VIDEO Lo sceneggiatore Diego Altobelli recupera le immagini perdute dello sciopero al rovescio di Sonnino

10/05/2018 di

Il Messaggero racconta la storia dello “sciopero al rovescio” avvenuto a Sonnino nel 1951. Lo fa intervistando Diego Altobelli, uno sceneggiatore 37enne originario proprio di Sonnino, il quale racconta come è riuscito a recuperare le uniche immagini realizzate nel 1951 dagli allora giovanissimi Gillo Pontecorvo e Giuseppe De Santis.

Dopo aver analizzato le immagini e raccolto prove e testimonianze, Diego Altobelli è riuscito a dimostrare che i video furono girati a Sonnino e non in Ciociaria come per anni è stato ritenuto. Così l’attribuzione dei video è stata corretta.

Una piccola grande scoperta che è servita soprattutto a raccontare una storia che non tutti conoscono. «Durante lo sciopero al rovescio – racconta Diego Altobelli – arrivarono a Sonnino due ragazzi da Roma. Due giovani del Pci con una macchina da presa che iniziarono a riprendere gli scioperanti. I carabinieri che sorvegliavano la strada tentarono di requisire le pellicole ma alcune ragazze di Sonnino le nascosero, forse sotto le gonne, quasi sicuramente nelle ceste di vimini dove tenevano il cibo, riuscendo così a sfuggire alle forze dell’ordine e a tornare in paese dove restituirono le pellicole ai registi. Quei due giovani erano Gillo Pontecorvo e Giuseppe De Santis».

UNA STORIA (QUASI) DIMENTICATA. «Ero poco più che adolescente – continua Diego Altobelli – quando sentii raccontare da mio zio Antonio Bernardini (che ancora ringrazio per questo) la storia dello Sciopero a Rovescio e delle immagini perdute di De Santis e Pontecorvo. Immagini che da allora (fine anni ’90) sogno di ritrovare. Ma prima di vederle, perché sì, le ho trovate, facciamo un passo indietro. Nell’inverno del 1951, a Sonnino, dove sono nato e cresciuto, avvenne questa originalissima forma di lotta la cui storia affascinò subito me e gli amici con cui condividevo letture e ideali. Verso la fine degli anni ’90 quando ne sentimmo parlare, ce ne innamorammo subito per l’essenza provocatoria e rivoluzionaria ma allo stesso tempo dadaista.

Una lotta realizzata 50 anni prima da quelli che avrebbero potuto essere i nostri nonni che parlava direttamente a noi con un linguaggio che capivamo perfettamente e in cui, a tratti, ci riconoscevamo. Chi lavora, per far valere i propri diritti, può scioperare. Ma chi non ce l’ha un lavoro, come fa? Ed ecco lo Sciopero a rovescio ovvero: lavorare gratuitamente per protestare ma – attenzione – realizzando un’opera di pubblica utilità come ad esempio una strada».

Le immagini sono reperibili anche su Youtube (www.youtube.com/watch?v=lf4hDaQ0nE8). Ma fino ad oggi erano attribuite a un altro sciopero avvenuto in un paese della Ciociaria. Invece Diego Altobelli è riuscito, raccogliendo testimonianze e prove, a dimostrare che in quei fotogrammi si vede proprio Sonnino, ottenendo così la correzione anche nell’archivio audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico.

MESSAGGI E RICORDI. «Ma al di là di questo importante dettaglio, l’aspetto più bello dell’intera vicenda – racconta Diego Altobelli – la comunità di Sonnino, compresi i tanti che oggi vivono altrove, si è raccolta intorno a questa storia. Sono stato sommerso non solo di complimenti e ringraziamenti, ma anche di messaggi di persone che vogliono incontrarmi per raccontare altri dettagli. C’è chi ha avuto nonni o zii che parteciparono allo sciopero o che lo videro, tutti hanno qualcosa da raccontare».

La strada costruita durante lo sciopero al rovescio di Sonnino non fu mai terminata e, anzi, se ne perse la memoria per decenni. «Nel corso degli anni – racconta Diego – divenne addirittura una discarica di elettrodomestici, ma oggi è pulita».

Gli scioperi al rovescio si diffusero in quegli anni in tutta Italia e influenzarono in età più adulta i due registi, Pontecorvo e De Santis, a tal punto che entrambi li raccontarono in due loro film: Giovanna, il primo di Pontecorvo del ’56 e La strada lunga un anno del ’58 di De Santis, che andò a girarlo nella ex-Jugoslavia ricostruendo precisamente le colline dei Monti Lepini, sassi compresi.

«Ora – spiega Diego Altobelli – il fatto era che tutti i sonninesi con cui avevamo parlato concordavano (gonne a parte) sul racconto ma nessuno, e dico nessuno, aveva mai visto queste immagini. Era quindi legittimo sospettare che fossero andate perdute o – peggio – che non fossero mai esistite. La storia di come sono riuscito a ritrovarle è una storia a sé che forse – anche questa – un giorno racconterò meglio. Per ora mi preme solo condividerle con gli amici e i compaesani, festeggiare con loro e fare i dovuti ringraziamenti. Innanzi tutto ringrazio zio Antonio che oltre ad avermi raccontato questa meravigliosa storia della nostra gente mi ha fornito, nel corso degli anni, ottimi spunti e indizi che mi hanno condotto a ritrovare queste immagini. Mio papà e i miei fratelli a cui ho mostrato le immagini appena ritrovate per capire se anche loro vedessero esattamente quello che vedevo io e se potessero confermarmi che fosse Sonnino. Ma papà, mamma e fratelli non bastavano. Così ho chiesto aiuto a Candido Paglia di Sonnino.info, che è una delle più preziose e affidabili memorie storiche del paese. A lui ho sottoposto le immagini ritrovate e non ha esitato ad analizzarle, fotogramma per fotogramma, documentando in maniera inconfutabile che il paese ripreso fosse Sonnino e che quelle facce fossero quelle della nostra gente. Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi, come diceva la canzone.

A questo punto Claudio Olivieri dell’AAMOD – Archivio del Movimento Operaio ha accolto la mia richiesta e ha modificato la scheda del sito dedicata allo Sciopero a rovescio e il video su Youtube attribuendo a Sonnino e ai Sonninesi le immagini.

 

Uno di questi nonni/Omero che ho avuto la fortuna di conoscere e che vedo ancora nella mia mente seduto sui gradini del portico mentre corro per andare a prendere l’autobus, o in piazza, o in sezione, o giù da Francesco, o chissà dove prima degli esami di maturità, una volta mi disse, a proposito dello Sciopero a rovescio: “La rivoluzione la fa chi gli serve”. Una frase che rappresenta fedelmente lo spirito di questa straordinaria vicenda umana e politica e, per me e la mia generazione, anche qualcosa in più. Gramsci avrebbe detto Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà, ma sono sicuro intendesse esattamente la stessa cosa».

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