Palazzo in via Quarto, il Comune dovrà risarcire con 3,5 milioni il costruttore Massimo Riccardo

25/01/2018 di
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Il costruttore Massimo Riccardo ha vinto la battaglia giudiziaria davanti al Tar contro il Comune di Latina per la vicenda del palazzo in via Quarto. I giudici hanno disposto un risarcimento di circa 3,5 milioni di euro a carico del Comune.

L’istanza era stata avanzata dal costruttore contro l’ordinanza di demolizione del Comune emessa mentre era in itinere presso gli uffici di piazza del Popolo l’esame della sua richiesta di edificare.

Riccardo aveva invocato il «risarcimento dei danni ingiusti subiti e subendi dal ricorrente a causa dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e del mancato esercizio di quella obbligatoria» chiedendo 3,5 milioni di euro.

I giudici hanno sostanzialmente accolto la tesi di Riccardo, bocciando però la richiesta di danni d’immagine e di danno biologico. Inoltre gli atti sono stati inviati alla Corte dei Conti.

 

IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 554 del 2017, proposto da: Massimo Riccardo, Costruzioni Generali S.r.l., in persona del legale rappresentante p. t., rappresentati e difesi dall’avvocato Manuela Milani, con domicilio eletto presso il suo studio in Latina, via Cesare Battisti 18;

contro

Comune di Latina, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Paolo Cavalcanti, con domicilio eletto in Latina, viale IV Novembre n. 25;

per la condanna

dell’amministrazione al risarcimento dei danni ingiusti subiti e subendi dai ricorrenti a causa dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e del mancato esercizio di quella obbligatoria.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Latina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2018 il dott. Roberto Maria Bucchi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1) Con ricorso notificato il 24 luglio 2017 e depositato il successivo 2 agosto, il sig. Riccardo Massimo, in proprio e nella qualità di legale rappresentante in carica della società Costruzioni Generali s.r.l. ha adito questo tribunale ai sensi dell’art. 30 del c.p.a. chiedendo la condanna del Comune di Latina al risarcimento dei danni subiti dalla società Costruzioni Generali s.r.l. quantificati nella complessiva somma di € 3.442.227,94 (oltre interessi e rivalutazione) e dal medesimo sig. Massimo nella somma di € 47.453,45.

2) Con atto depositato il 4 settembre 2017, si è costituito in giudizio il Comune di Latina deducendo l’infondatezza della domanda.

3) Alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2017, la causa è stata riservata per la decisione.

4) Il ricorso è fondato e come tale deve essere accolto nei termini di seguito esposti.

5) La vicenda a cui si ricollega la domanda in argomento è di seguito sinteticamente riassunta:

– il Comune di Latina rilasciava alla società ricorrente il permesso di costruire n. 31 del 20.10.2014 per la realizzazione di un edificio residenziale ricadente nel vigente PPE del Quartiere Prampolini – R3, Tavola 12 comparto 6 approvato con delibera G.C. n. 434/2014;

– il rilascio del titolo era preceduto dalla sottoscrizione in data 18.9.2014 della convenzione rep. 81420, con cui la ricorrente si impegnava – tra l’altro – a cedere al Comune le aree distinte al foglio 171 p.lle 133 e p.lla 2201, in attuazione della previsione contenuta nel PPE R/3 in basa alla quale “i proprietari (…) a fronte della volumetria concessa, cedono all’Amministrazione comunale il lotto di terreno contraddistinto in catasto al foglio 171 particelle 2201 e 133 per viabilità-parcheggi e verde pubblico”;

– avviati i lavori (con realizzazione delle fondazioni e delle prime opere murarie di contenimento), il Comune con atto del 15.1.2015 annullava in autotutela il p.d.c. in ragione del fatto che da controlli effettuati era risultato che l’area di cui alla p.lla 133 era già di proprietà dell’amministrazione in virtù di atto di decreto di esproprio n. 884/1980 e, quindi, non poteva concorrere alla determinazione del volume già autorizzato in favore del privato;

– la ricorrente presentava in data 2.2.2015 istanza di rilascio di un nuovo p.d.c. con decurtazione della volumetria relativa alla p.lla n. 133;

– l’Amministrazione rispondeva con preavviso di rigetto prot. 68871 del 15.5.2015 in cui si rappresentava che stante l’esistenza di due proprietari (la ricorrente e il Comune) occorreva la presentazione di un progetto unitario e invitava l’istante a presentare osservazioni eventualmente corredate da idonea documentazione entro il termine di 10 gg scadenti il 29 maggio 2015;

– senza attendere la scadenza del termine predetto, il Comune inoltrava alla ricorrente l’ordinanza di demolizione datata 21.5.2015, impugnata col ricorso r.g. 361/2015;

– la ricorrente, in data 26.5.2015, riscontrando il preavviso del 15.5.2015, presentava il progetto unitario anche ai sensi dell’art. 23 della L. 150/42, per il quale la società che concorre al comparto con una quota superiore ai tre quarti dell’imponibile catastale ha titolo alla presentazione di un progetto unitario:

– con preavviso di rigetto del 25.6.2015, il comune contestava il superamento della cubatura ammissibile (mc 2544,93 in luogo di mc 2440);

– con nota del 30.5.2015, la ricorrente trasmetteva il progetto modificato con riduzione della cubatura nei limiti richiesti dal Comune;

– con nota del 2.7.2015, il Comune replicava che la presentazione del progetto modificato non poteva valere come osservazioni ai sensi dell’art. 10 bis e neanche come presentazione di una nuova e corretta istanza;

– con ordinanza del 9.7.2015, questo Tribunale concedeva, con ampia e articolata motivazione, la tutela cautelare nell’ambito del ricorso r.g. 361/2015;

– ciò nonostante, l’Amministrazione con provvedimento prot. 112497 del 20.8.2015 negava il p.d.c. ritenendo il progetto presentato dalla ricorrente né valido ai fini delle controdeduzioni ex art. 10 bis, né idoneo come presentazione di una nuova istanza di autorizzazione;

– detto provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti nell’ambito del giudizio pendente avverso l’ordinanza di demolizione;

– con nota del 10.9.2015, la società provvedeva a presentare “autonomamente” il medesimo progetto successivamente integrato in data 9.10.2015;

– con deliberazione n. 3 del 20.1.2016 del Commissario Straordinario, il Comune dichiarava di non avere interesse pubblico a partecipare direttamente all’attuazione del Comparto 6 del PPE R/3 Quartiere Prampolini mediante la realizzazione della volumetria derivante dalla p.lla 133 di mq 538;

– detta determinazione veniva impugnata con ulteriori motivi aggiunti nel giudizio r.g. 361/15;

– con sentenza n. 290 del 5.5.2016, la Sezione accoglieva il ricorso r.g. 32716 proposto dalla ricorrente contro il silenzio inadempimento formatosi sulla domanda di rilascio del p.d.c. affermando, tra l’altro che “a) non è contestato che il progetto presentato dalla ricorrente il 9 ottobre 2015 sia conforme alla strumentazione urbanistica vigente (anzi la conformità risulta documentalmente confermata dalla relazione istruttoria del r.u.p.); b) sono ampiamente decorsi i termini prescritti dall’articolo 20 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per il rilascio del permesso di costruire e per la formazione del silenzio assenso; c) i fatti ostativi alla formazione del silenzio assenso addotti dalla difesa comunale (essenzialmente la necessità della stipula di una nuova convenzione a modificazione-sostituzione di quella in precedenza stipulata) rimandano a inadempimenti dell’amministrazione che avrebbe dovuto prestare la collaborazione necessaria a porre in essere le attività di sua competenza occorrenti al perfezionamento della procedura (tanto più che l’origine dei “problemi” verificatisi rimanda a un errore compiuto dalla stessa amministrazione nella formulazione delle norme tecniche di attuazione del p.p.e. che, relativamente al comparto n. 6, si basano sul presupposto, poi rivelatosi errato, che la particella n. 133 fosse di proprietà privata e non pubblica); in altri termini, l’annullamento dell’originario permesso di costruire è in larga parte dipeso da fatto della stessa amministrazione (che, prima di formulare le n.t.a. del p.p.e. e di stipulare la convenzione per quindi rilasciare il permesso di costruire poi annullato, avrebbe dovuto verificare la situazione proprietaria dei suoli) che quindi, in un’ottica di leale collaborazione con la ricorrente, avrebbe dovuto prestare l’attività necessaria a porre rimedio alla situazione creatasi, ivi compresa quella occorrente alla eventuale integrazione-rettifica della convenzione, salve le determinazioni da assumere in merito alla volumetria di sua spettanza; d) la sospensione dell’efficacia del p.p.e. invocata dalla memoria depositata dal comune in prossimità della camera di consiglio deriva da un provvedimento successivo alla formazione del silenzio assenso”;

– infine, con sentenza n. 12 dell’11.1.2017, la Sezione accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti r.g. 361/15 annullando tutti gli atti impugnati, rilevando, in particolare:

a) con riguardo all’ordinanza di demolizione n. 15722/5762 del 21 maggio 2015 prot. n. 71635: “il provvedimento dell’amministrazione appare contraddittorio e intempestivo. L’articolo 38 D.P.R. n. 380 – che disciplina le conseguenze dell’annullamento di un titolo edilizio – prevede infatti, con una disposizione che tiene nel debito conto anche l’interesse di chi abbia realizzato opere facendo in buona fede affidamento sulla loro legittimità, che l’amministrazione in primo luogo verifichi la possibilità di emendare i vizi del titolo; solo in caso di acclarata impossibilità le opere (divenute) illegittime vanno rimosse salvo, ove risulti impossibile la rimessione in pristino, l’applicazione di una sanzione pecuniaria (il cui pagamento produce gli effetti di un “accertamento di conformità”).

Nella fattispecie era in corso il procedimento preordinato alla rimozione dei vizi – cioè al rilascio di un permesso di costruire che tenesse conto della reale situazione della proprietà del lotto – e tale procedimento non si era ancora concluso dato che alla ricorrente era stato sì inviato un preavviso di rigetto (in relazione alla circostanza che le norme tecniche di attuazione prescrivono nel caso di proprietà frazionata la presentazione di un progetto unitario e la ricorrente aveva presentato un progetto che teneva conto della sola volumetria a essa spettante) ma era stato anche fissato un termine per controdedurre e trasmettere documentazione, con ciò implicitamente ammettendo la possibilità della (e per certi aspetti persino sollecitando la) presentazione di un progetto unitario che soddisfacesse quanto previsto. Di qui l’inesattezza dell’affermazione del provvedimento circa l’impossibilità di rimozione dei vizi. In questa situazione è contraddittorio e incongruo che il comune abbia ingiunto la demolizione senza attendere l’integrale decorso del termine concesso così implicitamente riducendo il preavviso di rigetto a un inutile adempimento formale ovvero trasformandolo – il che è peggio – nella reale determinazione definitiva, cioè in una manifestazione di volontà ormai irrevocabile dell’amministrazione rispetto alla quale si esclude a priori che l’apporto del privato possa risultare utile a concorrere alla formazione del provvedimento finale (con conseguente mortificazione dei principi affermati in materia di procedimento dalla legge 7 agosto 1990, n. 241)”;

b) con riguardo al provvedimento prot. n. 112491/73920 del 20 agosto 2015, recante diniego di permesso di costruire un fabbricato residenziale in via Quarto: “La funzione dell’articolo 10-bis non è solo quella di consentire al privato al quale siano rappresentate le ragioni che impediscono l’accoglimento della sua istanza di contestare tali ragioni (sul piano giuridico e/o fattuale) ma anche – e si potrebbe sostenere soprattutto – quella di (eventualmente) modificare l’istanza nel senso indicato dall’amministrazione così rendendo astrattamente possibile un suo accoglimento (così anche da prevenire la formazione di contenzioso). Questo è ciò che la ricorrente ha fatto (o meglio che sostiene di aver fatto dato che gli elaborati non sono stati depositati ed è quindi impossibile formulare un giudizio sull’adeguamento, pur non essendo quest’ultimo necessario dato che il comune non ha denegato il permesso ritenendo insufficienti le modifiche ma ha ritenuto di non poterle considerare). Il rifiuto del comune di esaminare le modifiche appare privo di alcuna giustificazione e effettivamente si pone in contrasto con la normativa in materia di procedimento e con i generali principi in materia, oltre che con i principi ispiratori della specifica normativa disciplinante il procedimento di rilascio del permesso di costruire che prevedono la collaborazione tra privato e comune prescrivendo che sia lo stesso comune a indicare le modifiche occorrenti a rendere assentibile il progetto (purché si tratti di modifiche di “modesta entità”); nella fattispecie non è possibile dire se le modifiche da apportare al progetto fossero di modesta entità e tali da dover essere indicate dal responsabile del procedimento ma non vi è alcun dubbio che tali modifiche, una volta che l’amministrazione aveva a mezzo del preavviso indicato quali fossero le ragioni che rendevano non assentibile il progetto, potessero essere proposte dal privato interessato e che esse dovessero essere considerate; va aggiunto che, anche se si volesse ritenere che la forma in cui tali modifiche erano state presentate non soddisfacesse la normativa in materia di istanza di permesso di costruire, il comune avrebbe potuto (e dovuto) invitare la ricorrente a procedere alla integrazione-regolarizzazione del nuovo progetto in un’ottica di collaborazione”;

c) con riguardo alla deliberazione n. 3 del 20 gennaio 2016 del commissario straordinario: “la fondatezza del primo motivo con il quale la ricorrente denuncia la violazione della garanzie procedimentali e del secondo motivo con il quale è dedotto il difetto di motivazione e istruttoria; se infatti il provvedimento del comune incide su interessi della ricorrente e, in particolare, comportando un ridimensionamento dell’iniziativa, è chiaro da un lato che il comune avrebbe dovuto coinvolgerla nel relativo procedimento affinché essa potesse rappresentare le proprie ragioni e dall’altro che il non aver coinvolto la ricorrente ha determinato un vizio di istruttoria e di motivazione”.

6) Tanto premesso, i ricorrenti chiedono in questa sede il risarcimento dei danni subiti a causa degli atti illegittimi adottati dal Comune di Latina e del mancato esercizio dell’attività amministrativa obbligatoria che hanno determinato, tra l’altro, l’impossibilità della società e del suo legale rappresentante di fare fronte agli impegni assunti nell’ambito della ordinaria attività di impresa esercitata per la realizzazione del progetto in argomento.

7) A tal proposito, va affermata la sussistenza del nesso causale tra l’azione amministrativa svolta dal Comune di Latina e i danni lamentati dai ricorrenti, nonché della colpa grave della pubblica amministrazione ricavabile dalla illegittimità degli atti amministrativi annullati con la sentenza n. 12/2017 la quale ha evidenziato una condotta connotata quanto meno da superficialità e imperizia.

8) Quanto alla prova dei danni subiti, i ricorrenti hanno prodotto relazioni e documentazioni idonee a dimostrarne la quantificazione, la quale non può non tenere conto delle somme che la società deve restituire ai promissari acquirenti (Moriconi € 116.389,45, Pellicciotta € 160.000, Di Rosa 148.784, Sarubbo € 124.400, Vansant € 30.000, Monterubbiano € 60.000, De Angelis € 150.000, Rondinelli € 17.000, Scaffidi € 10.000, Volpato/Marangoni € 100.000, per complessivi € 916.570,45), delle somme spese per realizzare i lavori prima della loro interruzione (per complessivi € 512.739,38), di quelle spese per i lavori eseguiti dopo la sentenza di questo Tribunale n. 290/16 (pari a complessivi € 108.490,27).

Per un totale di € 1.537.800,00.

9) Quanto al mancato guadagno ritiene il Collegio che esso debba essere commisurato nella misura pari alla somma dei corrispettivi pattuiti nei compromessi/preliminari di vendita stipulati con i soggetti elencati nel punto precedente, detratte le somme già percepite.

Tale importo include anche il valore della p.lla 2201 ceduta al Comune, in attuazione della previsione contenuta nel PPE R/3, a fronte della volumetria concessa.

10) La domanda relativa alle spese legali va respinta perché la somma richiesta di € 6.599,91 è assorbita dalla somma liquidata nelle sentenze n. 290/16 e n. 12/17 a titolo di spese legali.

11) La domanda proposta dal sig. Riccardo Massimo per danni all’immagine deve essere respinta perché la vicenda ha riguardato la s.r.l. Costruzioni Generali e non l’istante come persona fisica.

12) La domanda proposta dal sig. Riccardo Massimo per danno biologico va respinta siccome non sufficientemente provata.

13) Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso R.G. 554/17, lo accoglie e per l’effetto condanna il Comune di Latina al risarcimento dei danni a favore della società Costruzioni Generali s.r.l. nella misura descritta in motivazione.

Condanna il Comune di Latina alle spese e competenze del giudizio, che liquida in complessivi € 3.000 (tremila), oltre spese generali, ex art. 14 tariffario forense, cpa e iva.

Dispone la trasmissione di copia della sentenza alla Procurale Regionale per il Lazio della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza in ordine a eventuali profili di responsabilità amministrativa dei funzionari dell’Amministrazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Antonio Vinciguerra, Presidente

Antonio Massimo Marra, Consigliere

Roberto Maria Bucchi, Consigliere, Estensore. (fonte: Giustizia-amministrativa.it)