Omicidio De Rosa a Sezze, Cassazione: non fu terrorismo, niente risarcimento

04/07/2014 di
luigi-de-rosa-sezze-funerale

luigi-de-rosa-sezze-funeraleIl sanguinoso raid squadrista di Sezze (Latina) guidato dal deputato missino ed ex parà Sandro Saccucci, il 28 maggio 1976, nel quale fu ucciso un militante del Pci di 19 anni, Luigi De Rosa, e un altro di 21 anni, Antonio Spirito rimase ferito, non fu un «atto terroristico» ma solo una «spedizione punitiva» di «carattere episodico».

Lo ha stabilito la Cassazione – sentenza 15256 – rigettando il ricorso di Spirito contro il Ministero dell’Interno che, in accordo con il Tribunale di Latina, nel 2006 gli aveva negato il diritto all’assegno previsto per le vittime del terrorismo. Spirito ha riportato ferite che lo hanno «progressivamente ridotto alla invalidità permanente totale, con conseguente perdita della capacità lavorativa». Per l’uccisione di De Rosa e le lesioni a Spirito, la Corte di Assise di Latina nel 1979 aveva condannato Pietro Allatta, uno dei partecipanti al raid nella ‘roccaforte rossà – dove il Pci all’epoca prendeva da solo il 54% dei voti – mentre la condanna di Saccucci, da quella sera fuggito all’estero, venne annullata dalla Cassazione.

I disordini scoppiati a Sezze, quando Saccucci dal palco elettorale iniziò ad aizzare la popolazione, «non furono dovuti ad una imprevista reazione» da parte di una cittadinanza di «avversa area politica», ma – sottolinea la Cassazione – «costituirono il risultato di una vera e propria provocazione intenzionalmente posta in essere dagli attivisti di destra». Saccucci, scrivono gli ‘ermellinì, andò a Sezze «preparato ad uno scontro armato ed animato dalla specifica intenzione di mettere in atto una spedizione punitiva nei confronti degli attivisti locali di sinistra».

Nel raid messo a segno – erano imminenti le elezioni politiche – «non può escludersi l’intenzione di Saccucci e dei suoi di diffondere il panico» nella comunità di Sezze «al fine di condizionarne l’orientamento politico o quanto meno il voto, il tal modo producendo un effetto oggettivamente destabilizzante nello svolgimento dell’attività politica della cittadina». Tuttavia, proseguono i supremi giudici, «va posto in risalto il valore emblematico che il Saccucci e i suoi seguaci attribuivano all’obiettivo prescelto dalla loro azione, essendosi realizzato, attraverso l’identificazione dell’avversario politico nell’intera cittadinanza di Sezze, proprio quel fenomeno di spersonalizzazione delle vittime in cui viene ravvisato uno dei tratti tipici dell’attività terroristica».

Ritiene la Cassazione che questo raid non sia riconducibile «ad un programma criminoso che prevedesse il ricorso sistematico all’uso della forza» dal momento che nel processo non è emerso che «la spedizione punitiva rispondesse ad un preciso progetto di azione volto al conseguimento di finalità che trascendevano la vicenda in questione». I partecipanti a «tale aggressione», comunque, erano «persone per lo più aduse alla violenza e pronte a servirsene a scopo di sopraffazione o di intimidazione degli avversari politici».

Tuttavia, nonostante il sangue e le vittime, quanto accaduto quasi 40 anni fa a Sezze «non è annoverabile tra gli atti di terrorismo contemplati dalla disciplina interna e internazionale, con la conseguenza che in favore delle vittime non possono trovare applicazione neppure i benefici introdotti dalle normative susseguitesi a partire dalla legge 302 del 1990», conclude la Cassazione.