Donna di Latina morta per sangue infetto, eredi risarciti con oltre 1 milione di euro

10/01/2017 di
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Ancora un maxirisarcimento per danni da sangue: poco meno di un milione e 100mila euro, fra capitale ed interessi, sono stati liquidati dal Tribunale di Roma che ha condannato il Ministero della Salute a in favore degli eredi di una donna di Latina deceduta nell’agosto 2001 all’età di 73 anni a causa di trasfusioni di sangue infetto dal virus dell’epatite C.

La somma sarà pagata in favore dei figli che hanno già ottenuto nel 2011 un primo indennizzo di 77mila e 500euro previsto dalla legge n.210/1992 (in favore dei soggetti danneggiati da trasfusioni di sangue infetto) dopo un’altra lunga causa avanti al tribunale di Latina poi proseguita in Corte di Appello dall’avvocato Renato Mattarelli che ha poi intrapreso, nel 2012, l’ulteriore causa per il risarcimento integrale dei danni terminata con la sentenza n. 216 del tribunale di Roma del 10 gennaio 2016.
La 73enne di Latina era deceduta per una cirrosi epatica da epatite C contratta nel lontanissimo marzo 1968  dopo la somministrazione di diverse sacche di sangue presso la casa Cura “Villa Fiorita” di Capua.
È stata una battaglia giudiziaria difficilissima visto che la cartella clinica del ricovero del ’68, indicante le trasfusioni, non è mai stata rinvenuta a causa di un allagamento dell’archivio della clinica e che le schede dei donatori di sangue, necessarie per la tracciabilità della provenienza del sangue, sono andate smarrite.
È stato solo attraverso prove indirette e presunzioni presunzioni legali oltre che a testimonianze, che è stato possibile ricostruire gli eventi trasfusionali di quasi 50 anni fa.
La sentenza di circa un milione e 100mila euro (di cui 260mila sono interessi maturati dalla data della morte della donna dell’agosto 2001) non soddisfa  comunque la più ampia richiesta di 2 milioni fatta dall’avvocato Mattarelli che verificherà se fare appello per la parte mancante: il danno patito in vita dalla 73enne di Latina che secondo la sentenza sarebbe solo di 44mila euro visto che la malattia epatica non si sarebbe mai stabilizzata ma ha portato progressivamente alla morte la donna.
Ma per l’avvocato Mattarelli questa tesi è sbagliata poiché secondo questo ragionamento il medico che uccide un paziente pagherebbe molto di meno in caso il danneggiato restasse in vita.