CROLLO VENTOTENE, DIECI INDAGATI. IL PADRE DI SARA: NESSUNA FATALITA’

26/05/2010 di

di MARCO CUSUMANO *

Forse non è stata una tragedia inevitabile. Forse dietro alla morte di Francesca Colonnello e Sara Panuccio, 14 anni, sepolte dal crollo di una parete di tufo a Ventotene un mese fa, ci sono dei responsabili. La Procura di Latina ha iscritto sul registro degli indagati dieci persone: il sindaco dell’isola, Giuseppe Assenso, l’ex sindaco Vito Biondo e alcuni tecnici del Comune e della Regione Lazio. Nel mirino dei magistrati ci sono tutte le persone che hanno redatto il Piano di assetto idrogeologico regionale (Pai), ovvero la mappa delle zone a rischio, nella quale manca proprio Cala Rossano. Perché quella spiaggia non era interdetta al pubblico? Perché era considerata, addirittura, l’unica sicura sull’intera isola?


«Vogliamo fare chiarezza su ogni aspetto», spiega Nunzia D’Elia, procuratore aggiunto e titolare dell’inchiesta. «Non direi che questa inchiesta è un atto dovuto. Sicuramente il numero degli indagati ora è alto. Ritengo che solo con la consulenza si chiarirà se una o più persone sono state inadempienti rispetto agli obblighi di legge. La verifica tecnica chiarirà anche eventuali responsabilità giuridiche. Se emerge che il crollo è stato del tutto imprevedibile è un conto, se invece il crollo non era imprevedibile è un altro conto».

A sentir parlare il magistrato sembra che il colpevole ci sia eccome: uno solo tra i dieci indagati, come nel romanzo di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”. La morte di Sara e Francesca non è un omicidio, ma l’ipotesi di una fatalità sembra convincere sempre meno.

«Sono tranquillo, ho fiducia nella magistratura che farà le proprie indagini» è il commento del sindaco di Ventotene Giuseppe Assenso, uno degli indagati. «È un provvedimento tecnico – aggiunge il sindaco – Nominerò il consulente per partecipare alla perizia irripetibile, ma ho fiducia nella magistratura». La perizia dovrà chiarire la dinamica dell’incidente, stabilire se l’area era a rischio, se doveva essere transennata o messa in sicurezza. I carabinieri, dopo la tragedia, sequestrarono alcune carte redatte dall’Autorità dei bacini regionali del Lazio, in particolare alcune mappe dell’isola relative alle aree sottoposte a tutela per dissesto idrogeologico.
«Da quei documenti – spiega il sindaco – emerge che tutta l’isola è a rischio tranne il tratto che va da Cala Rossano, luogo della terribile tragedia, fino a Punta Eolo. Quindi è assurdo che la disgrazia sia capitata proprio lì».

«Le cause geologiche alla base del crollo – spiega il procuratore D’Elia – sono fondamentali per la ricostruzione dei fatti. Nella prima fase dell’inchiesta abbiamo acquisito una serie di documenti per capire il funzionamento del meccanismo in caso di rischio. Ora bisogna capire molti dettagli, tra i quali i ruoli dei tecnici nella redazione del “Pai” del 2005 e del 2009. Ci sono molti interrogativi da chiarire. Solo di fronte a un quadro più limpido si potranno ipotizzare precise e specifiche responsabilità». Per dare almeno un perché alla morte di Francesca e Sara.

IL PADRE DI SARA: NESSUNA FATALITA’

Bruno Panuccio, il papà di Sara, non ha mai creduto alla fatalità. E, dopo aver saputo dell’inchiesta della Procura di Latina, il suo commento non poteva che essere positivo: «Sono contento che la magistratura stia facendo in fretta, spero vada fino in fondo con solerzia perché in Italia di solito ci sono tempi lunghi. Non è stata una tragica fatalità. L’isola di Ventotene è in gran parte chiusa a causa della roccia di tufo friabile. Tutto questo si sapeva da tempo, quelle ragazze andavano protette. Sarebbe bastata una semplice rete di protezione, delle transenne o anche dei cartelli e questa tragedia non si sarebbe verificata. Mia figlia era una ragazza come tante altre della sua età: amava la musica, voleva fare la catechista. A noi e ai nostri figli lascerà un vuoto enorme. E’ stupido morire così, spero che tragedie così non si verifichino mai più».
Di fronte alla perdita di una figlia, specialmente in quel modo assurdo, ognuno reagisce diversamente. Bruno Panuccio non si è chiuso nel dolore ma ha deciso di parlare, forse per rabbia, per indignazione. Lo ha fatto subito dopo la tragedia, e anche ieri commentando l’inchiesta davanti ai microfoni di Mediaset.
Qualche giorno fa si era sfogato scrivendo una lunga riflessione su un blog: «Dopo aver appreso la notizia siamo stati elitrasportati sull’isola ed ancor prima di giungere abbiamo sorvolato la zona della tragedia. Passato il momento più tragico della mia vita, quello di dover vedere mia figlia morta, siamo stati caricati su varie automobili e condotti al centro del paese, in un triste corteo. Ma mentre i genitori di Francesca son giunti direttamente a destinazione, io ho fatto fermare l’automobile in prossimità del luogo maledetto. Disceso dalla vettura, sono andato in spiaggia tramite una scalinata d’accesso invitante e mi sono avvicinato alla zona, che in quel momento era sorvegliata e perimetrata dalle forze dell’ordine, come è prassi in questi casi. Mi è stato permesso l’accesso. Volevo vedere, toccare e maledire quella che fino a quel momento nella mia testa, grazie alle notizie giunte, era la roccia che aveva tolto la vita a Sara e Francesca. Quando ho toccato i massi ho scoperto con grande stupore che erano solo un insieme di terra che mi si è sbriciolata tra le mani. Non avevo mai visto il tufo prima di quel giorno, o forse pur avendolo osservato non mi ero mai posto il problema della sua fragilità».
Eppure è stato proprio il tufo a uccidere Sara e Francesca. «Perché – si domanda Bruno Panuccio – non c’erano reti di protezione e neanche un cartello per segnalare il pericolo?». Presto, forse, la risposta arriverà.  (* Fonte: Il Messaggero 26-05-2010)

 

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