Yara, marocchino fermato per omicidio ma lui nega

06/12/2010 di

Per la scomparsa di Yara ora c’è una persona in
carcere: un marocchino di 22 anni, residente a Montebelluna, nel Trevigiano, giunto
in Italia qualche anno fa con il ricongiungimento famigliare. L’uomo, però, respinge
le accuse e «fornisce le sue giustificazioni».
Lavorava come muratore nel cantiere di Mapello dove i cani delle forze dell’ordine
hanno fiutato più volte tracce di Yara Gambirasio, la tredicenne di cui non si hanno
notizie da ormai nove giorni, dopo essere scomparsa del centro sportivo in cui si
allenava, a poche centinaia di metri dalla casa in cui vive con i genitori e tre
fratelli a Brembate Sopra, nella zona chiamata ‘Isolà nella cintura di paesi intorno
a Bergamo.
L’accusa alla base del suo fermo, eseguito ieri a bordo di una motonave che da
Genova stava andando a Tangeri, in Marocco, è raggelante: sequestro di persona e
omicidio volontario, anche se in Procura a Bergamo si muovono con estrema cautela,
mentre le ricerche della ragazza sono proseguite incessantemente anche oggi in più
località della provincia senza alcun esito.
Il giovane immigrato è stato interrogato dal pm Letizia Ruggeri nel carcere
cittadino di via Gleno, ma avrebbe negato la sua partecipazione al sequestro di Yara.
Lo aveva già fatto nella conversazione intercettata dai carabinieri, poco prima della
sua partenza verso il Marocco e che ha fatto convergere le indagini su di lui: «Allah
mi perdoni, ma non l’ho uccisa io».
È una conversazione che si sta comunque cercando di interpretare, perchè la frase
potrebbe essere stata detta in un momento particolare, forse di preghiera.
L’intercettazione, unita al fatto che gli investigatori hanno saputo che stava per
tornare in Marocco, a far scattare il fermo, principalmente per un incombente
pericolo di fuga. Il marocchino, però, davanti ai magistrati, avrebbe «fornito le sue
giustificazioni», come è trapelato. In queste ore il pm Ruggeri e il procuratore
aggiunto, Massimo Meroni, stanno valutando la richiesta di convalida del fermo, per
la quale hanno 48 ore di tempo, mentre i carabinieri stanno valutando le
dichiarazioni rese dal marocchino. Il suo fermo sembra sia solamente l’inizio di
indagini che si profilano complicate come, del resto, una vicenda che sta lasciando
con il fiato sospeso i bergamaschi e non solo. Il provvedimento potrebbe essere solo
un punto di partenza nella possibile individuazione di eventuali complici.
Si è cercata inutilmente la ragazza anche nei boschi di Ambivere, zona in cui stanno
agendo gli agenti della Questura, ma non su indicazioni dell’immigrato.
Investigatori e inquirenti stanno cercando di inquadrare il ruolo del marocchino
nella vicenda. Potrebbe comunque aver visto qualcosa accaduto nel cantiere di
Mapello, unico luogo in cui Yara sembra essere stata dopo la sua sparizione, intorno
alle 18,30 del 26 novembre. A quanto si è saputo, non sono nemmeno ancora bollate
come del tutto inattendibili le testimonianze di due persone che avrebbero notato la
presenza di due uomini, intorno a quell’ora, vicino al centro sportivo. Compresa
quella di Enrico Tironi, il diciannovenne vicino di casa della ragazza che raccontò
di aver visto Yara in compagnia di due uomini, denunciato per procurato allarme ma
poi risentito nei giorni successivi. Negli ambienti investigativi vige la consegna
del silenzio sulla posizione del fermato, mentre le indagini non conoscono tregua per
scoprire la sorte della giovane promessa di atletica ritmica che sembra inghiottita
dal nulla.