ATER, INPDAP E CASE POPOLARI

29/12/2007 di
Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Mario Leone sull’Ater. 

 
"Come si apprende dai quotidiani locali il 20 dicembre scorso l’Ater (azienda
erede dell’Istituto autonomo case popolari) di Latina ha perfezionato l’atto di
compravendita di 28 alloggi dell’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza dei
dipendenti pubblici).
Appartamenti di diversa metratura individuati in zone
di Latina comprese tra viale Nervi, via Paganini, via Terracina, via
Giustiniano, via Don Luigi Sturzo, via Cherubini, via Bruxelles e via
Gaeta.
Si tratta di una prima operazione riguardante appartamenti che saranno
assegnati – da quanto è noto – già a gennaio, sulla base della graduatoria del
bando dell’Ater scaduto il 10 dicembre scorso. I nuovi inquilini appartenenti
"presumibilmente" a categorie disagiate, come è nello spirito dell’iniziativa,
si troveranno a pagare un affitto a canone calmierato.
L’operazione di
acquisto sembra sia costata alle casse dell’Ater 2 milioni e 657 mila euro, alla
quale si andrà ad aggiungere un’altra di 14 appartamenti sempre di proprietà
dell’Inpdap.
Mi sembra opportuno mettere in evidenza alcuni passaggi che
potrebbero essere sfuggiti agli osservatori.
Innanzitutto il comportamento
lassista di un ente pubblico quale è l’Inpdap. Infatti per anni gli appartamenti
di sua proprietà sono stati abbandonati al loro destino sfitti e senza alcuna
cura. Basti pensare – tra l’altro – all’estremo disinteresse dimostrato
dall’amministrazione anche ad intervenire alle assemblee condominiali
regolarmente costituitesi negli anni e alla totale "disattenzione" nel
versamento agli amministratori le somme corrispondenti alle quote condominiali
dovute, e su ciò basti leggere gli atti legali relativi ai numerosi decreti
ingiuntivi che sono stati emanati a carico dell’Inpdap. Ma questo è frutto
probabilmente solo di una logica amministrativa perversa, dove lo Stato ha
preferito non fare cassa con gli affitti possibili anche a soggetti svantaggiati
o con la vendita degli immobili non più strumentali ma che avrebbero fruttato
incassi notevoli in un momento di crescita del mercato immobiliare a Latina.
 
Proprio su questo punto il rammarico è notevole. Come si sa il decreto
legislativo n. 104 del 16 febbraio 1996 e il decreto legge n. 351 del 25
settembre 2001, convertito nella legge n. 410 del 23 novembre 2001, hanno
modificato il destino del patrimonio immobiliare dell’Inpdap, come è avvenuto
per gli altri enti previdenziali. In particolare la legge n. 410 all’art. 3
sulle modalità per la cessione degli immobili specifica, al comma 11, che i beni
immobili degli enti previdenziali pubblici, diversi da quelli di cui al comma 10
– cioè di quelli ricompresi nei programmi straordinari di dismissione di cui
all’articolo 7 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modificazioni –
e che non sono stati venduti alla data del 31 ottobre 2001, sono alienati con le
modalità di cui alla citata legge n. 410.
 
L’Inpdap aveva lo strumento ma ha
preferito non usarlo. Quale? Innanzitutto visto il comportamento tenuto e gli
atti degli ultimi giorni acconsentire a coloro che si sono rivolti privatamente
di poter avere i medesimi diritti di un ente quale Ater, ma a ciò seccamente si
è preferito non addivenire. Ma la risposta più assurda la troviamo al comma 7
dello stesso art. 3 della legge n. 410: le unità immobiliari libere, quelle
occupate ad uso diverso da quello residenziale e quelle ad uso residenziale, per
le quali i conduttori non hanno esercitato il diritto di opzione per l’acquisto,
sono poste in vendita al miglior offerente individuato con procedura
competitiva. Quindi una semplice asta pubblica, dove i singoli appartamenti
negli anni passati avrebbero trovato maggiore profitto dal mercato libero.
Ma
veniamo al punto dolens che riguarda l’edilizia popolare a Latina. La legge 18
aprile 1962, n.167  (pubblicata nella G.U. 30 aprile 1962, n.111), – norma
modificata ed integrata dalle leggi 21 luglio 1965, n. 904 e 22 ottobre 1971, n.
865 – prevede disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per
l’edilizia economica e popolare. 
L’art. 1 comma 1 prevede che i Comuni con
popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di Provincia
sono tenuti a formare un piano delle zone da destinare alla costruzione di
alloggi a carattere economico o popolare, nonché alle opere e servizi
complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico. L’art. 3
comma 2 afferma, inoltre, che le aree da comprendere nei piani sono, di norma,
scelte nelle zone destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori
vigenti, con preferenza in quelle di espansione dell’aggregato urbano.
Bruno
Astorre, Assessore ai Lavori pubblici e Politiche per la casa della Regione
Lazio ha sottolineato già nel settembre scorso le misure adottate dalla Regione
per far fronte all’emergenza casa. Infatti con l’articolo 54 della legge
Finanziaria regionale numero 27 del 28 dicembre 2006, si è stabilito il
finanziamento dell’edilizia sovvenzionata delle Ater, "per completamenti e nuove
costruzioni", con uno stanziamento complessivo di 100 milioni di euro. Cosa
effettivamente andata in porto.
Infatti già in ottobre la Regione Lazio ha
avviato un programma "di completamento e costruzione" di edifici di edilizia
sovvenzionata da parte delle sette Ater del territorio laziale.
In cifre, si
tratta di 1042 nuovi alloggi popolari nel Lazio, di cui: 469 nella capitale; 219
in provincia di Roma; 122 a Latina; 98 a Frosinone; 70 a Viterbo; 52 a Rieti; 13
a Civitavecchia.
Sono questi i contenuti della delibera di riparto approvata
il 5 ottobre dalla Giunta Regionale. Il tutto basandosi – come affermato dallo
stesso Astorre – sulla disposizione del decreto competitività (decreto legge n.
159 del 2007) da parte del Governo italiano che ha messo sul piatto 550mln ? di
finanziamento per l’edilizia popolare.
 
I fondi regionali sono stati così
ripartiti:
· 45.000.000 euro all’Ater di Roma;
· 21.000.000 all’Ater
della Provincia di Roma;
· 11.700.000 all’Ater di Latina;
· 9.400.000 all’Ater di Frosinone;
· 6.700.000 all’Ater di Viterbo
· 5.000.000 all’Ater di Rieti
· 1.200.000 all’Ater di Civitavecchia.
La prima
tipologia di interventi riguarda il completamento di edifici già in corso di
costruzione, finanziati con precedenti deliberazioni, ma mai portati a
compimento per varie ragioni: dai ritardi di assegnazione delle aree a una
diversa assegnazione delle stesse, dal rinvenimento di reperti archeologici
all’inadeguatezza del sito. Alcuni ritardi sono ascrivibili alla necessità di
adeguamento, da parte delle Ater, a sopravvenute normative di vario genere: si
pensi alle diverse zone che sono state classificate come "sismiche" in tempi
recenti, ovvero alla necessità di adeguare le costruzioni alle norme sul
contenimento dei consumi energetici, o alla volontà delle Ater di realizzare
edifici secondo protocolli che applicano sistemi di bioedilizia.
 
Quindi
stiamo parlando di "cantierabilità", di definizione di strutture già esistenti,
ma non parliamo di acquisto di appartamenti. Sembra alquanto "anomalo"
evidentemente attribuire a tali introiti la destinazione della compravendita.
Ma veniamo ad un fatto ulteriore.
L’Ater ha acquistato immobili civili
che rientrano in complessi residenziali dove gli attuali inquilini hanno
acquistato o dall’Inpdap stesso (pochi fortunati) o da società terze a prezzi di
mercato (salati!).
 
L’Ater si occupa di edilizia economica e popolare. I primi
appartamenti catastalmente individuati – e certificabili inoltre attraverso gli
atti notarili di compravendita – sono classificati, ovviamente, viste le loro
consistenze nella categoria "A2" abitazioni di uso civile. Ricordiamo quale sia
il quadro generale delle categorie per gli immobili a destinazione ordinaria: il
Gruppo A: A/1 – Abitazioni di tipo signorile; A/2 – Abitazioni di tipo civile;
A/3 – Abitazioni di tipo economico; A/4 – Abitazioni di tipo popolare; A/5 –
Abitazioni di tipo ultrapopolare.
Come è noto gli appartamenti oggetto di
compravendita insistono in complessi con appartamenti accatastati in A2.
 
Dovrebbe essere chiaro all’azienda procedente che non potrà – al fine anche
di godere di agevolazioni fiscali successive come per l’ICI – ridimensionare il
valore delle proprietà immobiliare procedendo alla revisione catastale e
proponendo la classificazione nelle più "comode" categorie A3 o A4. E’ risaputo
che non esiste una norma catastale che preveda, per definizione, l’assegnazione
della categoria "A/3 – abitazioni di tipo economico" per esempio alle unità
immobiliari edificate nell’ambito territoriale dei nuclei PEEP (appunto i piani
di edilizia popolare). Pertanto la classificazione di detti immobili avverrà con
le stesse modalità previste per tutti gli altri immobili, prescindendo quindi
dall’indicazione urbanistica di tali nuclei o da altre agevolazioni previste
dalla legislazione vigente in materia. Si ribadisce inoltre che la
classificazione delle unità immobiliari non può dipendere – e non dipende –
dalle caratteristiche soggettive del possessore o dell’affittuario. E su questo
punto è stata chiara la Corte di Cassazione che recentemente con la sentenza n.
21725 dell’11 ottobre 2006, ha stabilito che un contribuente che voglia
impugnare il provvedimento che attribuisce la classe e la categoria ad un’unità
immobiliare, deve fornire prove documentali che dimostrino la diversa
classificazione del bene.
 
La sentenza si riferisce al caso di un contribuente
che ha presentato ricorso contro il Comune che gli aveva liquidato l’ICI in base
ad una categoria catastale calcolata su presunti valori attribuiti dall’Agenzia
del territorio. I giudici hanno sottolineato, tra le altre cose, che i
fabbricati contemplati dalla normativa sull’edilizia economica e popolare sono
quelli costruiti per mettere a disposizione dei cittadini meno abbienti
abitazioni di tipo economico e popolare e, per ciò stesso, non rientranti nella
categoria "A2" propria delle abitazioni di tipo civile, ma necessariamente nella
categoria "A3", abitazioni di tipo economico. Tuttavia il ricorso è stato
respinto: la Corte ha ritenuto la categoria ("A2, classe 2") attribuita
dall’ufficio a seguito del sopralluogo, corrispondente alle caratteristiche
dell’immobile, perché non vi era alcuna prova contraria tale da giustificare un
diverso classamento. In definitiva, i giudici hanno affermato che il solo fatto
che un immobile sia stato realizzato con finanziamenti pubblici per l’edilizia
economica e popolare non determina la relativa collocazione nella categoria
"economica popolare"; le caratteristiche di un immobile a fini catastali
attengono soprattutto a uno stato di fatto, indipendentemente dalle finalità del
finanziamento pubblico. Allo stesso modo, la circostanza che l’immobile sia
stato realizzato da una cooperativa in un’area di edilizia economica e popolare,
non costituisce assolutamente prova che esso possegga le caratteristiche della
categoria "economica popolare".
E’ chiaro che un intendimento del genere da
parte dell’Ater metterebbe in discussione l’intero classamento degli stabili ove
sono siti gli appartamenti di proprietà terze. Infatti una diversa collocazione
catastale lederebbe il valore economico patrimoniale delle proprietà private
attuali, facendo svalutare un patrimonio indipendentemente dalle leggi del
mercato ma con un atto discrezionale pseudo amministrativo senza alcun
fondamento. La diffida ad un’operazione di tale fattura non può che essere
implicita".
 
Mario Leone