Lavoro e criminalità: il discorso del Vescovo ai politici

01/01/2011 di
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Pubblichiamo il discorso integrale pronunciato dal Vescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi, ai Politici, agli Amministratori Pubblici e ai Rappresentanti delle Parti Sociali in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Latina, Cattedrale S. Marco, 1° gennaio 2011.

Carissimi Amici, impegnati, a vario titolo, nel servizio alla Comunità civile: a tutti e a ciascuno auguro un anno benedetto dalla luce e dalla grazia del Signore!

Se si dovesse applicare il linguaggio della metereologia alla situazione politica del nostro territorio, si potrebbe parlare di area instabile interessata da intensi problemi cumuliformi, seguiti da forti precipitazioni a carattere temporalesco-conflittivo. Sul piano dei rapporti tra forze partitiche non sarebbe improprio citare fenomeni di “bassa pressione”, accompagnata da raffiche impetuose di venti polemici e da forti scarti termico-relazionali (cioè, interazioni che vanno da temperature incandescenti fino ad una indifferenza glaciale). Il mare della incomprensione reciproca è a forza-nove.

La Chiesa Pontina segue con attenzione – e spesso con sofferta apprensione – gli eventi che cadenzano la vita pubblica e sociale: infatti, pur non essendo legata ad alcun sistema politico1, tuttavia, in ragione della sua identità e della missione che le è propria, è chiamata a svolgere un ministero spirituale ed etico, soprattutto nelle questioni che interessano il tema del bene comune2. Certo, “il portico della politica non coincide con il colonnato della Chiesa” 3, tuttavia la Comunità cristiana, in nome del Vangelo, è chiamata a costituirsi come “memoria inquieta” e “profezia critica” di fronte a tutto ciò che non si addice alla verità dell’uomo e ai più alti valori morali della convivenza umana4.

Per questo, oggi, a tutti voi, donne e uomini impegnati in politica, rivolgo un accorato appello perché, superando ogni logica di rigida contrapposizione, sappiate individuare e percorrere le vie che conducono a costruire intese di ampio raggio, nella ricerca intelligente e appassionata degli interessi generali della nostra gente.

Per la buona gestione del nostro territorio, occorre anzitutto garantire la buona governabilità e una sana amministrazione della cosa pubblica. Vanno, perciò, evitati ad ogni costo gli antagonismi cronici e i contenziosi sfibranti, che suscitano nella gente disaffezione e sfiducia nei confronti della vita politica. Andrebbero, perciò, neutralizzati i reciproci ostracismi, respinte le logiche di rappresaglia, proibiti i duelli tattici, fermati i vortici nefasti degli agguati e delle faide. Avete il dovere di tenere la mano al polso della nostra società, per avvertirne le fibrillazioni (che ne rivelano il profondo disagio) e sentirne i palpiti (che ne segnalano i bisogni e le attese). Solo cosi vi sarà possibile offrire progetti convincenti e dare risposte risolutive ai problemi che scuotono il nostro sistema culturale ed economico.

Le varie forze politiche, di conseguenza, dovrebbero scansare il rischio di disperdersi in rivoli paralleli e moltiplicare i tentativi di convogliarsi verso flussi aggregativi ampi e sinergici, in grado di formare larghi e affidabili “bacini” di maggioranza come anche chiare compagini di opposizione. E’ tempo, dunque, di oltrepassare gli interessi di nicchia e i soggettivismi egocentrici (personali o di gruppo) per mettere in primo piano i bisogni effettivi e inderogabili della popolazione.

Certo, la concordia non è unanimismo: sappiamo bene che in democrazia è lecito – anzi, doveroso – discutere e mettere in confronto dialettico idee diverse e spesso antitetiche. Ma non è permesso scatenare guerre di casta e interminabili contenziosi: la popolazione è stanca di divisioni ad oltranza. Molti sintomi lasciano presagire che il tempo della pazienza si va esaurendo. E’ il momento di deporre le armi per vivere una politica nel segno della pace, percorrendo i sentieri non facili ma sicuri del dialogo e della collaborazione. «Una comunità di pace, infatti, è una comunità di uomini liberi e responsabili, capaci di costruire insieme rapporti di condivisione e di scambio»5.

Per avviare una “politica rinnovata” non bisogna partire dall’elenco delle cose da fare o dalle metodologie da adottare, ma è necessario muoversi dalla “riforma dell’anima”, poiché sta lì la “matrice genetica” che plasma tutte le intenzioni e orienta ogni operazione. La precedenza, dunque, spetta ad una profonda “conversione etica”, alla quale sono chiamati tutti, in primo luogo coloro che si candidano a rappresentare e a governare la Comunità civile. Per mettersi sulla corretta “frequenza” del servizio alla cittadinanza, è fondamentale fissare i valori comuni di riferimento e poi stabilire la scala delle priorità. Affrancandosi dai lacci delle presunte ovvietà (che inducono a dare per scontate virtù che non risultano nei fatti così salde) è doveroso mettersi seriamente in questione e riportare al centro del cuore gli ideali cristiani e civili. E’ così che si diventa davvero costruttori di una convivenza giusta, solidale e libera. Infatti «la democrazia non può vivere senza una base di valori etici condivisi, senza avere cioè punti di riferimento morali, pena il trionfo dell’individualismo e la prevalenza degli interessi privati sul bene comune»6. Proprio nel Messaggio di questo anno il Papa Benedetto XVI ci ricorda che «il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale»7.

Si tratta di mettere, avanti a tutto, la “carità sociale”, che consiste nel fare bene il bene di tutti, emancipandosi da ambizioni autoreferenziali (che spingono a “pascere se stessi” – cfr. Gd, 12), come pure immunizzandosi dal letale effetto del rancore: esso, infatti, «è un veleno piantato nel cuore che mostra un’incredibile capacità riproduttiva e genera la coazione alla vendetta»8.

Bisogna, inoltre, sottrarsi ad ogni forma di “nevrosi politica”, che nasce dalla dissociazione tra le dichiarazioni di intenti e i comportamenti reali: l’arte del prestigiatore e dell’illusionista non si addice al buon politico. Contro la scissione tra dire e fare, apparire ed essere, vanno verificati – e, quando necessario, raddrizzati – i percorsi del pensiero e delle decisioni, perché coincidano sempre con la traiettoria della volontà di Dio.

Altro settore dolente, sul quale polarizzare la massima attenzione, è costituito dalla emergenza-lavoro. Con drammatica frequenza, infatti, compaiono sulle pagine dei giornali i nomi di fabbriche in difficoltà o in fase di prossima chiusura. Purtroppo il “necrologio” delle imprese si arricchisce di nuovi “epitaffi”. L’ecatombe aziendale, registrata nel corso degli ultimi decenni, continua a fare il suo corso, con un lungo strascico di sofferenze personali, familiari e sociali. A questo quadro, già di per sé fosco, si somma il problema endemico della disoccupazione giovanile, che costituisce un fattore di grave turbativa culturale e sociale. A nome dell’intera comunità ecclesiale, esprimo piena vicinanza a quanti vedono resa precaria o compromessa la loro professione. Il problema della insicurezza o della mancanza del posto di lavoro colpisce non solo quelli che lo subiscono, ma rappresenta una questione cruciale che coinvolge tutti e che, di conseguenza, deve trovare una risposta corale. Nelle città medioevali, quando incombevano gravi rischi o si verificavano pesanti calamità, veniva suonata la “campana a martello”, per allertare gli abitanti e chiamarli a raccolta, al fine di fronteggiare insieme l’incombente minaccia. Questo è un tempo in cui occorre mobilitare le coscienze e chiedere l’apporto di tutti, nessuno escluso: vanno, perciò, suonate “a martello” le “campane” della solidarietà civile e della partecipazione sociale. E’ indispensabile che intorno al tema-occupazione si saldino i consensi e si attivino gli interventi unitari delle Istituzioni, degli Organismi rappresentativi delle forze produttive, dei Sindacati e del multiforme mondo associativo. Le parole-chiave, che debbono ritmare il nostro vocabolario sociale, sono convergenza, responsabilità, creatività, perseveranza, perdono. Occorre vigilare per non perdere il “treno” delle buone opportunità e non salire su quello sbagliato, che va a finire sui binari morti della storia.

Un’attenzione speciale e continuativa va pure rivolta al fenomeno degli immigrati. Ogni impegno destinato a favorire il processo di efficace integrazione di queste persone – che sono straniere, ma non ci sono estranee – costituisce non solo l’espressione di una sapiente carità cristiana, ma anche un atto di “razionalità sociale”. L’immigrato – che vive una condizione di vulnerabilità – va tutelato, rispettato e aiutato: solo così si trasforma in preziosa risorsa. Ovviamente, la carta dei diritti deve essere sempre coniugata con quella dei doveri, e viceversa: infatti, la legalità e la buona ospitalità si implicano vicendevolmente e si richiamano come versanti inscindibili di uno stesso codice culturale e sociale. Queste donne e questi uomini, che spesso vengono da lontano, non appartengono solo a “se stessi” o alle nazioni di origine, ma sono anche “nostri”, non solo perché “stanno qui”, ma perché membri dell’unica famiglia umana. Vanno, perciò, considerati e trattati come nostri “pari”: è obbligo di ogni cittadino prodigarsi perché le buone leggi siano tradotte in fatti e non tradite. Non ignoriamo, purtroppo, che le ombre vergognose dello sfruttamento lavorativo, abitativo, relazionale e perfino sessuale si proiettano non raramente su ampi settori della popolazione immigrata.

La Chiesa, «esperta in umanità», cerca di «scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo»9. Spinta dalla carità, che privilegia proprio gli “ultimi”, si fa “prossima” a coloro che sperimentano situazioni di marginalità e di pesante disagio: ascolta la loro voce e se ne fa eco fraterna. In tale orizzonte, come richiama il Papa, «è fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per lo sviluppo integrale della persona umana e dell’armonia della società»10

Esprimo vivo apprezzamento alla Magistratura, alle Forze dell’Ordine e alle Istituzioni per la vigorosa opera di contrasto messa in atto per neutralizzare cosche delinquenziali – endogene o importate – che si erano radicate nel nostro territorio.

Diversi fatti di cronaca nera, alcuni dei quali gravissimi, avevano segnalato, nel corso degli ultimi anni, che la criminalità locale andava evolvendosi in forme più articolate e insidiose, intrecciando pericolose alleanze con organizzazioni malavitose limitrofe. Gli alberi cattivi, come quelli buoni, non crescono in pochi giorni: perciò, ricorrendo ad un monitoraggio costante, bisogna evitare che si creino ambienti favorevoli allo sviluppo di strutture deviate e condotte distruttive. Insieme al controllo esercitato dalle Istituzioni, è fondamentale anche la “vigilanza sociale” e il “dissenso collettivo”, che evitano ogni forma di assuefazione o di complicità, attivando dinamismi di rigetto e di denuncia.

Ma non basta arginare e reprimere, occorre pure sanare gli “insediamenti infetti”, intervenendo sui “virus” sociali che si annidano nelle aree più degradate. Come è noto, recuperare e prevenire, suscitando i circuiti positivi della crescita integrale e partecipata, è meglio che combattere le patologie trasgressive.

Un’altra istanza da inserire nell’agenda delle priorità è “l’attenzione educativa”, che non va delegata solo ai genitori e agli insegnanti, ma va assunta dall’intera Comunità civile come un compito basilare e inderogabile. Da tempo si parla di una “emergenza” formativa, che interessa soprattutto il mondo degli adolescenti e suscita motivate ansietà. Se, nel loro bagaglio esistenziale, le nuove generazioni portano un “deficit pedagogico”, il futuro (e non solo l’oggi) viene condizionato e compromesso. Il tempo fa pagare a caro prezzo le omissioni o gli errori compiuti in campo educativo. Occorre, dunque, assicurare un adeguato ed organico accompagnamento maturativo per trasmettere ai giovani l’“arte di vivere” secondo i valori umani e cristiani.

Tale impresa spetta a tutti gli organismi sociali, ma in particolare alla famiglia, alla quale va riservata una speciale sollecitudine. Se la famiglia, infatti, non è messa in grado di esercitare la sua insostituibile funzione generante ed educativa, la comunità civile vede ipotecato in negativo il suo avvenire. Poiché è la famiglia – se sana e solida in tutte le sue dimensioni e dinamiche – che garantisce lo sviluppo integrale dei suoi componenti e del corpo sociale, di cui è cellula costitutiva.

In particolare, per promuovere la cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva, va dato crescente rilievo al ruolo della scuola, “luogo formativo” fondamentale per acquisire l’“habitus” del vivere l’”alterità” come dono: da riconoscere, rispettare e valorizzare. Infatti si può e si deve «“impa­rare la pace” a scuola, vivendo processi effettivi di partecipazione, democrazia e responsabilità nel lavoro, nel rispetto dei diversi ruoli e competenze; prendendosi cura di chi è più debole ed evitando che l’apprendimento diventi puro spazio di competizione per il successo personale e quindi radice di conflitti, invece che strumento di rela­zione e di aiuto reciproco»11. Oltre alla istruzione e alla cura delle abilità cognitive, la scuola deve garantire un “sapere per la vita”, caratterizzato dall’assimilazione di percorsi valutativi che consentano il “distacco” critico e l’autonomia personale, senza dei quali non ci sono libertà e responsabilità, e neppure cultura di pace12.

In tal contesto, deve far riflettere un dato preoccupante, emerso da una ricerca (che verrà presto pubblicata) condotta da una équipe di esperti della Caritas diocesana. Nella nostra zona la percentuale di abbandoni scolastici supera in misura consistente la media nazionale e in larga parte riguarda i figli di immigrati. Anche questo è un segnale di allarme che va preso sul serio e che esige rapidi provvedimenti.

Per ogni cosa c’è il suo tempo: per la Comunità pontina quello che viviamo è il tempo del discernimento e delle scelte. Si tratta di vagliare l’esperienza fatta nel passato e pianificare con avvedutezza il futuro. Ciò esige l’onestà intellettuale, che permette di capire quali sono stati i buoni “andamenti” (per potenziarli) e quali gli “andazzi” (per smascherarli e correggerli). Tuttavia, per usare bene la bilancia del giudizio e soppesare le decisioni già-prese o da-prendere, occorre affrancarsi dai massimalismi tendenziosi e dalle umoralità torbide, lasciandosi guidare da una razionalità limpida, composta e lungimirante. Occorrono animi pacificati, per comprendere e percorrere le vie della saggezza. Come scrive, nel suo Messaggio, Benedetto XVI: «la pace è risultato di un processo di purificazione ed elevazione culturale, morale e spirituale di ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente rispettata»13.

A ciascuno il compito di fare la sua parte, per costruire, a partire da sé, una società più aperta ai valori etici universali, più determinata nel dire la verità e viverla con amore: ciò renderà la Comunità pontina più corresponsabile e partecipata, più unita e profetica, e, proprio per questo, più idonea a dare a tutti gioia e speranza.

Carissimi amici, il Signore ci ha dato una terra meravigliosa: oggi prego con voi perché nel suo cielo s’alzi il sole della concordia e vi brilli tutti i giorni, con una luce che non conosce tramonto. Auguri di cuore per il Nuovo Anno!

+ Giuseppe Petrocchi

vescovo


1 cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici sulla vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (30 dicembre 1988), n. 152.

2 Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace 2011, n. 6 .

3 Cfr. Gianfranco BrunelliRegno attualità 2/2008, p. 3.

4 Cfr. Carlo Rocchetta, Teologia della tenerezza, Ed. Dehoniane Bologna, 2000, p. 406.

5 CEI, Commissione episcopale Giustizia e Pace, Educare alla Pace, Nota Pastorale, 1998, n. 22.

6 Editoriale di La Civiltà Cattolica, quaderno 3664, 15 febbraio 2003, p.356.

7 Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace 2011, n. 15.

8 CEI, Commissione episcopale Giustizia e Pace, Educare alla Pace, Nota Pastorale, 1998, n. 10.

9 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), n. 4.

10 Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace 2011, n. 9.

11 CEI, Commissione Episcopale Giustizia e Pace, Nota Pastorale, Educare alla Pace, 1998, n. 29.

12 Cfr. ibidem.

13 Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale per la Pace 2011, n. 15.