Alba Pontina, così il nome Di Silvio è diventato il marchio del terrore a Latina

16/06/2018 di

Le carte dell’indagine Alba Pontina descrivono un clima di terrore, a Latina, collegato al nome dei Di Silvio. Una forza intimidatoria straordinaria, tipica delle associazioni di stampo mafioso, e ulteriormente rafforzata dalla guerra criminale del 2010 che decuplicò la forza del nome Di Silvio.

Ma il predominio del clan si concretizza soltanto recentemente, dopo gli arresti dell’operazione Don’t Touch, anzi per la precisione dopo le condanne relative a quella indagine. Da allora infatti scompare il gruppo dei fratelli Travali (a capo del quale c’era Costantino Di Silvio detto Cha-Cha) lasciando il monopolio del crimine all’altro gruppo dei Di Silvio, quello di Campo Boario guidato da Armando Di Silvio, colpito dall’operazione Alba Pontina.

L’INTERCETTAZIONE IN CARCERE. Il 20 maggio 2016 all’interno del carcere dove è detenuto Salvatore Travali viene intercettata una conversazione fondamentale per le indagini. Salvatore Travali, discutendo con le sorelle, apprese del passaggio nell’altro clan, quello di Armando Di Silvio, di due membri fidati: Renato Pugliese e Agostino Riccardo. I due erano passati nel clan con i figli di Armando Di Silvio “non riconoscendo più alcun potere ai fratelli Travali, ormai detenuti” come scrive il giudice nell’ordinanza.

Per questo “tradimento” Renato Pugliese, figlio di Cha-Cha, in quella occasione fu definito “infame”, un termine che nel gergo criminale ha un peso notevole. Oggi Pugliese è il primo pentito del clan, un collaboratore di giustizia che ha reso dichiarazioni fondamentali nei primi 6 mesi del 2017: le sue parole sono alla base delle indagini “Alba Pontina” e “Arpalo”.

Nella conversazione intercettata in carcere, Travali tenta di portare all’esterno un messaggio chiaro: «Non era stato condannato all’ergastolo e prima o poi sarebbe uscito, palesando intenti di vendetta nei confronti dei traditori» scrive il giudice.

Secondo i magistrati «i Di Silvio avevano ormai preso possesso di tutte le attività illecite, non lasciando nulla agli appartenenti all’organizzazione dei Travali». Un dominio basato sul terrore assoluto collegato al nome dei Di Silvio, tanto che il clan usava la violenza sempre di meno perché il nome era sufficiente a ottene qualsiasi cosa. “Anche questo – spiega il procuratore Prestipino – è un elemento tipico delle organizzazioni mafiose forti: la violenza non è necessaria se la forza intimidatoria è elevata”.

E così, per intimidire, bastava ricordare ad esempio la brutta fine di “Bistecca”, Fabio Buonamano, ucciso nel 2010 in mezzo alla strada nel pieno della guerra criminale per il controllo di Latina.