Truffe alle banche nel Lazio, 19 arresti

09/11/2010 di
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Il giro d’affari ipotizzato è di 10 milioni di euro: il metodo, quasi banale, è quello degli assegni scoperti. Otto ordinanze di custodia cautelare in carcere segnano il secondo traguardo di una operazione (la ‘Golden Checks 2’) avviata lo scorso aprile dal commissariato di polizia di Porta Pia a Roma con 11 arresti. I reati contestati sono truffa, riciclaggio, associazione a delinquere. Ma si indaga per approfondire i legami di alcuni appartenenti al circuito con la ‘ndrangheta calabrese.

Gli inquirenti stanno ricostruendo le mosse di un circuito criminale che dal Sud Italia, dalla Calabria e dalla Sicilia in particolare, ha truffato almeno 30 banche, aprendo conti correnti fittizi nel Lazio, anche a Latina.

Gli ordini di custodia cautelare eseguiti dalle forze dell’ordine – disposti dal gip del Tribunale di Roma Francesco Petrone, su richiesta del pm Perla Lori – sono, ad oggi complessivamente, 17. Due persone risultano, al momento, ancora irreperibili.

Gli assegni scoperti sono finiti anche all’estero, ne sono stati individuati, ad esempio, in Olanda. Ed è in corso una difficile ricognizione, come spiegato dal vicequestore aggiunto Mauro Baroni, dirigente del commissariato, che ha sviluppato le indagini assieme alla Squadra mobile. Gli assegni in circolazione sono più di 1600: finora ne sono stati rintracciati 300, contestati, per un valore di 2 milioni 100 mila euro. Il valore medio degli assegni è di 7 mila euro; ma gli importi, in qualche caso, toccano i 40 mila. Il metodo era semplicissimo: un gruppo sparuto di calabresi, provenienti da Crotone, arriva nel Lazio, si procura false residenze (a Roma, Marino, Grottaferrata, Albano) – appoggiandosi in qualche istituto religioso, fra l’altro – e apre dei conti correnti in diversi istituti bancari, in conto personale o in conto ditta, per ottenere i libretti degli assegni.

Bastavano 100, 200 euro, al massimo 1000: soldi sempre recuperati da chi poi emetteva i primi assegni, intestandoli ad altri componenti della banda, perchè l’operazione complessiva fosse a costo zero. A capo di questo primo circuito c’erano i fratelli Leopoldo e Raffaele Celano, il primo arrestato il 16 aprile scorso, il secondo oggi. A questo punto entravano in azione i riciclatori, per lo più siciliani: erano i soggetti che, nell’operazione, riuscivano a guadagnare di più. Un assegno pagato 1000 euro poteva essere immesso sul mercato per un valore di 40 mila, ad esempio. Fra questi è finito in manette Germano Di Vittori, floricultore, titolare di una ditta a Civita Castellana. Destinatari degli assegni erano infatti commercianti e imprenditori di ditte di ogni genere, floricultori, vivaisti, ristoratori, rivenditori di generi alimentari. E gli inquirenti dovranno a questo punto verificare il grado di coinvolgimento di chi incassava e riutilizzava gli assegni: potevano essere costretti, truffati a loro volta, o essere collusi con la organizzazione. Trapela il nome di qualche ristoratore noto nella capitale, sul quale sono in corso, appunto, degli accertamenti. È il caso di ‘Core de Romà. «L’operazione andrà avanti. Va messo in evidenza – ha concluso Baroni – che tutte queste operazioni non sarebbero state possibili se fosse stata obbligatoria la clausola di non trasferibilità degli assegni».