L’INTERVISTA Crisi Pd, Ingellis al contrattacco: “Provocazioni e interesse alle poltrone. Commissariamento ultima soluzione possibile”

27/12/2016 di

Il Pd di Latina sta vivendo una fase a dir poco concitata. Le lotte intestine che da mesi scuotono le fondamenta del partito sono confluite nel commissariamento arrivato la scorsa settimana da parte della segreteria regionale.  Fatto che ha certificato la spaccatura esistente tra le anime dell’universo dem. La questione che ha riacceso la miccia è stata quella dell’elezione del nuovo segretario comunale, carica rimasta vuota dopo le dimissioni di Andrea Giansanti subito dopo l’ultima tornata elettorale. Dinamiche politiche che – oltre a sottolineare l’ennesima manifestazione di “masochismo politico”  – sembrano aver ufficialmente ridotto il Pd in una, a tratti nichilistica, contrapposizione di schieramenti.

Da un lato c’è la cosiddetta corrente “Fortiana” , coloro che hanno sostenuto Enrico Forte nell’ultima corsa alla poltrona di sindaco. Fronte che dopo il nulla di fatto dell’ultima assemblea comunale, per presentare la candidatura di Paola Battista, ha tentato la strada dell’auto-convocazione – o meglio della convocazione dell’assemblea tramite il tesoriere Enzo Vernacchio – a causa (è quanto fanno sapere gli interessati) di un diniego posto dal presidente Emanuele Ingellis. Una mossa che non è piaciuta all’altro versante, in particolar modo a Salvatore La Penna e Claudio Moscardelli, già messi sotto attacco da quel documento congiunto diramato lo scorso agosto in cui si denunciava una “concezione padronale del partito”.

È stato proprio il segretario provinciale La Penna a chiedere l’intervento del coordinatore regionale Fabio Melilli, il quale ha staccato la spina alle mire dei “frondisti” e ha spedito in terra pontina Giancarlo D’Alessandro – membro della direzione regione, ex assessore nelle amministrazioni capitoline di Rutelli e Veltroni – a traghettare il Pd verso il Congresso. A fronte del diktat arrivato da Roma, si sono levate puntuali le voci di protesta dell’ala Fortiana, che parla di un attentato alla collegialità del partito, di un commissariamento assurdo.

Il Pd dunque si è dato all’arma bianca, e in tale trambusto politico c’è chi si trova da sette mesi, sin dalle dimissioni di Giansanti, a reggere le redini di un partito più frammentato che mai. Emanuele Ingellis, presidente dell’Assemblea Comunale del Pd, ovvero quel garante del partito che, come si legge anche nel documento inviato da La Penna a Melilli, sarebbe stato sottoposto a continue delegittimazioni. Il giovane dem non ci sta a subire le “provocazioni” di Forte&Co. e ribatte colpo su colpo in un’intervista rilasciata a Latina24ore.it. Nient’altro che una provocazione, dunque, è il termine con cui Ingellis bolla le ultimi vicende politiche; un muro contro la sua azione politica. Smentisce il fatto che i “ventitré”  (numero che corrisponde alla maggioranza dell’assemblea composta da 44 membri) richiedenti la riunione dell’assemblea, gli abbiano avanzato una richiesta di convocazione. E che di conseguenza lui, figura politica avente il ruolo di indire e garantire lo svolgimento dell’assemblea, non ha in realtà posto nessun veto. Ma il commissariamento era inevitabile, dice. Il quadro che dipinge il presidente Pd è impietoso, e non risparmia stilettate verso un canovaccio politico che vedrebbe un costante interessamento “alle carriere politiche di pochi a discapito del partito”; verso delle logiche che fanno del partito uno “strumento” personale. Un partito che, se si “focalizza di poltrone”, rischia di perdere in partenza sia nelle partite giocate quotidianamente in città che nelle prossime occasioni elettorali.

Emanuele Ingellis, presidente del Pd di Latina, garante di un partito da tempo spaccato in due e commissariato. L’ultima assemblea, da lei convocata, si è conclusa con un nulla di fatto. In linea teorica, sembra che ora i numeri per eleggere un nuovo segretario ci fossero, sebbene il margine fosse assai ristretto. 

Nell’ultima assemblea è stato presentato un documento, scritto da quella parte del partito che diceva di aver sostenuto Enrico Forte alle primarie. Un documento molto incentrato su sindaco Coletta e l’amministrazione comunale. Non solo non vi era un ragionamento sulla figura del segretario, ma nemmeno sulla riorganizzazione del partito, dei circoli e dell’attività politica. Candidare un segretario vuol dire candidare una visione, una strategia, un lavoro progettuale di lungo termine.  Ridurre il documento che deve eleggere un segretario alla questione Coletta, a me francamente è sembrato riduttivo. Quello che io ho fatto nei mesi scorsi è cercare di porre le basi ad un atto che avesse tre punti chiave: il giudizio sull’attuale amministrazione, la linea politica del partito in Consiglio Comunale e la riorganizzazione del partito stesso. E l’ho fatto con il più ampio spirito di condivisione possibile. Ma hanno cercato di fare muro contro questo lavoro. Si sono presentati il giorno dell’ultima assemblea con un documento, probabilmente scritto da una persona e condiviso con altri membri nella stessa sera, chiedendo anche di metterne a votazione l’emendabilità. E in tutto questo si è palesata l’assenza del numero legale. Una provocazione inutile, che genera soltanto confusione.

Ritiene dunque giusta la soluzione adottata dalla segreteria regionale?

È evidente che quella del commissariamento è l’ultima delle soluzioni possibili, credo anche l’ultima degli strumenti a disposizione che un segretario voglia utilizzare.

Una toppa necessaria?

In questi ultimi mesi, ma non solo, sono stati compiuti degli atti che hanno portato il partito in una fase di stallo.  Una serie di atti, come detto, provocatori anche nei miei confronti, sulla base dei quali il segretario regionale ha ritenuto giusto procedere con il commissariamento.

Salvatore La Penna nella sua lettera a Melilli parla di “ripetuti tentativi di delegittimazione del presidente dell’assemblea comunale”. Mi sembra di capire che si trova d’accordo con le parole del segretario provinciale.

Assolutamente si.  Il partito “funziona” secondo specifici criteri. Il Presidente ha il compito di convocare e dirigere l’assemblea, mentre il tesoriere quello di tenere i conti. L’auto-convocazione è stata l’ennesima provocazione, l’ennesimo tentativo di delegittimazione nei miei confronti. Se loro – e purtroppo devo dire “loro” – avessero voluto procedere con un’auto-convocazione in maniera corretta, avrebbero dovuto convocare tutti i partecipanti dell’assemblea. Invece in questo caso è stato inviata una nota a firma del tesoriere soltanto a qualche membro, mentre ad altri non è stato comunicato nulla. E nemmeno io sono stato avvertito di questa iniziativa, né come presidente né come membro dell’assemblea. Potevano chiedermi la convocazione, ma non l’hanno fatto. Una provocazione nella provocazione.  E la risposta a questo non può essere altro che il commissariamento.

E questa è una notizia. Da quello che sostiene lo schieramento “fortiano” sembra che lei avesse rifiutato di convocare l’assemblea, e per tale motivo la scelta sarebbe ricaduta sul tesoriere.

Ho letto tante falsità in questi giorni. Non mi è stato inviato nessun documento. Magari potevano produrre una richiesta di convocazione a firma delle famose 23 persone tanto paventate, propedeutico alla convocazione dell’assemblea e all’elezione del segretario. È evidente che questi 23 voti non esistono. Il consenso sul loro programma non è stato riscontrato. Gli atti e i fatti dicono esattamente il contrario di ciò che vanno propagandando.

La corrente di Forte ha prontamente alzato gli scudi. Nicoletta Zuliani in un suo intervento ha fatto riferimento ad un criterio di “collegialità” che è venuto ha mancare nella decisione di commissariare il partito. “La collegialità non è una parola ma un metodo”, ha dichiarato la consigliera. Che ne pensa di queste parole?

Beh niente da dire su questa ultima frase, è giusto. Ma detto da chi si è fatta portatrice della gestione della spaccatura, sostenitrice di un’autoconvocazione fatta in quel modo… Inoltre, il commissariamento è un atto estremo in capo al segretario regionale non ad un comitato collegiale cittadino.

Secondo lei, dunque, i fatti smentiscono le parole della Zuliani?

Sicuramente quella della Zuliani è un’opinione “interessante”.  Io in questi sei mesi ho cercato di intraprendere la strada della collegialità, ma, come dicevo, mi è stato bloccato qualsiasi tentativo in questo senso, fino ad arrivare alla situazione della settimana scorsa.

De Marchis invece ha parlato di un “commissariamento che farebbe impallidire finanche l’ultima matricola di giurisprudenza per l’inconsistenza delle motivazioni portate a sostegno”.

Ognuno fa le sue valutazioni, ma il dato politico resta. Per quanto si stia cercando di buttarla sulla burocrazia e sulla giurisprudenza, si deve prendere atto che c’è stato un tentativo di una parte del partito – che si è professata a mezzo stampa espressione della maggioranza – che ha cercato di dettare le regole, con un’auto-convocazione fatta in quel modo… E in questo metodo non riscontro nulla della famosa collegialità di cui parlano, non ne vedo nemmeno l’ombra.  La situazione che si è determinata a Latina – e aggiungerei per colpa di tutti – è quella di una completa ingessatura; un processo lungo nel tempo che ha portato al commissariamento.

Secondo lei, la crepa che si è aperta è strettamente legata a logiche di partito o ad una diversa  visione della città?

Ma in realtà a nessuna delle due. È semplicemente legata al fatto che – come ho già denunciato in alcune riunioni – alcuni personaggi attuano una politica volta ad ottenere o mantenere alcune posizioni di interesse. Solamente questo. Una trama legata alle carriere politiche di pochi a discapito del partito.

Ha parlato di ricostruzione. Giancarlo D’Alessandro avrà il compito di condurre il Pd al Congresso. Quali saranno i temi più caldi su cui ci si dovrà confrontare per trovare la quadra?

Intanto, da alcuni colloqui affrontati lo scorso luglio, è emerso all’interno del partito un forte desiderio di rinnovamento che fa il paio con una grande disponibilità al lavoro da parte di tante persone che si sono avvicinante al Pd durante la scorsa campagna elettorale. I temi del partito, almeno dal mio punto di vista, sono questi: economia, lavoro, legalità, turismo, cultura e ambiente. In questi sei temi è racchiusa tutta l’attività politica del Pd. E abbiamo ancora oggi, nonostante tutto, le qualità e le competenze per rappresentare i bisogni e le istanze dei cittadini. Ma a condizione che ricominciamo a lavorare seriamente e che usciamo da quelle dinamiche elettorali “di pochi” per costruire delle politiche per tutti i cittadini.

A proposito di rapporto con i cittadini. Al netto della bagarre politica, il Pd appare ancora una volta alla cittadinanza e a più di qualche iscritto un partito proiettato su sé stesso, lontano dalle criticità che imperversano su Latina…

Sono d’accordo.  Un’affermazione che sottoscrivo. Bisogna fare tabula rasa. Ricostruire il partito nella sua partecipazione verso una rielaborazione delle politiche da condurre in città: è l’unico modo per produrre delle opportunità concrete in vista delle prossime tornate elettorali.  Solo così potremo rimettere in piedi una vera comunità di donne ed uomini dediti all’ ascolto dei cittadini, degli imprenditori, dei sindacati, delle associazioni di categoria. L’unica strada per condurre, forse per la prima volta, il Pd di Latina in una fase di protagonismo nelle dinamiche politiche della città è quella di ripartire dalle “Persone”, con i propri bisogni, esigenze, desideri e problemi quotidiani da risolvere. Non esistono più i pacchetti di voti che possono essere girati su qualsiasi candidato, ma esistono i cittadini che scelgono il meglio. Il PD proponga il meglio e sarà scelto. Il primo passo è uscire da quelle logiche, da quegli schemi utilizzati fino a d’ora, del tipo “io mi devo candidare lì, ah ma mi ci devo candidare anche io, e quindi blocchiamo il partito”.

Per fare un ragionamento più ampio oltre la vicenda del commissariamento: alle ultime amministrative, facendo due conti, il Pd è stato percepito come un partito pro-establishment, non avendo tuttavia a Latina mai governato. E questo – mi passi il termine – mi sembra un quadro paradossale…

Esatto, concordo.

Molti pensano che la spaccatura definitiva sia arrivata con la decisione di Moscardelli di ampliare il bacino elettorale del partito, virando a destra e candidando un “ex-nero” come Paolo Galante alle primarie. Come si pone davanti a tale ricostruzione? Non le sembra che tale mossa si sia rilevata una sorta di boomerang per il Pd?

Quello di allargare il partito alle forze civiche cittadine era un ragionamento condivisibile.  E i risultati delle scorse amministrative, confermano la bontà di quella prospettiva: i cittadini di Latina hanno premiato una lista civica. Certo è che Galante non era Coletta. Inoltre, in occasione dell’assemblea pubblica di fine luglio organizzata – e lo sottolineo ventiquattro volte – dal presidente dell’assemblea comunale Emanuele Ingellis, e boicottata da chi oggi ne rivendica la paternità – e sottolineo anche questo – io dissi che se noi guardiamo i risultati dello scorso 5 giugno, è evidente che la sconfitta è stata in particolar modo di Enrico Forte e di conseguenza del Partito Democratico in toto. Se allarghiamo il nostro campo di osservazione, vediamo che le colpe ricadono su tutti quelli che hanno fatto parte del partito fino a quel 5 giungo.  Così come accade per i processi produttivi, se arriva a fine linea un prodotto che è da scartare, vuol dire che l’intero processo deve essere rianalizzato, anche a causa della mancanza di un controllo di qualità intermedio.  Le colpe in questo caso sono necessariamente generalizzate.

Uno dei pochi momenti da mesi a questa parte in cui il Pd è sembrato davvero unito è rappresentato dal muro trasversale eretto contro gli indirizzi di mandato presentati da Coletta, circostanza in cui lei diffuse una nota co-firmata in cui si parlava di una “mancanza di visione di sistema”. Il Pd questa visione di sistema ce l’ha? Ritiene sufficiente ed adeguato l’operato del partito nelle battaglie in Consiglio?

Ecco, questa sarebbe una domanda interessante da sottoporre ai nostri amici di partito. Io ho portato un metodo, che aveva appunto questi contorni. Il concetto di collegialità risiedeva proprio in questo. A memoria, prima di quell’intervento che mi ha citato, non ricordo un comunicato congiunto di Presidente (inteso come Partito) ed esponenti del PD in Consiglio Comunale. La collegialità si fa con i fatti, non si annuncia in una conferenza stampa. In occasione di quel consiglio comunale sugli indirizzi di mandato, ci siamo riuniti e siamo andati in aula con una linea condivisa, ribadita poi con quella nota. E quel metodo funzionava, ma qualcuno, spinto dai propri interessi, è intervenuto dall’esterno per bloccare il partito.  Esistono dei gruppi che in questo momento stanno pensando solo a dei posizionamenti in vista delle prossime elezioni. Lo scorso settembre Massimo Passamonti dichiara a mezzo stampa che io sono “un vampiro che succhia il potere dalle dimissioni del segretario Giansanti”. Lo spartiacque tra metodo precedente e metodo successivo risiede proprio in quell’intervista che ha dettato la linea politica contro di me a al lavoro svolto fino ad allora. C’è chi il partito lo utilizza come strumento per la propria carriera politica. Se ripartiamo dalle tante persone che vogliono bene al partito, possiamo ottenere tutti i risultati che vogliamo. Se ci focalizziamo sulle poltrone, allora abbiamo già perso.