Addio Daniele e Tom, le ipotesi per spiegare la tragedia del Nanga Parbat

09/03/2019 di

Gli alpinisti Daniele Nardi e Tom Ballard sono morti a circa 6.000 metri di quota sulla parete nord occidentale del Nanga Parbat, alla base dell’inaccessibile sperone Mummery che stavano tentando di conquistare. È il drammatico epilogo di un giallo durato due settimane, che ha lasciato con il fiato sospeso ed ha attivato un’imponente operazione di soccorso nel Karakorum pakistano, cui hanno partecipato alcuni dei più forti alpinisti presenti in zona. Ad ufficializzare, su twitter, la drammatica notizia è stato l’ambasciatore italiano Stefano Pontecorvo annunciando che lo spagnolo Alex Txikon e la sua squadra, impegnati nelle ricerche, hanno confermato che «le sagome viste sul Mummery a circa 5.900 metri sono quelle di Daniele e Tom».

Una foto, scattata dal campo base con l’ausilio di un potentissimo telescopio, ritrae infatti i due corpi sdraiati sulla neve, in mezzo alle rocce: Nardi, con il suo piumino rosso, più in alto e, qualche metro sotto, Ballard con una giacca blu.

«L’analisi di quell’immagine e di altre ci suggerisce che la tragedia si è sviluppata in un’azione dinamica, cioè di loro due che si stavano muovendo verso il basso, quando è successo qualcosa; non sembrerebbe comunque esserci stato alcun tipo di valanga», spiega Agostino Da Polenza, presidente dell’Associazione Everest-K2-Cnr, amico dei due alpinisti che ha coordinato dall’Italia le ricerche.

L’ipotesi più accreditata è quella che i due siano precipitati mentre stavano scendendo dalla montagna. Le operazioni di recupero sono state sospese e i corpi rimarranno lì, per ora; è impossibile avvicinarsi a quello che è considerato uno dei luoghi più pericolosi della montagna pakistana. Ne era consapevole lo stesso Nardi, 43 anni di Sezze (Latina), che lascia la moglie Daniela e il figlio Mattia di sei mesi.

Nel suo ultimo messaggio, prima di partire, aveva scritto: «Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che però non si è arreso». Per lui era diventata quasi un’ossessione quella via di salita diretta, mai scalata prima da nessuno e percorsa, in discesa, nel 1970, solo da Reinhold Messner e da suo fratello Gunther, morto a poca distanza da lì.

Nardi ci aveva già provato altre quattro volte e quest’anno aveva coinvolto nella sua impresa invernale il giovane Tom Ballard, 31enne inglese, astro nascente dell’arrampicata e figlio di Alison Hargreaves, celebre scalatrice britannica deceduta nel 1995 sul K2. La sua fidanzata Stefania Pederiva, che vive in Val di Fassa, ha oggi gridato su facebook la propria disperazione: «Un dolore straziante e una forte rabbia per non aver ascoltato le mie costanti parole che ti dicevano che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano lì, per questo madre natura non ti ha più protetto». L’impresa sognata da Nardi, drammaticamente interrotta a poco dalla sua conclusione, sarà narrata in un libro che uscirà da Einaudi Stile Libero e che l’alpinista aveva iniziato a scrivere insieme ad Alessandra Carati, con cui è rimasto in contatto fino ai giorni immediatamente precedenti la scomparsa.

«Se non dovessi tornare dalla spedizione desidero che Alessandra Carati continui a scrivere la nostra storia», aveva precisato l’alpinista in una lettera. Ma le parole più intime e appassionate Nardi le aveva regalate al figlio, lasciandogli una sorta di messaggio in bottiglia che la famiglia ha oggi voluto rendere pubbliche: «non fermarti non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea…vale la pena farlo».