Operazione Scarface, arrestato a Ponza un ufficiale della Capitaneria di Porto

15/10/2010 di
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C’è anche un sotto ufficiale della Capitaneria di Porto in servizio a Ponza tra i 46 arrestati dalla polizia di Taranto che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare. L’uomo è comparso davanti al giudice di Latina, Nicola Iansiti, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, porto e detenzione illegale di armi ed esplosivi, truffa aggravata, estorsione, intestazione fittizia di beni a fini elusivi della normativa di prevenzione e agevolazione al riciclaggio.

I provvedimenti emessi dal Giudice per le Indagini Preliminari di Lecce su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, giungono a conclusione di una complessa indagine della Squadra Mobile di Taranto. Nell’ambito dell’operazione sequestrati beni per un valore complessivo stimato in circa 700mila euro. Secondo quanto accertato l’associazione mafiosa riciclava denaro con investimenti patrimoniali di media portata, con l’acquisto di esercizi commerciali, talvolta intestati a prestanome facendo anche leva su intimidazioni.

Tra i destinatari dei provvedimenti cautelari richiesti del pm Lino Giorgio Bruno ci sono nomi eccellenti della criminalità tarantina come Cataldo Ricciardi, al quale l’ordinanza è stata notificata in carcere dove sta scontando una condanna definitiva per associazione per delinquere di stampo mafioso. Tra gli altri sono stati arrestati noti pregiudicati come Giuseppe Florio, Massimiliano Gargiulo, Vincenzo Romano, Carmelo Savino e Cristian Giudetti. A quanto si è appreso, le indagini sono durate un paio di anni e si sono avvalse di pedinamenti e intercettazioni, anche ambientali, che hanno consentito di ricostruire l’organigramma del clan che svolgeva principalmente le attività illecite nel capoluogo jonico.

Le indagini, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, sono durate due anni ed hanno riguardato – com’è stato riferito in una conferenza stampa presieduta dal capo della procura distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta – esponenti di due clan storici di Taranto, quello dei Modeo e l’altro dei Ricciardi. “Siamo i quattro dell’Avemaria”, dicono in una circostanza gli esponenti di spicco di un clan, aggiungendo con soddisfazione che quelli che avevano vinto la guerra di mala tarantina “sono da più di 15 anni in galera”.

Il vincolo associativo, secondo gli investigatori, si manifestava in maniera evidente nell’aiutare economicamente gli affiliati al clan detenuti in carcere. Sono invece almeno cinque le banche truffate dall’organizzazione: Unicredit-Banca per la casa, Banca Ing Direct, Unicredit-Banca di Roma, Banca Ucb e Banca Antonveneta. Gli arrestati, con la complicità di dipendenti degli istituti di credito, di imprenditori operanti nel settore della intermediazione immobiliare o creditizia e di tecnici incaricati delle relazioni di stima, avrebbero ottenuto indebitamente l’erogazione di mutui ipotecari utilizzando prestanome. Questi ultimi, per la pratica di finanziamento, avrebbero prodotto documenti falsificati anche con la contraffazione di pubblici sigilli, e sarebbero state prodotte false perizie di stima degli immobili.

Numerosi i beni sequestrati dalla polizia, per un valore di 700mila euro, tra i quali un bar del padiglione Vinci dell’ospedale Santissima Annunziata. Due chili di cocaina sono stati sequestrati invece in casa di Giulio Modeo, 27 anni, figlio di Claudio, uno dei capi storici dell’omonimo clan tarantino.