VIDEO Pennacchi torna con Canale Mussolini parte seconda. A Latina legge un estratto del libro

05/12/2015 di
antonio-pennacchi-latina-476862234

libro-canale-mussolini-parte-secondaArriva in libreria “Canale Mussolini parte seconda” (Mondadori) di Antonio Pennacchi. Il 25 maggio del 1944 – ultimo giorno di guerra a Littoria – nel breve intervallo tra la partenza dei tedeschi e l’arrivo in città degli anglo¬americani, Diomede Peruzzi entra nella Banca d’Italia devastata e ne svaligia il tesoro. È qui che hanno inizio – diranno – la sua folgorante carriera imprenditoriale e lo sviluppo stesso di Latina tutta. Ma sarà vero? Il Canale Mussolini intanto – dopo essere stato per mesi la dura linea del fronte di Anzio e Nettuno – può tornare a essere quello che era, il perno della bonifica pontina. In un nuovo grande esodo, che ricorda quello epico colonizzatore di dodici anni prima, gli sfollati lasciano i rifugi sui monti e tornano a popolare la città e le campagne circostanti. I poderi sono distrutti, ogni edificio porta i segni dei bombardamenti. Ma il clima adesso è diverso, inizia la ricostruzione.

Nel resto d’Italia però la guerra continua e si sposta man mano verso il nord, mentre gli alleati – col decisivo ausilio delle brigate partigiane e del ricostituito esercito italiano – costringono alla ritirata i tedeschi e le milizie fasciste. È una guerra di liberazione, ma anche una guerra civile crudele e fratricida. E la famiglia Peruzzi, protagonista memorabile della saga narrata in queste pagine, è schierata su tutti i fronti di questo conflitto. Paride al nord nella Rsi – mentre sogna di tornare dall’Armida e da suo figlio – rastrella ed insegue i partigiani. Suo fratello Statilio combatte i tedeschi in Corsica con il Regio esercito, poi a Cassino e su su fino alla linea Gotica. Il cugino Demostene è partigiano della brigata Stella Rossa, e combatte anche lui per liberare l’Italia. Accanto a loro ritroviamo lo zio Adelchi, che vigila sulle ceneri di una Littoria piena di spettri e di sciacalli, in attesa che nasca Latina; il mite Benassi e zia Santapace, collerica e bellissima; l’Armida con le sue api, e la nonna Peruzzi, che attribuisce compiti e destini alle nuove generazioni via via che vengono al mondo. E su tutti c’è Diomede – detto Batocio o Big Boss per un piccolo difetto fisico – il vero demiurgo della nuova città.

antonio-pennacchi-latina-048256245621I RINGRAZIAMENTI DI PENNACCHI: “Grazie a Ivana. E grazie ai figli, a Riccardo e alle nipoti che mi sopportano. Grazie a Antonio Franchini e Massimiliano Lanzidei, senza i quali non mi sarei accinto a questa impresa. Menomale che almeno Massimiliano non mi ha poi abbandonato. Ma me lo potevi pure dire prima però, Franchi’, te possin’ammazzà. Grazie a Pier Giacomo Sottoriva, a Nathalie Bauer, a Thomas Harder, a Mia Fuller, a Fabrizio e Mirella Leccabue, a Roberto Spocci, a Pietro Dimiccoli maggiore CC, a Dino Del Giudice, a Gianfranco Compagno, Cristina Bellomo, Francesca Cirilli. Grazie a don Andrea Marinelli, parroco di San Marco di Latina, anche se tifa Livorno e Fiorentina. Grazie a Stefano Savino, a Benito Berna, Graziano Lanzidei, Silvano Roccato, Gianni Lauretti, Romano Saurini, Ezio e Dino Lucchetti, Gianni Biondi, Alessandro Marchionni, Piermario De Dominicis e Arrigo Di Bello della libreria ‘Storie’ di Latina, fonte inesauribile di spunti anche per questo libro. Grazie e zia Clara Busatto Tonazzi. Grazie a Paolo e Maurizio Galante, ad Antonio Taormina, a Filippo Cosignani, al mio barbiere Gastone Contarini di Corso Matteotti, a Gerardo Rizzo e a Marcello del Bar Friuli, anche se il barista è della Rocca, tifoso della Lazio e fan dei Cugini di montagna. Non fai in tempo ad entrare e subito attacca: “Anima mia! Mortacci tua…”. Caccialo Marce’, che il caffè lo fa pure male. E non ciavete manco l’Amaro Cora. Grazie a Mara Samaritani, Camilla Sica, Valeria De Benedictis, Cristiana Renda, Chiara Giorcelli, Chiara Palestini, Emanuela Canali, Giulia Ichino, Carlo Carabba, Laura Gagliardi, Luigi Sponzilli. E grazie pure sempre ad Antonella Fassi.

Grazie a Flavio Pietrantoni, stupendo novantunenne autore dell’autobiografia: La lunga vita piena di guai di un uomo qualunque, Cisterna di Latina 2013.

FONTI. Le fonti orali sono tantissime, ma la maggior parte non le ricordo più. Chiedo quindi umilmente scusa a tutti.
Fonte indiretta ma determinante del lungo processo di riflessione su Togliatti, rimane per me il padre di Giovanni Terlizzo, nei racconti che ne faceva il figlio cinquant’anni fa. Grazie ancora a tutti e due. Il ‘torero di Latina’ invece è di Diomede Marafini, riportato da Massimo Rosolini al Bar Mimì. ‘Come casso la se ciama’ è di Mirella e Fabrizio Leccabue, raccontato di sera davanti alla luna nella loro stupenda casa sui colli di Felino. ‘A mia?!’ dovrebbe essere di Pietro Citati – ma non ricordo bene – letto più d’una decina d’anni fa su Repubblica.
La storia di ‘Paolo il danese’ ce l’ha raccontata, a Ivana e me, una sera a Copenaghen Thomas Harder – che ci ha scritto pure un libro – traduttore in Danimarca di Canale Mussolini e del Fasciocomunista. Grazie di nuovo a lui e alla moglie Lene. Forza Jutland!
Gli accoltellati per terra la mattina a Campo Boario è di Paolo Galante, raccontata a lui dal nonno e dagli zii Cinelli.
‘Piano, che lo rompete’ era di Rocco Brienza, riposi in pace
Littoria come ‘cerchio magico’ è di Diane Yvonne Ghirardo, Building New Communities – New Deal America and Fascist Italy, Usa 1989 (ed. italiana 2003), speditomi dall’impareggiabile Mia Fuller.
Quello che da solo di notte sul mare, gli si spalanca contro all’improvviso l’intero sbarco alleato, sta pure però in A. Augello, Uccidi gli italiani. Gela 1943, Milano 2009. Evidentemente ad ogni sbarco c’è qualcuno che, da solo, ci si trova di fronte per primo. Che ci posso fare io?
L’impasto linguistico dei dialoghi di questa Parte seconda rimane l’arcaico veneto-ferrarese della bassa rovigotta – contaminato probabilmente in Agro Pontino – appreso bambino da mia madre e dai miei zii, e definibile oggi come un dialetto veneto dell’emigrazione. Ho trovato però utili, seppure di area padovana: S. Belloni, Grammatica veneta, Padova 2009; L. Nardo, Dizionario italiano-veneto. A sercar parole, Padova 2009.
La versione spagnola della parola ‘ginocchio’ dovrebbe essere in realtà – secondo tutti i vocabolari – ‘rodilla’ e non ‘genocho’. Pare però che quel taxista ispano-americano, di cui narra Ezio Lucchetti, provenisse da una zona dell’America Latina a fortissima concentrazione di immigrazione veneta dei primi del Novecento. Non è quindi da escludere un reciproco processo di contaminazione e scambio linguistico. Del resto è abbastanza noto che siamo molti di più i veneti in giro per il mondo, dei veneti rimasti in Veneto e sviluppatisi anche e soprattutto in forza della nostra emigrazione. Poi stai bene a dire: «Basta imigrasion! Paroni a casa nostra!». Quando hai mandato noi – a casa degli altri – non valeva? E se adesso ci cacciano, torniamo tutti lì?

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE. Per la bibliografia generale si rimanda al primo volume di Canale Mussolini e soprattutto aFascio e martello – Viaggio per le città del Duce, Laterza 2009.

Solo nell’agosto 2015, lavorando a questa Parte Seconda, mi sono reso conto che in quegli elenchi di fonti se ne era imperdonabilmente persa una delle più importanti – Giusto Traina, Paludi e bonifiche del mondo antico, Roma 1988 – che a suo tempo mi aveva illuminato sulla differenza tra palus al singolare, in latino, e paludes al plurale. Solo grazie a questo lavoro m’era riuscito finalmente di comprendere, ragionevolmente, l’assetto e corografia delle ex Paludi Pontine. Chiedo quindi umilmente venia all’autore, di cui cfr. anche: Id., «L’immagine imperiale delle Paludi Pontine», in La Valle Pontina nell’Antichità. Atti del Convegno di Cori (13-14 aprile 1985), Roma 1990.

Sulla seconda guerra mondiale e la resistenza in Agro Pontino: P.G. Sottoriva, I giorni della guerra in provincia di Littoria, Latina 1985; Id, Cronache da due fronti. Gli Avvenimenti bellici del 1943-1944 sul Garigliano e nell’Area Pontina, Latina 2004; Id., 4 Maggio 1944 L’eccidio di Borgo Montenero, in “Centro Storico” 2014.
Sui fatti d’arme di Sermoneta: Francesco D’Erme, Granelli di piombo, Latina 1997.
Su Gino Rossi, cfr: F. Lucchi, Gino Rossi: Alpino combattente e martire della Resistenza, in “Doss Trent”, ANA Trento, marzo 2008.
Su Borgo Hermada e Borgo Montenero: Mario Aramini, Storia di un emigrante. Dal Castello di Zumelle all’Agro Pontino, dattiloscritto.
Sulla guerra e i primi anni dopo la guerra a Latina Littoria: Casa Salesiana Latina, Cronaca anni 1933-1947, diario dattiloscritto; L. Cardarelli e M. Ferrarese, I giorni di Latina dal ‘32 ad oggi, Velletri 1978; T. Stabile, Latina una volta Littoria, Latina 1982; A. Attanasio e P.G. Sottoriva (a cura), I partiti politici in provincia di Latina, Latina 2005; E. Lucchetti, I miei primi ottant’anni, Latina 2007; Giorgio Biondi dal 1 maggio 1925 al 3 marzo 1948, diario pubblicato a cura del figlio Gianni nel 2007; AA.VV. La Guardia di Finanza e Palazzo “M” a Latina, Formia 2014; Alfio D’Annibale, Da Littoria a Latina, s.n.t.; A. Marucco, C’era una volta la Casba, (Latina 2015).
Sulla recrudescenza malarica e la presunta ‘guerra nazi-batteriologica’: F. Snowden, The Conquest of Malaria. Italy 1900-1961, Yale University Press 2006 (ed. italiana 2008).
L’epistolario Claretta-Benito è in: L. MONTEVECCHI (a cura), Benito Mussolini, A Clara, Tutte le lettere a Clara Petacci 1943-1945, Milano 2011.
Il racconto del ragazzino a Porta San Paolo: Alvaro Cardarelli, in “Rione Garbatella”,http://www.rionegarbatella.it/archivio-racconti-garbati/486-a-difesa-de-roma-ricordi-personali-dell8-e-9-settembre-1943
Sugli eccidi di Codevigo e il Gruppo armato Cremona: Marco Rossi, Il conto aperto. L’epurazione e il caso di Codevigo: appunti contro il revisionismo, in “Materiali di storia” 13, 1999, ora in:
http://www.centrostudiluccini.it/pubblicazioni/materiali/13/codev-rossi.pdf

Altre fonti: Hannah Arendt; A. Bianchini; G. Bocca; R. Brunasso; P. Cacucci; M. Caudana; M. Caudana e A. Assante; C. Ciammaruconi; S. Corvisieri; A. Del Boca; V. D’Erme; M. Dominioni; G. Fasanella; D. Fertilio; A. Folchi; E. Galli della Loggia; E. Gentile; T. Lanzuisi; Mao Tsetung; A.A. Mola; F. Motto; G. Pansa; C. Pavone; G. Pisanò; Giorgio e Paolo Pisanò; G. Rochat; P. Secchia; E. Sereni; P. Spriano; P. Togliatti, P. Zaccagnini; D. Zanini. E poi R.L. Stevenson, R. Bacchelli, J. Guimãraes Rosa, M.A. Šolochov, Beppe Fenoglio, C. Malaparte, Giose Rimanelli, Carlo Lizzani, Giosue Carducci, Gabriele D’Annunzio. V. De Sica, Dalida, L. Tajoli, Iva Zanicchi e Bobby Solo, Beniamino Gigli, Luciana Dolliver, Marisa Brando. Tom Cruise e Dustin Hoffman.
E poi internet e wikipedia.

IN MEMORIA DI DARIO EVANGELISTA
Abbiamo sepolto Dario venerdì 14 agosto 2015, nel sabbione sedimentario giallo del cimitero di Borgo Hermada in comune di Terracina. Per tanti anni aveva lavorato in banca, prima a Anagni e a Latina, poi a Sabaudia e Terracina. Aveva 69 anni. Talentuoso pittore e finissimo poeta, lasciava la moglie Patrizia e la figlia Eloisa. E lasciava – affranti anch’essi – gli amici ed i vecchi compagni. A lui era fortemente ispirato il personaggio di Serse nel romanzo Il fasciocomunista, ma ricorre anche in quasi tutti gli altri miei libri.
Era arrivato con la famiglia dal bellunese a Latina nel 1967. Il padre Paolo era primo medico all’Inam e abitavano in via Garibaldi 5, vicino piazza Quadrata. Prima di andare all’Inam, era stato nell’esercito – maggiore medico degli alpini – e durante la guerra aveva fatto il partigiano e combattuto nell’agordino con il gruppo Pisacane della Divisione Garibaldi Nannetti, comandato da Mariano “Carlo” Mandolesi di Gaeta, comunista, medaglia d’argento al valor militare.
Era comunista anche lui – il padre di Dario – di quelli duri e puri di Pietro Secchia che avrebbero voluto fare la rivoluzione. E quando nella lista delle sedi disponibili dell’Inam vide Latina, la scelse proprio per stare di nuovo vicino al suo vecchio compagno e comandante “Carlo”, Mariano Mandolesi di Gaeta.
Dario ed io ci conoscemmo il 1° ottobre di quell’anno 1967, all’inizio delle scuole – quarantotto anni fa – sui banchi del quinto geometri al Vittorio Veneto di Latina.
Non eravamo studenti modello. Ma esattamente come è stato con mio fratello Gianni e con Pippo Muraglia, parecchie delle intuizioni che ho poi sviluppato e su cui ho lavorato tutta la vita, se non proprio originariamente sue sono però sicuramente frutto delle interminabili chiacchierate camminando a piedi di notte per le strade di Latina – avanti e indietro all’infinito sulla circonvallazione, o dal bar Dante al bar Poeta che allora erano sempre aperti – fino alle prime luci del giorno. O facendo l’autostop sull’autostrada del Sole insieme appunto a Pippo Muraglia, a cui nel Fasciocomunista era ispirato Lupo. Senza quelle chiacchierate, senza quei chilometri a piedi nelle notti bianche, senza quei compagni e amici, non ci sarebbero – per quel poco che valgono – i miei libri. A lui – a Dario Evangelista – debbo la scoperta della fantascienza e di tanti svariati autori. A lui – probabilmente – debbo anche l’approdo a sinistra e a lui è dedicato questo libro. Riposa in pace Dariù, ti sia lieve la terra”.

(fonte Antoniopennacchi.it)