Radiologia dolce, il Goretti di Latina tra gli ospedali leader in Italia

22/11/2013 di
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L’Italia è ai primi posti in UE per la cosiddetta radiologia dolce, quell’insieme di tecniche che attraverso sottili cateteri introdotti nelle arterie portano farmaci o microsfere radioattive per trattare tumori altrimenti inoperabili.

E sono 4 nel nostro Paese i centri leader della radioembolizzazione del fegato, l’innovativa procedura che in pochi anni ha dimostrato di ottenere vantaggi in termini di sopravvivenza, di riduzione del tumore in vista di un trapianto o dell’asportazione chirurgica di una parte dell’organo. Tra questi anche l’ospedale Santa Maria Goretti di Latina.

Ma ora la preoccupazione degli esperti è che i risparmi o i tagli regionali alla sanità possano toccare anche queste cure e penalizzare molti malati che non hanno alternative terapeutiche, privandoli dunque di una procedura salvavita. Un timore che purtroppo si sta facendo strada in molti centri italiani. Un trattamento costa tra i 10.000 e i 12.000 euro e in alcune strutture i trattamenti programmati sono già finiti.

I quattro centri italiani a maggiore attività, quelli che superano 20 trattamenti l’anno sono nell’ordine l’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, l’Istituto Regina Elena di Roma, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S.Orsola di Bologna e l’Istituto Nazionale Tumori di Milano.

La radioembolizzazione è una terapia efficace ma ancora riservata ad alcuni casi selezionati – spiega Rita Golfieri, Direttore della Radiologia Diagnostica ed Interventistica del S.Orsola e che insieme al Bologna Liver Oncology Group (BLOG) ha trattato dal 2005 195 malati. Il metodo si applica ai tumori primitivi del fegato inoperabili che non rispondono al altri trattamenti o alle metastasi epatiche come unica sede di malattia.

I vantaggi in termini di sopravvivenza emergono da numerosi studi e a seconda della gravità dei casi sono compresi tra i 18 e i 26 mesi. Si tratta dunque di una radioterapia mirata che consiste nell’infondere con un catetere dall’arteria femorale microsfere di resina o vetro caricate con ittrio 90, un elemento radioattivo in grado di emettere potenti radiazioni capaci di colpire solo le lesioni tumorali dal loro interno, risparmiando i tessuti sani circostanti; le sferette non oltrepassano i capillari e rimangono intrappolate nel tumore che riceve così una dose di radiazioni molto elevata. I risultati degli studi nazionali ed europei che si stanno raccogliendo sono molto soddisfacenti e promettenti: i pazienti trattati in Italia sono stati più di 1200.

Uno studio pubblicato quest’anno sulla rivista Journal of Hepatology coordinato dalla rete europea e condotto dalla dottoressa Golfieri ha valutato 325 malati dimostrando che la radioembolizzazione è un trattamento efficace e ben tollerato anche per gli anziani sopra i 70 anni, una popolazione di malati con tumore del fegato in forte crescita e che possono non avere altre chance di cura.