ARCHEOLOGI DELLA SAPIENZA RITROVANO PALAZZO REALE IN GIORDANIA

09/06/2010 di

Centinaia di enormi vasi, servizi da tavola, coppe da cerimonia, preziose e rarissime asce di rame. Ma anche un tornio da vasaio in pietra, che all’epoca doveva essere considerato un vero e proprio gioiello di tecnologia, al pari del nostro Ipad. Scoperto da archeologi italiani dell’Università La Sapienza di Roma, torna alla luce in Giordania, nel sito di al-Batawi, l’imponente Palazzo Reale della città fortificata che già nel III millennio a.C., eretta ai bordi del deserto, controllava le vie carovaniere. E con il palazzo, distrutto insieme alla città nel 2300 a C. dall’incendio appiccato dai nemici, riemerge anche il suo singolare tesoro.

Capace di raccontare molte cose nuove sulla storia affascinante e misteriosa di quelle terre e la vita delle prime città. L’epoca, racconta il direttore della missione Luciano Nigro – il professore della Sapienza che nel 2004 scoprì Batawi e che oggi a Parigi, all’XI Congresso di storia e archeologia della Giordania ha esposto i risultati delle ultime ricerche – è quella in cui nel Levante nacquero Ebla, Gerico, Megiddo. Tutte città costruite nelle valli più fertili e più ricche della regione. Batawi è un caso a parte: circondata da alte mura, venne edificata su una rupe ai bordi del deserto (oggi si trova alla periferia della città di Zarqa) a guardia di un guado e di una valle che costituivano la ‘portà orientale della Palestina e uno dei maggiori crocevia delle piste che già da allora, quando non si era diffuso l’uso del dromedario e del cammello (i mercanti viaggiavano in sella agli onagro, antenati degli asini) traversavano il Deserto Siro Arabico. In pratica la più antica fortezza del deserto. Gli scavi degli anni passati avevano permesso di identificare le possenti mura e un grande tempio costruito al suo interno.

Il ritrovamento del Palazzo Reale, racconta Nigro all’ANSA, aggiunge un tassello fondamentale, perchè dimostra la presenza di una istituzione che gestiva lo Stato. Il primo vano, scavato nel 2009 dalla missione italiana, si era rivelato vuoto. La sorpresa è arrivata da una seconda grande sala, dove il crollo del tetto in legno aveva preservato un vero e proprio tesoro, quello che la popolazione assediata radunò in gran fretta in un estremo tentativo di salvezza. Una stanza ‘cassafortè dove si era pensato di mettere al riparo le cose più preziose, sottolinea Nigro. Le lance in rame innanzitutto, vero simbolo del grande potere accumulato da quella città , visto che nell’età del Bronzo quel materiale , scavato nelle miniere d’Egitto, era rarissimo (prima di oggi ne erano state trovate in tutto cinque in tutto il Levante). Ma anche l’enorme coppa da cerimonia, i ricchi completi da tavola, coltelli di osso, centinaia di vasi colmi di derrate. E infine, il tornio, ugualmente straordinario.

«Per l’epoca era l’ultima scoperta della tecnologia», spiega il professore, «è come se un potente dei nostri giorni avesse voluto mettere al riparo il suo nuovissimo Ipad». Il fatto che anche questo strumento, allora usato solo per la decorazione dei vasi, venisse aggiunto al tesoro protetto nei palazzi del potere, commenta, dimostra «come la gestione della tecnologia fosse un nodo cruciale» per Batawi. Il mistero che avvolgeva la ‘città fantasmà comincia a svelarsi. Per l’Italia, che scava insieme con il dipartimento delle antichità della Giordania, un lustro ottenuto in fondo a piccolo prezzo, sebbene i finanziamenti per questo settore arrivino sempre con il contagocce. «Per il 2010 abbiamo avuto in tutto seimila euro», rivela Nigro. La scoperta del Palazzo reale? «In tutto è costata novemila euro», conta il professore. Qualche debito però deve ancora essere saldato.