2 – Ai vertici dei servizi erano uomini della P2, tranne Napoletano, segretario del Cesis, che fu spinto alle dimissioni a sequestro in corso e sostituito da un altro uomo della P2. – FERMEZZA E TRATTATIVA – ‘Partito della fermezzà e ‘Partito della trattativà definiscono gli atteggiamenti politici durante il rapimento. Per la ‘fermezzà furono quasi tutti i partiti (soprattutto il Pci), per la ‘trattativà i socialisti, i radicali e singoli esponenti di altri partiti. – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI – Sul caso Moro ha lavorato una apposita commissione (1979-1983), ma se ne sono occupate anche la commissione P2 e le varie commissioni stragi. – I PROCESSI – Sono 4 i processi principali del caso Moro. Il primo, che unificava i Moro-uno e Moro-bis, si è concluso in Cassazione (22 ergastoli) nel novembre 1985, il Moro-ter si è concluso nel maggio 1993 (20 ergastoli), il Moro-quater a maggio 1997 con la condanna definitiva all’ ergastolo per Lojacono, il Moro-quinquies si è concluso in due tempi (nel 1999 e nel 2000) con le condanne di Raimondo Etro e Germano Maccari. – COMPROMESSO STORICO – Nel ’73 il segretario Pci Berlinguer, riflettendo sul colpo di stato in Cile, proponeva un’alleanza temporanea tra i partiti popolari per arrivare ad una democrazia compiuta in cui tutti fossero legittimati a governare. Dopo un ‘governo della non sfiducià ebbe una misera attuazione nel governo Andreotti (monocolore Dc votato da quasi tutti i partiti che ottenne la fiducia proprio il giorno del rapimento). (ANSA)
MORO/30: CARTE, NOMI E FOTO CHE APPAIONO E SCOMPAIONO /ANSAGLI STRANI ELENCHI A CUI SI ACCENNA MA POI NON SE NE PARLA PIÙ (di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR – In una vicenda che ha visto veggenti, «grandi vecchi» e sedute spiritiche, non pu mancare, tra l’enorme mole di sospetti e ipotesi più o meno dietrologiche, la comparsa e scomparsa di accenni a liste che sembrano rinviare a quello che alcuni hanno chiamato lo «Stato parallelo». – CARTE CHE APPAIONO E SCOMPAIONO: l’ 8 maggio 1978 (il giorno prima dell’ uccisione di Moro) un quotidiano parla, in prima pagina, di elenchi trovati nel covo di via Gradoli. Gli elenchi sarebbero due: uno con nomi di politici, militari, industriali e funzionari di enti pubblici, l’ altro di esponenti locali Dc, a livello regionale, provinciale e comunale. Ci sono anche alcuni nomi del primo elenco: Loris Corbi, Beniamino Finocchiaro, Michele Principe, Publio Fiori. Del secondo elenco è citato solo Gerolamo Mechelli, la cui presenza viene però smentita dalla Digos, che così conferma implicitamente l’ esistenza degli elenchi. Il giorno dopo, mentre tutti i giornali si occupano della vicenda, vengono fatti i nomi anche di Gustavo Selva e dell’ on. Giacomo Sedati (Dc). Naturalmente si pensa ad una schedatura di potenziali vittime di attentati, ipotesi rafforzata dal fatto che Mechelli e Fiori erano stati già feriti dalle Br. Nel 1978 erano sconosciuti gli elenchi della P2 (trovati nel 1981), ma ora si può notare che, a parte Sedati, i nomi di altre cinque persone erano (a torto o a ragione) nelle liste della P2. Di questi elenchi non si è più parlato. Un altro appunto spunta ad ottobre 1993. Ancora il Corriere della sera scrive che il gen. Francesco Delfino venne inviato nel 1978 ad Ankara come capo settore del Sismi, per allontanarlo dall’Italia, dove era in pericolo. Nel covo delle Brigate rosse di via Monte Nevoso sarebbe stato infatti trovato un documento con i nomi di Delfino, del colonnello Antonio Varisco (che fu poi ucciso dalle Br) e del capitano Antonio Cornacchia (anche il suo nome era negli elenchi di Gelli). Agli atti però questo appunto non risulta. Un informazione errata del giornalista ? Di nuovo, nel febbraio 2001, due consulenti della Commissione stragi acquisiscono dalla Digos di Roma due faldoni che sembrano legare un nuovo elenco di Gladio alla vicenda del ritrovamento delle carte di Aldo Moro in via Monte Nevoso. I due faldoni della Digos, classificati in passato con ‘segretissimò recano le intestazioni: ‘A-4. Sequestro Moro – Covo di via Monte Nevoso – Rinvenimento del 9 ottobre 1990 – Carteggiò e ‘Sequestro Moro – Elenchi appartenenti Organizzazione Gladio«. Il secondo faldone contiene documentazione scambiata tra uffici diversi del Viminale per verificare informazioni sugli aderenti a Gladio i cui nomi, in ordine alfabetico, vengono riportati su fogli che recano l’intestazione »MOROELENCO«. Anche il primo faldone contiene un elenco intestato però ‘MORONOMÌ e riguardante persone che per logiche e incombenze diverse si erano occupate del sequestro Moro e delle carte di via Monte Nevoso. Da un primo esame, segnalano i due consulenti, ‘sembra che diversi nominativi oggetto di identificazione e notizie da parte della questura non figurino nel noto elenco dei 622’. Anche di questo non si è più parlato. TEX WILLER, MAFIOSI E LEGIONARI – Secondo le ricostruzioni, la quasi totalità dei colpi letali sparati in via Fani fu opera di un unico membro del commando, che sparò ben 49 dei 91 colpi totali, uccidendo tutti i membri della scorta (e almeno il maresciallo Leonardi era tutt’altro che uno sprovveduto, tiratore scelto e apprezzato addestratore dei paracadutisti incursori) senza neanche ferire Moro. Forse era lo stesso uomo di cui alcuni testimoni dicono di aver sentito urlare frasi non in italiano. Sembra che nessun brigatista del commando, neanche Morucci e Casimirri (i pi addestrati da questo punto di vista), avesse una tale ‘professionalit ’. Uno dei testimoni, esperto di armi, disse che »era senza dubbio un uomo particolarmente addestrato«. E nel suo romanzo-inchiesta »La borsa del presidente«, Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, fa dire al suo protagonista:»Tex Willer non era uno dei nostri. Tex Willer era un esperto, un professionista,di quelli che in Italia li conti sulle dita di una mano. Uno così, non ce lo saremmo mai potuti permettere«. Sulla sua identità si sono fatte diverse ipotesi. Nel cosiddetto ‘volantonè diffuso dal ministero dell’ Interno subito dopo la strage di via Fani con le foto di 20 sospetti di partecipazione all’ azione terrorista, c’ è anche Giustino De Vuono, calabrese, rapinatore ed ex volontario della Legione straniera, politicizzato in carcere. Anche Pecorelli, in una delle sue sibilline note, scrive:»Non diremo che il legionario si chiamava ‘Dè e il macellaio Maurizio«. Poi il Sismi affermava che De Vuono certamente non era in Italia nel periodo della strage (in commissione stragi, il col. Bonaventura ha sostenuto invece che era in carcere a Sciacca) e l’ ex legionario viene prosciolto in istruttoria. Ad ottobre 1993 invece, lo stesso giorno dell’ arresto di Germano Maccari (il ‘quarto uomò di via Montalcini), esce la notizia che Saverio Morabito, un collaboratore di giustizia calabrese, ha raccontato ai giudici che tra i brigatisti in azione in via Fani ci sarebbe stato un boss della ‘ndrangheta, Antonio Nirta, detto »due nasi« (dalle due canne della doppietta). Nirta, attraverso i suoi contatti con il gen. Delfino e i servizi segreti, sarebbe stato infiltrato nelle Brigate Rosse e sarebbe stato presente al sequestro dell’ on. Moro. Della presenza di un calabrese in via Fani si era parlato già in una telefonata tra l’ on. Cazora e Sereno Freato, collaboratore di Moro. Nella telefonata, Cazora dice che esponenti della ‘ndrangheta gli avevano chiesto di recuperare fotografie scattate in via Fani, in cui comparirebbe un personaggio a loro noto. Alcune foto erano state scattate in effetti in via Fani, subito dopo la strage, da un testimone che le aveva consegnate al giudice Infelisi. Quelle foto però finirono stranamente smarritè. (ANSA).
MORO/30: SONO SOLO DUE I LATITANTI UFFICIALI/ ANSACASIMIRRI IN NICARAGUA, LOIACONO IN SVIZZERA, MA MANCA QUALCUNO? (ANSA) – ROMA, 14 MAR – Dopo l’arresto di Rita Algranati, avvenuto nel 2004 in Egitto, restano ancora latitanti due dei brigatisti condannati per il caso Moro: Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono. Questo almeno secondo la ricostruzione ‘ufficialè, perch secondo altre ci sono altri protagonisti della vicenda che ancora non sono usciti allo scoperto. CASIMIRRI – Il ‘nicaraguensè Alessio Casimirri è l’unico componente del commando Br che rapì Moro in via Fani che non è mai stato arrestato ed è sempre rimasto latitante. La sua ex moglie, Rita Algranati, che viveva in Algeria, stata invece arrestata in Egitto nel gennaio 2004 ed estradata in Italia, dopo oltre 25 anni di latitanza. Per la partecipazione al rapimento Moro e ad altre azioni terroristiche, Casimirri è stato condannato a sei ergastoli nel processo Moro-ter. Nato nel 1951, figlio di un ex direttore della sala stampa vaticana, Casimirri entrato nelle Br (con il nome di battaglia di «Camillo») dopo una militanza in Potere Operaio e nel servizio d’ordine dell’Autonomia operaia di via dei Volsci. Con la Algranati gestiva un’ armeria vicino piazza San Giovanni di Dio. Casimirri si rifugia in Nicaragua negli anni Ottanta. Diplomato Isef ed esperto sommozzatore, si è dedicato per anni alla pesca e alle ricerche subacquee e ha poi aperto, con Manlio Grillo (uno dei responsabili del «rogo di Primavalle»), il ristorante italiano «Magica Roma» nel centro di Managua. Nel 1988 ha ottenuto la cittadinanza del Nicaragua grazie al matrimonio con Raquel Garcia Jarquin, dalla quale ha due figli. Nel 1998, combinando l’attivit di sub e quella di ristoratore, ‘Camillò apre un altro ristorante, la ‘Cueva del Buzò (La tana del sub), sulla costa, non lontano da Managua, in cui serve il pesce che cattura nelle acque del Pacifico e che, pare, cucini benissimo. L’Italia ha pi volte chiesto la consegna di Casimirri, ma tra Italia e Nicaragua non c’ un trattato per le estradizioni e la Costituzione nicaraguense vieta di consegnare un cittadino ad un altro paese, soprattutto se le sentenza ha implicazioni politiche. Nel 2004, in un’intervista al ‘Nuevo Diariò, Casimirri ha negato di aver partecipato all’agguato di via Fani, dicendo che il giorno del sequestro stava «dando lezioni di educazione fisica in una scuola». LOJACONO – Lo «svizzero» Alvaro Lojacono, 54 anni, ha una condanna all’ergastolo nel processo Moro-quater per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Lojacono era entrato nella colonna romana delle Br dopo una militanza nei gruppi dell’estrema sinistra romana. Nel 1975 era stato coinvolto nell’uccisione, a Roma, dello studente greco di destra Mikis Mantakas e per questo episodio è stato condannato a 16 anni. Secondo la ricostruzione giudiziaria, Lojacono faceva parte del commando delle Br che agì in via Fani. Dei membri di quel commando, Lojacono, con Casimirri e la Algranati, è stato coinvolto nelle vicende giudiziarie del caso Moro solo in un secondo tempo. Dopo un periodo in Algeria e, forse, in Brasile, Lojacono si rifugia nel Canton Ticino, dove viveva la madre, Ornella Baragiola, cittadina svizzera, e dove ottiene la cittadinanza svizzera, prendendo il cognome della madre. La Svizzera non ha mai concesso l’ estradizione, ma lo ha arrestato nel 1988 per una condanna a 17 anni per l’uccisione del giudice Tartaglione. Dopo nove anni di detenzione, Loiacono ha ottenuto la semilibertà per seguire corsi di giornalismo e nell’ottobre 1999 è tornato in libertà. Lojacono arrestato di nuovo il 2 giugno 2000 dalla polizia francese su richiesta italiana, sulla spiaggia dell’Ile Rousse, in Corsica. La Francia per non concede l’estradizione e l’ex terrorista torna libero e in Svizzera. E I DUE SULLA MOTO ? – Secondo diversi testimoni, in via Fani erano presenti anche due persone a bordo di una moto Honda di grossa cilindrata, piazzata a controllare l’ incrocio tra via Fani e via Stresa. La presenza di questa moto è stata sempre esclusa da tutti i brigatisti, ma Etro ha detto che Casimirri gli avrebbe parlato dei «due cretini» della moto, mentre Adriana Faranda ha parlato della possibilità che militanti non regolari, saputo dell’azione, abbiano voluto essere presenti. La presenza della Honda in via Fani è stata sostenuta soprattutto dal testimone Alessandro Marini che ha detto che uno dei due a bordo sparò con un piccolo mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del suo ciclomotore. Subito dopo l’arma si inceppò e cadde il caricatore. Il testimone riferisce anche che uno dei due somigliava moltissimo all’attore Eduardo De Filippo. Una ricostruzione sostiene che i due fossero «Peppe» e «Peppa», nomi di battaglia usati negli anni settanta da due militanti del Comitato proletario zona nord. Pino De Gori, avvocato della Dc in tutti i processi del caso Moro, dichiar che i due sulla moto erano del Mossad, venuti ad ‘assisterè al rapimento su una moto che si piazzò alle spalle della Fiat 130 del Presidente Dc. (ANSA).
MORO/30: INFILTRATI SÌ, INFILTRATI NO /ANSA
(di Stefano Fratini) (ANSA) – ROMA, 14 MAR – Si è parlato spesso di infiltrati delle forze dell’ordine tra i terroristi, all’epoca del caso Moro, ma non si è riusciti a chiarire i dubbi. È certo che, se c’erano, non hanno avuto successo. A meno di riprendere una tesi dell’ex presidente della commissione Stragi Pellegrino, quella del ‘doppio ostaggiò (Moro e le carte) e di ammettere che il problema pi urgente non fosse quello di salvare Moro, ma di recuperare carte pericolose. Agli atti delle commissioni Moro e P2 c’è un appunto di Marcello Coppetti, ex giornalista dell’ Ansa morto pochi anni fa. Coppetti, esperto di servizi segreti, aveva scritto che, durante un incontro a villa Wanda, Licio Gelli disse a lui e a Umberto Nobili, ufficiale del Sios aeronautica, che «il caso Moro non è finito: Dalla Chiesa aveva un infiltrato, un carabiniere giovanissimo, nelle Brigate rosse. Così sapeva che le Br che avevano sequestrato Moro avevano anche materiale compromettente di Moro… Dalla Chiesa andò da Andreotti e gli disse che il materiale poteva essere recuperato se gli dava carta bianca. Siccome Andreotti temeva le carte di Moro (le valige scomparse ?) nominò Dalla Chiesa. Costui recuperò ciò che doveva. Così il memoriale Moro è incompleto. Anche quello in mano alla magistratura perchè è segreto di Stato». Di Patrizio Peci, il primo importante terrorista pentito, si è spesso avanzato il sospetto che fosse un infiltrato fin dall’ inizio della sua militanza, facendo leva sul fatto che Peci era stato in passato un sottufficiale dell’ Arma dei carabinieri. L’ ex questore Arrigo Molinari (ucciso nel 2005 e che era nelle liste P2) ha detto in commissione stragi che a settembre 1978 la questura di Genova aveva inviato al ministro dell’ Interno Rognoni un rapporto per segnalare elementi e riscontri che facevano ritenere Giovanni Senzani un infiltrato all’ interno delle Br. Anche di uno degli uomini del commando di via Fani, Alessio Casimirri, l’ unico mai catturato che ora gestisce un ristorante in Nicaragua, si è parlato come di un infiltrato. Nell’ aprile 1998 un quotidiano riportò una dichiarazione attribuita al pm Antonio Marini, secondo cui, dopo un fermo casuale di Casimirri, il gen. Delfino si sarebbe reso conto che si trattava di un brigatista e «riuscì a sapere che stava organizzando non un comune sequestro ma il rapimento del presidente della Dc e allora lo passò al Sismi. Il Sismi gli avrebbe fatto fare l’operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all’estero». Nel 1979 Paolo Santini, informatore del colonnello dei carabinieri Cornacchia (anche Cornacchia era nelle liste di Gelli), infiltrato in uno dei gruppi minori con diretti contatti con le Br, operativo al tempo del sequestro Moro, sarebbe stato arrestato perchè denunciato a sua volta da un altro infiltrato che lavorava per la Digos. Ma sospetti ci sono stati addirittura sul capo supremo delle Br del dopo-Curcio, Mario Moretti, che gli altri membri del Comitato esecutivo sottoposero, a sua insaputa, ad un’ inchiesta interna. E lo stesso Moretti fu arrestato, anni dopo, grazie all’ infiltrato Renato Longo. Ernesto Viglione, giornalista che abita in via Fani e che per questa vicenda sarà condannato a 3 anni e 6 mesi in primo grado e poi assolto in appello, dirà di essere entrato in contatto con il terrorista dissidente ‘Francescò, che gli aveva proposto addirittura un’intervista con Moro nel ‘carcere del popolò. Era maggio e Moro fu ucciso prima che Viglione potesse verificare le proposte di ‘Francescò, un uomo dal forte accento lucano o calabrese. Il contatto proseguì. ‘Francescò sosteneva che il rapimento Moro era stato organizzato da un gruppo guidato da alti prelati ed esponenti politici e in via Fani, mascherati da brigatisti, c’erano due sottufficiali e un ufficiale dei carabinieri. Nel vertice delle Br ci sarebbe stato anche un importante magistrato. La strage della scorta era avvenuta perchè i «carabinieri» temevano che Leonardi li riconoscesse. Sempre secondo lui, i brigatisti non avevano intenzione di uccidere Moro, e il presidente della DC era stato vittima di una congiura che si sarebbe servita delle Br come copertura. Viglione informò Cervone, Piccoli e Scalfaro e ne parlo anche con i generali Ferrara e Dalla Chiesa. ‘Francescò promise anche di far catturare il vertice delle Br in una riunione a Salice Terme, ma anche di ciò non si fece nulla. Risultò poi che la fonte era Pasquale Frezza, uno strano personaggio con precedenti penali che riuscì ad ottenere anche una somma di denaro dall’ on. Egidio Carenini (Dc) il cui nome era nelle liste P2. Sembra però che per un certo tempo Viglione abbia pensato che la sua fonte fosse Giustino De Vuono e che Frezza abbia sostenuto poi di aver accettato la parte per coprire l’ identità del vero brigatista. Anche Pecorelli, su OP, scrisse di ‘carabinierì tra virgolette:«Moro, secondo le trattative, doveva uscire vivo dal covo al centro di Roma? Presso un comitato? Presso un santuario? I ‘carabinierì (?) avrebbero dovuto riscontrare che Moro era vivo e lasciarlo andare via con la macchina rossa. Poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, perchè si voleva comunque l’ anticomunista Moro morto e le Br avrebbero ucciso il presidente della Dc in macchina, al centro di Roma, con tutti i rischi che un’operazione del genere comporta». Pecorelli scrisse anche che «I rapitori di Aldo Moro non hanno nulla a che spartire con le Brigate rosse comunemente note. Curcio e compagni non hanno nulla a che fare con il grande fatto politico-tecnicistico del sequestro Moro…..Curcio e Franceschini in questa fase debbono fornire a quelli che ritengono occasionali alleati una credibile copertura agli occhi delle masse italiane. In cambio otterranno trattamenti di favore. Quando la pacificazione nazionale sarà un fatto compiuto e una grande amnistia verrà a tutto lavare e tutto obliare». (ANSA).
MORO/30: QUATTRO PROCESSI PER LA VERITÀ GIUDIZIARIA/ ANSA
(ANSA) – ROMA, 14 MAR – I grandi processi per il caso Moro sono quattro anche se si arrivati al Moro-quinquies. Infatti il primo e il secondo procedimento furono unificati in un unico processo: – MORO UNO E MORO BIS – Il 24 gennaio 1983 i giudici della 1/a Corte d’Assise (presidente Severino Santiapichi) emettono la sentenza del processo per la strage di via Fani e il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Il processo unifica i procedimenti Moro-uno e Moro-bis. La sentenza condanna all’ ergastolo 32 persone: Renato Arreni, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Anna Laura Braghetti, Giulio Cacciotti, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Natalia Ligas, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Rocco Micaletto, Luca Nicolotti, Mara Nanni, Cristoforo Piancone, Alessandro Padula, Remo Pancelli, Francesco Piccioni, Nadia Ponti, Salvatore Ricciardi, Bruno Seghetti, Pietro Vanzi, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 marzo 1985 la Corte d’ Assise d’appello conferma 22 condanne all’ ergastolo. Ridotta la pena per Natalia Ligas, Mara Nanni, Gian Antonio Zanetti, Valerio Morucci, Adriana Faranda, Carla Maria Brioschi, Enzo Bella, Gabriella Mariani, Antonio Marini e Caterina Piunti. Il 14 novembre 1985 la Cassazione conferma quasi intergralmente la sentenza, tranne per le posizioni di 17 imputati minori per i quali si chiede la rideterminazione della pena. – MORO TER – Il 12 ottobre 1988: si conclude con 153 condanne (26 ergastoli e 1.800 anni complessivi di detenzione) e 20 assoluzioni il processo denominato «Moro ter», riguardante le azioni delle Br a Roma tra il 1977 e il 1982. La 2/a Corte d’ Assise (presidente Sergio Sorichilli condanna all’ ergastolo Susanna Berardi, Barbara Balzerani, Vittorio Antonini, Roberta Cappelli, Marcello Capuano, Renato Di Sabbato, Vincenzo Guagliardo, Maurizio Iannelli, Cecilia Massara, Paola Maturi, Franco Messina, Luigi Novelli, Sandra Padula, Remo Pancelli, Stefano Petrella, Nadia Ponti, Giovanni Senzani, Paolo Sivieri, Pietro Vanzi, Enrico Villimburgo, i latitanti Rita Algranati e Alessio Casimirri e gli imputati in libertà per decorrenza dei termini di detenzione Eugenio Pio Ghignoni, Carlo Giommi, Alessandro Pera e Marina Petrella. Il 6 marzo 1992 la terza Corte d’ Assise d’ appello conferma la condanna all’ ergastolo per 20 imputati del processo ‘Moro-ter’ Pena ridotta per Alessandro Pera, Eugenio Ghignoni, Paola Maturi e Franco Messina e ad altri due imputati. Il 10 maggio 1993 una sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Arnaldo Valente) conferma le condanne emesse in appello per gli imputati del Moro-ter. Annullata, con rinvio ad altra sezione penale della corte d’ appello di Roma, solo la sentenza nei riguardi di Eugenio Ghignoni, condannato in appello a 15 anni. – MORO QUATER – L’1 dicembre 1994 il processo «Moro quater», che si occupa di alcuni risvolti del caso non risolti dai processi precedenti e di alcuni episodi stralciati dal Moro-ter, si conclude con una sentenza della prima Corte di Assise (presidente Severino Santiapichi) che condanna all’ ergastolo Alvaro Loiacono, in carcere in Svizzera per altre vicende, riconosciuto colpevole di concorso nel rapimento e nell’ uccisione dell’ ex presidente della Dc Aldo Moro e di altri omicidi. Il 3 giugno 1996 la sentenza confermata dai giudici della Corte di Assise di appello di Roma e, il 14 maggio 1997, dalla Cassazione. – MORO QUINQUIES – Il 16 luglio 1996 i giudici della seconda Corte d’Assise emettono la sentenza del processo Moro-quinquies e condannano all’ ergastolo Germano Maccari per concorso nel sequestro e nell’ omicidio di Aldo Moro e nell’eccidio della scorta e Raimondo Etro a 24 anni e sei mesi. Il 19 giugno 1997, in appello, la pena per Maccari ridotta a 30 anni. La Cassazione disporr un nuovo processo e il 28 ottobre 1998 la nuova sentenza d’appello condanna Maccari a 26 anni ed Etro a 20 anni e 6 mesi. La condanna per Etro diventa definitiva nel 1999, mentre Maccari sar di nuovo processato in appello e la sua pena ridotta a 23 anni.
MORO/30: CRONISTA ANSA, QUELLA MIA GIORNATA PARTICOLARE/ANSA16 MARZO 1978, DOVEVO SCIOPERARE. DAL BARBIERE CORSA IN VIA FANI (di GIANNI MORINI) (ANSA) – ROMA, 15 MAR – Un doppio salto mortale carpiato all’indietro. Un tuffo nel passato di 30 anni ad altissimo coefficiente di difficoltà. Così mi sento, quasi fossi sul trampolino olimpico, nel rievocare oggi e far riemergere ricordi e sensazioni di quell’incredibile giornata di tre decenni fa. Quella mattina ero dal barbiere, proprio così. Mentre all’incrocio tra via Fani e via Stresa deflagrava la «geometrica potenza di fuoco» delle brigate rosse, il cronista che dal almeno un lustro seguiva la sanguinosa scia tracciata dalla follia del partito armato se ne stava tranquillamente sprofondato nella poltrona del suo barbiere di fiducia.Alle 8:30 di un mattino che annunciava primavera, avevo deciso di farmi rasare dal mio amico ‘Totonnò, chiacchierando di calcio. Andavo ripetendomi che, finalmente, nulla mi avrebbe impedito di rilassarmi un pò, magari con quella partita a tennis da tempo rinviata. D’altronde, per un altro singolare incrocio del fato, il 16 maggio avrebbe dovuto essere una giornata di silenzio dell’informazione. C’era lo sciopero indetto per il nuovo rinnovo del contratto nazionale del lavoro, ed anche l’ANSA aveva chiuso i battenti.«Interrompiamo le trasmissioni…». Immediato silenzio nella piccola barberia. Cosa andava blaterando la radiolina? «Agguato e sparatoria…», «Rapito il presidente della Dc, Aldo Moro…»,«Assassinati i cinque agenti della scorta…». Incredulo, scatto dalla poltrona e salto sull’auto mentre, come nei film de ‘Il Padrinò, con un asciugamano mi tolgo la schiuma dal volto. Come qualche centinaio di colleghi, non mi chiedo affatto se le telescriventi abbiano ripreso a battere perchè so già che è così. Penso solo a raggiungere il prima possibile un telefono: il fantastico cellulare dei giorni nostri era allora un oggetto alieno, ben lontano dalla realtà, ed un cronista che si rispettasse doveva sempre avere con sè un’adeguata scorta di gettoni telefonici. Dal contatto con la redazione la conferma: l’ANSA ha ripreso il lavoro e sta trasmettendo a getto continuo.Allora via fino a qual maledetto incrocio, dove quel che vedi ti dice che ora tutto sta cambiando e che il 16 marzo non sarà mai più un giorno come un altro. Ti guardi attorno e capisci che è finito il tempo dei ‘sè e dei ‘mà… Comincia invece quello delle tante domande e delle poche risposte. (ANSA)